Che cos'è Final Fantasy? È questa la grande domanda che è piovuta incessantemente addosso al produttore Naoki Yoshida nel corso degli ultimi mesi, da quando orde di critici si sono scagliati con violenza contro la scelta di imbrigliare la serie in una formula a base di pura azione. L'essenza della saga sta davvero nel sistema di combattimento? Affermare con certezza dove risieda la sua anima è impossibile, perché se esistesse una risposta univoca Square Enix non avrebbe mai potuto commettere errori, mentre gli appassionati non avrebbero stretto ciascuno una relazione intima con tante avventure così diverse fra loro. C'è chi ha versato lacrime di fronte al romantico epilogo della storia di Tidus, c'è chi si è innamorato delle silhouette stilizzate di Terra, Celes e Locke, c'è chi è rimasto stregato dal brivido degli scontri tattici contro divinità invincibili, infine c'è chi adora semplicemente farsi cullare da splendide melodie mentre esplora paesaggi mozzafiato.
Proprio come ogni altro fan, anche Naoki Yoshida ha maturato una visione personale di cosa dovrebbe essere Final Fantasy, con la grande differenza che, nel lontano 2015, il CEO di Square Enix - Yosuke Matsuda - ha bussato deciso alla porta del suo ufficio e gli ha chiesto di progettare un nuovo colossale capitolo della saga. Perché scommettere così tanto su di lui? Il motivo è molto semplice: mentre ogni singolo episodio pubblicato negli ultimi diciassette anni veniva puntualmente travolto da ondate di critiche, Final Fantasy 14 si è invece trasformato dall'oggi al domani nell'oasi di successo che ha portato alla beatificazione della figura di Yoshida: per i colleghi è diventato una sorta di re Mida, per il pubblico l'eroe di cui la serie ha sempre avuto bisogno.
Da quell'investitura sono trascorse diverse lune, otto lunghi anni che hanno cambiato completamente il volto della Creative Business Unit III, ovvero la squadra di Avengers reclutati con cura da Yoshi-P con l'obiettivo di compiere un'impresa impossibile: riportare l'altisonante nome di Final Fantasy ai fasti di un'epoca scomparsa, risvegliando l'antica fiamma che era stata in grado d'imprimere la saga nei cuori di milioni di persone. Il compositore Masayoshi Soken, il designer del combattimento Ryota Suzuki, il braccio destro del producer Hiroshi Takai, creativi come Mitsutoshi Gondai e scrittori del calibro di Kazutoyo Maehiro: dozzine di grandi maestri si sono infine radunati sotto lo stendardo di questo generale, accettando senza indugi la complessa missione che gli è stata assegnata.
Una missione che, tuttavia, si è rivelata molto difficile anche per un simile manipolo di supereroi. Final Fantasy 16 si è infatti dimostrato un videogioco dalla doppia anima, diviso fra luci a dir poco abbaglianti e vaste zone d'ombra; un'opera sostenuta da una grande ispirazione artistica, dotata di un cuore che pulsa all'unisono con la componente del racconto, ma radicato in una formula i cui problemi vanno ben oltre il bersaglio facile del sistema di combattimento. È il miglior episodio della serie da tanto tempo, è il teatro di una storia emozionante, è la culla di un mondo straordinario, ma è ancora distante dall'ideale di assoluta eccellenza che dovrebbe accompagnare l'eredità del nome Final Fantasy. Com'è possibile che due nature così diverse riescano a convivere nello stesso progetto? Scopritelo nella nostra recensione di Final Fantasy 16.
Il capolavoro di Valisthea: mondo di gioco
Il punto zero della rivoluzione inseguita dalla squadra di Yoshida risiede nella costruzione del mondo di Valisthea, un meccanismo perfetto nel quale ogni singolo ingranaggio è stato posizionato con precisione maniacale. Mai, nell'intera storia della saga, era emerso un universo tanto carico di dettagli e di coerenza storica, neppure dai confini del celebre Ivalice di Yasumi Matsuno: i continenti di Ciclonia e Cineria hanno alle spalle secoli di guerre, di dinastie, di eroi, di usi e costumi che rifiniscono un affresco narrativo a dir poco enorme, tanto vasto da aver trovato uno sfiatatoio persino nel tessuto del gameplay; se tramite la funzionalità dell'Active Time Lore è possibile sospendere l'azione in qualsiasi momento - anche durante i filmati - per ottenere informazioni e piccoli aneddoti dedicati agli elementi della sequenza che si sta vivendo, esistono addirittura personaggi votati esclusivamente alla raccolta e all'analisi della "lore", volenterosi di spiegare nel dettaglio la mappa geopolitica delle terre emerse e di alzare il sipario su un immenso e interessante compendio informativo.
