How to Say Goodbye si apre con un avviso: gli sviluppatori Florian Veltman e Baptiste Portefaix, amici fin dai banchi di scuola, hanno voluto parlare di perdita e lutto. Lo hanno fatto in maniera gentile e positiva, certo, ma come per Gris e What Remains of Edith Finch la tematica della morte è centrale, e intorno a essa ruota tutta la narrativa di questo titolo indipendente francese.
Lo stile estetico scelto dal duo, supportato da ARTE France, strizza l'occhio alle illustrazioni di Antoine de Saint-Exupéry e ai Moomin di Tove Jansson, e le variegate cromie delle ambientazioni colpiscono senz'altro gli occhi dei giocatori. Altrettanto efficaci le meccaniche puzzle, mentre la narrazione, come vedremo, ci ha lasciati più tiepidi.
Vi parleremo di tutti questi aspetti nella nostra recensione di How to Say Goodbye.
Perdersi per ritrovarsi
È abbastanza comune iniziare un'avventura videoludica con l'editor del personaggio principale, ma non ci era mai capitato di dover scegliere l'identità di una persona appena defunta e il suo piatto preferito, il tutto partendo dalla camera d'ospedale che ha ospitato il suo ultimo respiro. How to Say Goodbye è sempre delicato nel trattare il difficile tema della morte, ma il suo inizio sorprendente è forse il momento più intenso per il giocatore, che inevitabilmente si troverà a pensare al proprio vissuto e a rievocare una persona cara che non c'è più.
Nel corso dell'avventura si interpreteranno vari personaggi, ma nelle battute iniziali si vestono i panni eterei dello spirito della persona appena scomparsa, alla ricerca di una via d'uscita dai corridoi e dalle stanze di quell'ospedale che vogliamo solo lasciarci alle spalle. Lo spirito, come è comprensibile, vuole tornare a casa dai suoi cari: una storia universale, raccontata da religioni e mitologie di tutto il mondo, e resa centrale anche in How to Say Goodbye. Come si scoprirà nel corso del gioco, però, gli spiriti, esattamente come chi è rimasto in vita, devono imparare ad andare avanti, pena diventare degli Spleen, esseri spettrali incapaci di accettare la propria morte e condannati a restare in un inquietante limbo per l'eternità.
Non mancano situazioni di grande poesia, soprattutto nelle fasi in cui si cita un grande capolavoro della letteratura francese: date le ispirazioni di How to Say Goodbye, siamo certi che ai giocatori non risulterà difficile scoprire quale. Tuttavia, la narrazione perde ben presto di mordente e di urgenza, per poi giungere a un finale deludente e talmente brusco da far sembrare l'avventura incompleta. Ed è un peccato, perché le potenzialità di How to Say Goodbye sono tante e ben visibili, fortunatamente meglio sfruttate dal punto di vista del gameplay.
Sempre in movimento
Le meccaniche di gioco di How to Say Goodbye sono talmente semplici e intuitive da non richiedere spiegazioni. Non si muovono direttamente i protagonisti, bensì i riquadri su cui questi poggiano, e a essere trascinati non saranno soltanto loro, ma anche tutti gli oggetti presenti sulla stessa linea. A questa dinamica di base si aggiungono, nel corso dell'avventura, tanti altri elementi implementati alla perfezione, capaci di costringere il giocatore a rivedere i propri schemi di pensiero e le proprie strategie: buchi neri, serrature, componenti semoventi contribuiscono a mantenere alta l'attenzione per tutte le tre ore necessarie a completare i sedici capitoli del gioco.
Abbiamo apprezzato la scelta degli sviluppatori di creare puzzle risolvibili in qualsiasi stato: esattamente come accade con il celebre cubo di Rubik, i quadri di How to Say Goodbye non possono mai trovarsi in una situazione in cui debbano essere resettati, e il giocatore può sempre trovare la strada giusta per attraversare la porta di fine livello. Ulteriore nota di colore sono gli spiriti, presenti in molte ambientazioni, con cui i protagonisti possono chiacchierare: ci siamo spesso trovati nella situazione di volere a tutti i costi raggiungerli, scoprendo puntualmente personaggi interessanti, ciascuno con la sua malinconica visione dell'esistenza e di ciò che viene dopo la sua conclusione nel mondo terreno.
Menzione d'onore per lo stile estetico adottato da Veltman e Portefaix, sempre efficace, pulito e di grande bellezza nei suoi cromatismi variegati in tutte le numerose ambientazioni di How to Say Goodbye. Si tratta di un videogioco adatto a grandi e piccini, ma alcuni enigmi sono in grado di mettere in difficoltà anche i puzzle gamer più navigati, e questo non può che essere un piacere per chi cerca un discreto grado di sfida. Ottimo anche l'accompagnamento sonoro, che mantiene viva una sensazione di esplorazione onirica e, al contempo, permette al giocatore di concentrarsi sui rompicapi da risolvere.
Peccato per l'assenza di una traduzione in lingua italiana, cosa che rende imprescindibile una conoscenza almeno basilare dell'inglese se si desidera apprezzare i dialoghi: ricordiamo però che per comprendere le meccaniche del gioco e concludere l'avventura non è necessario leggere alcun testo a schermo.
Conclusioni
How to Say Goodbye è un videogioco che parla di morte e accettazione con grande delicatezza e tatto, ma purtroppo fallisce nel costruire una urgenza narrativa e si arena su un finale insoddisfacente. Al contempo, possiamo dire che quello che conta davvero è il viaggio in un mondo composto da puzzle sempre impeccabili e coinvolgenti, con meccaniche semplici da apprendere, ma stimolanti sia per i grandi che per i più piccoli. Un gioco davvero per tutti, insomma, nonostante i temi trattati, capace di tenere incollati allo schermo per tutte le circa tre ore di durata e di rimanere nel cuore con il suo art style delizioso e curato.
PRO
- Gameplay semplice e immediato
- Puzzle sempre stimolanti
- Art style rifinito e originale
CONTRO
- Narrativa decisamente sotto le aspettative
- Finale deludente
- Assente localizzazione in lingua italiana