L'ispirazione di partenza, che l'opera non prova minimamente a nascondere, proviene da Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin - meglio conosciuto come Game of Thrones - la cui essenza cruda e oscura è stata tradotta secondo il linguaggio di Final Fantasy, sfruttando l'ambientazione medievale per accarezzare tematiche molto più spinose rispetto al retaggio della serie. La guerra, la discriminazione, l'immigrazione e la questione ambientale sbucano costantemente dai più torbidi angoli dell'esperienza, restituendo un panorama che non si limita a rivelarsi violento fisicamente, ma anche e soprattutto psicologicamente. Basti pensare alla sola esistenza dei Portatori, ovvero le persone che possono utilizzare la magia senza l'ausilio dei Cristalli, abomini equiparati a meri strumenti che si possono uccidere impunemente, utilizzare come animali domestici, torturare per il puro gusto di farlo, senza che a nessuno venga in mente di alzare un dito, a prescindere dai legami d'affetto e persino da quelli di sangue.
Dal calderone del Trono di Spade è stata rubata anche l'incombente ombra della morte, un cupo sottofondo che accompagna ciascun battito dell'avventura. I personaggi di Final Fantasy 16 sono prima di tutto persone in carne e ossa, e in quanto tali possono ammalarsi, esser pugnalate o trovarsi menomate in qualsiasi momento, spogliando completamente il cast di qualsivoglia percezione della "plot armor" tipica del genere. Lo spettro della morte non risparmia nessuno, portando anche i personaggi positivi a desiderare di spezzare delle vite, a inseguire la vendetta, a tagliare gole senza esitazioni, fissando i contorni della più sanguinosa istanza di Final Fantasy da quando il marchio è presente sul mercato.
Il vero colpo da maestro, tuttavia, risiede nel modo in cui questo filone dark fantasy è stato perfettamente incastrato con l'immaginario della saga, ritagliando uno spazio su misura per gli Eikon, per i Cristalli, per la magia e persino per i Chocobo. La terrificante Shiva che domina dall'alto i campi di battaglia, la lama Zantetsuken di Odino che taglia a metà i cieli del Dominio Cristallino, i Cavalieri dei Draghi di Sanbreque. che condividono gli equipaggiamenti e persino le movenze dello storico job del Dragoon: non capita mai di mettere in discussione la dimensione magica alla base di Final Fantasy, un'atmosfera che riempie costantemente i polmoni del giocatore, che sia nella forma degli immensi Cristalli Madre ai piedi dei quali sorgono le grandi capitali, oppure nel manto di un inconfondibile Iaguaro che si prepara a tendere un'imboscata ai protagonisti.
Le grandi storie sono tornate: trama e personaggi
Se il mondo dei continenti gemelli è il cuore pulsante di Final Fantasy 16, le storie e i personaggi che si muovono sul palcoscenico ne rappresentano senza dubbio l'anima. Clive Rosfield è un protagonista tridimensionale, un uomo che paga costantemente dazio per i propri errori, costretto continuamente a crescere, a evolversi e a stringere pesantissimi compromessi, combattendo in prima linea per difendere ciò in cui imparerà lentamente a credere. Ma la cosa più interessante è che si muove nei confini di un mondo vivo, nel quale le pagine della storia continuano a scorrere anche quando lui non è presente, cedendo volentieri il passo a diverse personalità il cui carattere è colorato attraverso un'azzeccata scala di grigi.
L'assenza del classico party di personaggi giocabili non si percepisce neanche per un istante, perché le figure che orbitano attorno a Clive ereditano tale ruolo in maniera magistrale e possono prendere iniziative in totale autonomia, esattamente come accaduto al gruppo di comprimari introdotti in Final Fantasy 14. La potentissima Jill Warrick, il fedele Gav, per non parlare di Cidolfus Telamon - meglio noto come Cid - figura a dir poco sensazionale, o ancora della frizzante Mid: al momento questi nomi non vi diranno niente, ma tutti insieme incarnano perfettamente il concetto di "gruppo" che è divenuto parte integrante delle fondamenta della serie. Per rubare la scena intervengono solamente i grandi esponenti dello scacchiere politico di Valisthea, che incidentalmente sono anche i Dominanti dei vari Eikon, come il principe di Sanbreque Dion Lesage, che sotto la rassicurante chioma bionda nasconde il terribile potere di Bahamut, oppure lo spietato re Barnabas Thalmr, che grazie alla lama di Odino è riuscito a unificare l'intero continente di Cineria; l'obiettivo della narrazione si stringe e s'allarga più volte attorno a queste figure, srotolando una grande vicenda corale che coinvolge tutte le dinastie al centro della lotta per il potere.
Il racconto viaggia lungo due binari paralleli: quello sotteso alla vicenda prettamente umana, retta dall'avidità, dal desiderio e dalla lotta per la sopravvivenza, al quale si affianca classico sentiero occulto, figlio della grande massima dei JRPG che afferma: "Si comincia con una guerra e si finisce combattendo contro gli dei". È una storia di vendetta, di maturazione e di redenzione che cresce di pari passo con i suoi protagonisti, una montagna russa di sequenze che si fanno esponenzialmente più spettacolari, decollando pian piano fino a esplodere in un grande finale pirotecnico. L'integrità della narrazione si incrina solamente quando la seconda natura inizia a prevalere sulla prima, ovvero quando il deus ex machina interviene con prepotenza in un intreccio che già funzionava alla perfezione nella sua dimensione politica e concreta.
Ciò accade prevalentemente a causa della presenza di un villain piuttosto debole, perlomeno se paragonato agli altri avversari che si parano lungo il cammino di Clive Rosfield. La scelta di avvolgere il grande burattinaio in una fitta coltre di nebbia indebolisce l'impatto dell'escalation finale, e a mancare è proprio quella caratterizzazione profonda del "cattivo" che per la Creative Business Unit III è diventata un vero e proprio marchio di fabbrica, portandola a creare caratteri finiti in vetta alle classifiche di gradimento come l'amatissimo Emet Selch. A margine, alcuni personaggi secondari anche molto ben scritti - come la matrona Isabelle, la locandiera Martha e tanti altri - non hanno potuto contare sulla cura estetica che avrebbero meritato, presentandosi come anonimi NPC scaturiti da un freddo editor del personaggio anziché dalle ispirate matite di un character artist. Tutto ciò detto, era da tanti, tantissimi anni che un capitolo di Final Fantasy non aderiva con tanta forza all'essenza del nome "Final Fantasy".
Una struttura pesante: ritmo e gameplay
La struttura di Final Fantasy 16 è molto particolare: figlia dell'esperienza decennale maturata dal team di sviluppo, sceglie inaspettatamente di ancorarsi all'architettura che solitamente sorregge le grandi espansioni del quattordicesimo capitolo online. L'opera alterna sequenze molto lineari dall'elevato tasso di adrenalina - praticamente degli spettacolari dungeon corridoio presidiati da orde di nemici e agguerriti boss - con lunghe sezioni dal respiro più compassato; piccole pause durante le quali viene introdotta una nuova regione assieme ai suoi abitanti, aprendo finestre volte a smorzare il ritmo dell'azione per consentire al giocatore di dedicarsi alle attività secondarie. Questo schema si sussegue pressoché invariato per l'intera durata dell'avventura, alzando ogni volta il sipario sulle nuove mappe aperte che scandiscono l'incedere della trama, caratterizzando frazioni del mondo prima di culminare ancora e ancora in un'esplosiva missione principale.
Tale architettura, che si inserisce a meraviglia negli ingranaggi di un MMORPG, risulta molto più difficile da digerire in un'esperienza di questo genere, perché la mole di attività "filler" si traduce nella continua ripetizione di capitoli riempitivi sempre ancorati alla medesima natura. Si giunge in una nuova area, s'incontra il contatto locale, si prende parte a una catena di missioni - quasi sempre banalissime "fetch quest" che svelano i retroscena delle città - per poi approdare lentamente alla successiva grande sequenza d'azione. Il punto di saturazione arriva verso la metà dell'avventura, dopo circa trentacinque ore, momento in cui s'inciampa in lunghe sequele di missioni obbligatorie che portano il giocatore in aree già esplorate al fine di reperire ingredienti, raccogliere fiori e svolgere una serie di compiti tutt'altro che esaltanti, anche in momenti clou dell'intreccio. Inutile dire che a risentirne più di ogni altra cosa è il ritmo, la cui salvezza risiede esclusivamente nella voglia di scoprire cosa accadrà sul fronte della trama.
Questa filosofia di design si estende anche alle attività collaterali e soprattutto all'esplorazione, i due segmenti che - non potendo contare sulla spettacolarità della narrazione - finiscono per uscirne con le ossa rotte. Le mappe aperte hanno poco o nulla da offrire: non capita mai d'imbattersi in un incontro interessante, in una struttura nella quale è possibile entrare, in un minigioco, e in linea generale è impossibile "scoprire" qualcosa, fosse anche solo un'interazione o una linea di dialogo unica; le regioni si limitano a esistere nel silenzio, come fossero dei bellissimi quadri da osservare, senza offrire una ragione solida per montare in groppa a un Chocobo e cavalcare verso l'orizzonte. Diventano, di contro, il teatro che ospita le missioni secondarie - circa un centinaio di attività segnalate e guidate - troppo spesso ridotte a mere quest di raccolta, sovente trascurabili tanto sul piano del racconto quanto più banalmente nell'ottica delle ricompense. Verso l'inizio e la fine del viaggio s'incontrano anche storie ben scritte, volenterose di scavare più in profondità nei luoghi e nei personaggi, ma fatta eccezione per la Caccia - che come da tradizione mette il giocatore di fronte a varianti uniche di nemici già noti - si tratta prevalentemente di raccogliere oggetti, sterminare banditi e tornare a fare rapporto.
I problemi nel ritmo sono ulteriormente esacerbati da una lunga serie di piccole sbavature che prese singolarmente quasi non si notano, ma che tutte insieme finiscono per incidere duramente sulla fluidità dell'esperienza. Lo scatto, ad esempio, si attiva solo in automatico e solo nelle aree aperte, trasformando un gesto sulla carta immediato come la navigazione del rifugio - e il completamento delle quest all'interno dello stesso - in un lento e ripetitivo andirivieni tra un personaggio e l'altro; allo stesso modo l'azione è costantemente smorzata dalla comparsa di finestre che mettono inutilmente il gioco in pausa per segnalare la fine del combattimento, la sconfitta di un personaggio, l'inizio di un capitolo, anche solo il completamento di una banale consegna. Di questi spigoli se ne incontrano a dozzine, dalle macchinose riprese in-engine che allungano oltremisura la durata dei dialoghi fino ad arrivare alle onnipresenti transizioni al nero che spaccano la vicenda in tanti piccoli segmenti, caricando tutto il peso della responsabilità sulle spalle del principale filone narrativo.
Lo spettacolo prima di tutto: combattimento e meccaniche
Quella confezionata da Ryota Suzuki per il sistema di combattimento di Final Fantasy 16 è una versione "light" della formula da puro stylish-action integrata sulle sponde di Devil May Cry 5, e se la definiamo più leggera è perché la spettacolarità dell'azione è sempre preponderante rispetto alla complessità tecnica e soprattutto al tasso di sfida. A dir poco perfetto per i neofiti del genere, che si sentiranno immediatamente a casa e non avranno alcun problema a padroneggiarlo, risulta invece all'acqua di rose per il pubblico esperto, destinato a trovare i maggiori stimoli solo durante le ultime fasi di gioco e nella porzione di offerta che si spinge oltre il finale. Certo, si possono ottimizzare le battaglie tirando fuori dal cilindro qualche combinazione interessante, massimizzando le schivate e i parry, tentando di non farsi mai colpire per ottenere delle speciali medaglie, ma nella maggior parte dei casi è più che sufficiente utilizzare una dietro l'altra le abilità disponibili per emergere vittoriosi da qualunque scontro, senza mai percepire alcun genere di rischio e godendosi invece lo spettacolo dei fuochi d'artificio.
Il fulcro dell'intero sistema risiede infatti nelle abilità degli Eikon, trenta attacchi speciali legati alle caratteristiche delle storiche evocazioni: Clive può registrare fino a tre diversi set di abilità da alternare in qualsiasi momento, per un totale di sei attacchi degli Eikon disponibili in contemporanea e accompagnati dai tratti distintivi di ogni creatura. Queste mosse, tutte soggette a un tempo di recupero, assolvono ciascuna una funzione particolare: ci sono scatti infuocati capaci di penetrare le orde, parate attive che aprono varchi per devastanti contrattacchi, magie che punzecchiano gli avversari nel tempo, o ancora turbini di fendenti che invece di puntare ai danni mirano a spezzare la guardia del nemico. È infatti d'importanza fondamentale la meccanica di "stagger", che porta i mostri più coriacei a crollare indeboliti al suolo una volta esaurita la barra difensiva, momento in cui bisognerebbe sfruttare le opzioni più violente al fine di massimizzare il potenziale offensivo. In sostanza, all'interno delle arene, ci si trova a eseguire una sorta di "rotazione" nello stile tipico dei MMORPG, lanciando in sequenza tutte le abilità disponibili e tenendo sott'occhio i rispettivi tempi di cooldown, sfruttando un sistema di fendenti ridotto all'osso per colmare gli spazi fra le grandi esplosioni.
Se gli attacchi degli Eikon sono esteticamente spettacolari, soddisfacenti da lanciare e dotati di un eccezionale feedback nei colpi, il compito di alzare l'asticella tecnica è invece riservato alla schivata precisa, la cui capacità di cancellare le animazioni è una splendida oasi nel deserto dei sistemi d'azione di Square Enix. Anziché puntare su un intricato sistema di mosse, l'opera scommette sulla varietà delle combinazioni di abilità, abbracciando un approccio che non è migliore o peggiore, ma semplicemente diverso rispetto agli standard del genere: ci sono Eikon come Odino - che strizza l'occhio a Vergil e alla sua lama Yamato - pensati per premiare la pazienza, accumulando cariche volte a eliminare l'intera schermata con un singolo fendente finale; altri ancora, per esempio Bahamut, offrono tecniche orientate al supporto del puro e semplice combattimento a base di lama e magie. Tutti quanti, infine, mettono in campo i propri attacchi definitivi, che in ragione della potenza smisurata sarebbe stato meglio legare a una barra di risorse, non fosse per il fatto che tale meccanica è stata invece assorbita dalla Trascendenza - in inglese Limit Break - una trasformazione che aumenta i danni inflitti da Clive e gli consente di recuperare salute nel tempo.
Il ventaglio di opzioni inizia ad ampliarsi solamente nel finale, quando finalmente si ottiene accesso a tutti gli Eikon e gli avversari scelgono di adottare strategie difensive più complesse, sfruttando intricati attacchi telegrafati che richiamano la struttura dei raid di Final Fantasy 14. In seguito a una crescita che per esigenze narrative risulta molto lenta, il sistema arriva a dare il meglio di sé nelle attività del post-gioco, come le sfide di maestria degli Eikon in cui il fallimento diventa un'eventualità concreta, oppure la modalità Arcade che consente di rigiocare le missioni per ottenere valutazioni, ma soprattutto la modalità Final Fantasy. In questa speciale versione del Nuovo Gioco +, con l'arsenale completamente sbloccato, i nemici sono sostituiti da varianti più potenti e adoperano strategie inedite, per esempio trasformando le creature volanti in fastidiose unità mediche o dotando intere guarnigioni di incantesimi difensivi. Col senno di poi, l'implementazione di un livello di difficoltà più elevato sin dall'inizio avrebbe senza dubbio potenziato l'esperienza dei giocatori più navigati, destinati a vivere ottanta ore durante le quali è quasi impossibile conoscere la sconfitta.
La seconda faccia della medaglia è incarnata dagli scontri fra Eikon, vere e proprie estremizzazioni della formula fondata sulla spettacolarità cinematografica, battaglie fra divinità visivamente splendide e interamente votate alla gloria nella distruzione. Ciò, d'altra parte, significa anche che la componente del gameplay ne esce molto asciugata, risolvendosi in poche sezioni di combattimento tecnico che troppo spesso cedono il centro della scena a lunghissimi filmati interattivi inondati di quick time event. Viene da sé che queste battaglie coincidono con gli snodi essenziali della trama e il loro scopo è quello di mettere in movimento tutta l'epica della saga, ma nella maggior parte dei casi si tratta di fasi molto diluite - in un paio di occasioni si sfiora la mezz'ora di durata - nelle quali il giocato effettivo si riduce giusto alla pressione di un paio di pulsanti.
È d'obbligo, infine, una menzione alla componente RPG, che si presenta in forma estremamente superficiale; il nuovo sistema non riesce a ritagliare uno spazio per resistenze e debolezze elementali, riducendo al minimo indispensabile l'influenza del giocatore sulle statistiche del protagonista, consegnandoli in automatico quasi tutti i migliori equipaggiamenti semplicemente con l'incedere della trama, segnando forse per sempre il distacco da attività storiche come la ricerca - un tempo tutt'altro che guidata - delle armi e degli accessori definitivi. Insomma, la principale scelta risiede nella selezione delle abilità degli Eikon - destinate a raggiungere il pieno potenziale solo nel post-gioco - e chi deciderà di sperimentare in tale direzione finirà per trarre il meglio dal sistema di combattimento, svelando inaspettati scampoli di profondità che rimarranno nascosti agli sguardi meno attenti.
Ritorno al futuro: arte e tecnica
La Creative Business Unit III ha concentrato tutti gli sforzi sul potenziamento della fantasia alla base della serie, e i succitati scontri fra Eikon sono un esempio perfetto di tale filosofia: la componente visiva è fondamentale, deve costantemente srotolarsi in sequenze mozzafiato, esattamente come accadeva con i filmati in computer grafica ai tempi della cara vecchia PlayStation, con la colossale differenza che adesso tutto avviene in tempo reale sullo schermo. Incursioni in capitali fortificate come Oriflamme, scontri nei cieli infuocati di Valisthea, eserciti che si fronteggiano sul campo di battaglia: l'azione cinematografica svolge un ruolo da assoluta protagonista necessitando del pieno supporto di tutti i reparti della produzione, e ciascuno di essi ha prontamente risposto alla chiamata.
Della colonna sonora non c'è nemmeno bisogno di parlare, perché Masayoshi Soken ha abbracciato in totale scioltezza il ruolo di erede del leggendario Nobuo Uematsu, confezionando una serie di brani capaci di elevare alla potenza qualsiasi situazione, dai confronti apocalittici fino alle innocenti bevute collettive. Allo stesso modo si può festeggiare per un fronte artistico che ha reso onore a rovine sotterranee mosse da tecnologie scomparse, a fortezze impenetrabili ai piedi di immensi cristalli, a Eikon che sembrano usciti dai sogni di chi - venticinque anni fa - correva con la fantasia di fronte ai poligoni delle antiche evocazioni. Un livello di cura che si ritrova tale e quale anche nella caratterizzazione e nelle animazioni dei mostri, ad esempio nelle varianti degli Ahriman che sembrano quasi reali, vicinissime al confine della verosimiglianza, come già si era notato dal Molboro presente nella demo. Questo lavoro di cesello ritorna anche nel sistema di combattimento, perché non è mai esistito un videogioco action in cui persino le abilità attive potessero contare su una simile attenzione al dettaglio grafico.
Nonostante la qualità estetica, le battaglie in modalità framerate restituiscono un'esperienza eccellente, specialmente se si tengono in considerazione la mole di effetti e il numero di nemici che si alternano nelle arene, al punto che risulta veramente difficile scorgere anche solo una singola oscillazione evidente. Il discorso cambia solo quando entrano in scena gli Eikon, fasi di gioco decisamente più pesanti nelle quali in rare occasioni capita di calare per qualche secondo anche al di sotto dei 30 fps. In linea generale la modalità framerate è quella che garantisce l'esperienza migliore, ma mette comunque in scena una frequenza dei fotogrammi variabile, destinata molto spesso ad abbassarsi e paradossalmente a farlo proprio nelle sezioni meno concitate, ad esempio durante l'esplorazione delle mappe aperte. Di contro, privilegiando la grafica, accade di assistere anche a occhio nudo alla comparsa di nuovi dettagli, specialmente tra le foglie della vegetazione, ma è davvero difficile voler rinunciare alla fluidità garantita dall'alternativa, che è a dir poco essenziale per un titolo del genere. La situazione generale - già di per sé soddisfacente - è migliorata ulteriormente con la patch del day one, che ha risolto gran parte dei problemi di performance nell'orbita delle battaglie più impegnative.
L'ultima annotazione riguarda il doppiaggio, di altissimo livello tanto nella versione italiana (ottima) quanto in quella inglese (davvero eccezionale), entrambe affidate a grandissime voci, al netto di un adattamento che - fatte salve alcune strambe licenze come la terminologia utilizzata per le magie - ha perfettamente inquadrato la direzione del progetto. Si tratta solo dell'ultimo tassello in un grande mosaico di valori produttivi che da anni mancavano dalle sponde del brand, finalmente tornato a sfoggiare la qualità tecnica e l'attenzione al comparto grafico che negli anni '90 hanno rappresentato un marchio di fabbrica della produzione.
Il grande paradosso di Final Fantasy 16
Final Fantasy 16 è fra i migliori episodi della serie incontrati in circa vent'anni, nonostante l'elevata mole di imperfezioni che sporcano le sue caratteristiche di videogioco. Ed è qui che tornano in scena con prepotenza le domande impossibili che hanno aperto questa recensione: dove risiede l'anima della saga? Quali sono gli elementi che rendono grande un capitolo di Final Fantasy? Proprio nella moltitudine di possibili risposte esplode il paradosso di quest'opera, un titolo che mette in imbarazzo gli ultimi episodi numerati sul fronte dell'aderenza all'immaginario del franchise, presentandosi al tempo stesso come un amalgama ancora molto distante dall'eccellenza in senso assoluto. La percezione che ciascuno ha dell'avventura, di conseguenza, è fortemente influenzata da ciò che per ogni appassionato rappresenta il cuore di Final Fantasy: c'è chi darà più importanza all'ottima costruzione del mondo o alla narrazione, e chi invece dovrà incassare a fatica la scarsa profondità dei sistemi, conferendo a ogni singolo elemento un peso specifico completamente diverso.
La Creative Business Unit III ha investito tutte le energie degli ultimi otto anni nella costruzione di un incredibile universo narrativo, rifinendo minuziosamente un cast di personaggi straordinari, studiando un racconto che si dimostrasse all'altezza dei grandi classici, ma soprattutto lavorando di fino sull'immaginario e sulla potenza estetica della saga. Nell'inseguimento di questi obiettivi, tuttavia, si è persa per strada l'esplorazione e l'offerta collaterale che hanno sempre caratterizzato la serie, ha dovuto ridurre al minimo l'elemento RPG e ha scelto di sacrificare la profondità, prima di inciampare in un ritmo che cozza con molte delle necessità di una grande avventura cinematografica. Gli ideali di Naoki Yoshida rappresentano ciò che è mancato alla saga negli ultimi decenni, la sua visione merita di esser premiata perché è sinonimo di una giusta direzione, ma per compiere il balzo di qualità definitivo non basta un grande Final Fantasy, serve anche un grandissimo videogioco.
Conclusioni
Final Fantasy 16 è protagonista di uno fra i più grandi paradossi mai incontrati nei videogiochi: si trova contemporaneamente vicinissimo e lontano dall'ideale livello di eccellenza che la serie non ha mai cessato d'inseguire nel corso della sua storia. È la migliore interpretazione della saga da tantissimi anni a questa parte, fondata su una trama vicina ai grandi classici, impreziosita da uno straordinario mondo di gioco, nonché popolata da un ricco cast di personaggi memorabili. Al tempo stesso, inciampa in un ritmo dell'esperienza a dir poco traballante e in una fitta cascata di sbavature, puntando tutto sulla gloriosa spettacolarizzazione dell'immaginario, ma dimenticando molti ingranaggi essenziali durante la ricostruzione. In questo uragano di contraddizioni, è incredibile come sia riuscito a portare a termine il compito più difficile di tutti: quello di presentarsi al mondo come il capitolo moderno che è in assoluto più vicino alla tradizionale essenza di Final Fantasy.
PRO
- Mondo di gioco caratterizzato con cura maniacale
- Trama fantastica come quelle di una volta, personaggi eccezionali
- Sequenze d'azione a dir poco mozzafiato
- Direzione artistica e colonna sonora da dieci
CONTRO
- Ritmo dell'avventura e dell'azione altalenante
- Esplorazione inesistente, troppe secondarie trascurabili
- Elemento RPG ridotto all'osso
- Il sistema di combattimento impiega tantissimo per esprimersi al massimo