Mettiamola così: se siete puristi di Tolkien e vi hanno (giustamente) disturbato le famiglie tradizionali degli Uruk, i baci appassionati tra Elfi e Tom Bombadil che fa il Maestro Yoda nel deserto, le prossime righe non vi saranno di alcun conforto. Se invece avete preso Gli Anelli del Potere 2 per quello che è, e cioè intrattenimento televisivo a cadenza settimanale, è assai probabile che questa seconda stagione vi abbia finanche divertito. In fondo ha tutto ciò che dovrebbe avere una serie TV fantasy multimilionaria: grandi battaglie, scenari mozzafiato, musiche trionfali e citazioni a tutta forza.
Ma è bastato questo a rinforzare un'opera che ha affrontato una critica spietata, seppur in parte giustificata dagli scivoloni e le leggerezze della prima stagione? Gli showrunner J. D. Payne e Patrick McKay saranno riusciti a limare le spigolosità che dovevano essere limate, rimettendo in carreggiata la loro versione di una delle storie più amate di tutti i tempi? Proviamo a rispondere nelle prossime righe, che potrebbero contenere spoiler e anticipazioni sull'intera stagione: siete avvisati.
Sottotrame e personaggi
Se dovessimo scegliere una parola per descrivere questa seconda stagione de Gli Anelli del Potere, sarebbe sicuramente "frustrante". Sembrava cominciata con tutta l'intenzione di rettificare i problemi di scrittura e di scorrevolezza della prima annata, salvo poi ricascarci con tutte le scarpe mentre si barcamenava nella gestione di molteplici archi narrativi paralleli. A lungo andare, la pletora di sottotrame ha finito con l'appesantire la narrazione, rendendo soprattutto gli ultimi episodi particolarmente erratici, seppur coinvolgenti.
In questo senso, il finale di stagione rappresenta perfettamente questa tranche di episodi o, se vogliamo, l'intera serie targata Amazon: è spettacolare, bellissimo da vedere, meraviglioso da sentire, e poi tra una scena veramente epica e l'altra capitano scelte di comodo, decisioni incomprensibili e citazioni forzate. Ed è un peccato, perché Gli Anelli del Potere si eleva spesso sopra le aspettative, salvo ruzzolare a ogni scivolone semplicemente perché porta un nome di importanza monumentale che, agli occhi di molti spettatori, non ammette sconti e ingigantisce le minuzie.
Le suddette sottotrame, per esempio, sono un esempio chiarissimo del ginepraio in cui si sono cacciati gli showrunner quando hanno deciso di reinterpetare il Legendarium tolkeniano a modo loro. Pur considerando l'incompiutezza di molti archi narrativi - siamo alla seconda stagione di una serie che ne prevede almeno cinque - quest'anno vincono a mani basse quello dei Nani e quello dell'Eregion, sostenuti da performance eccellenti: Owain Arthur, Peter Mullan e Sophia Nomvete hanno trainato la faida dei Durin per quasi tutti gli episodi grazie a una vicenda dai contorni più intimi che si è chiusa su una scena davvero memorabile, merito anche di un lavoro di fino sugli effetti speciali (il Balrog è praticamente indistinguibile da quello dei film di Peter Jackson).
Allo stesso modo, la forgiatura degli anelli è continuata nell'Eregion mentre il Celebrimbor di Charles Edwards duettava col Sauron - anzi, Annatar - di Charlie Vickers. Quest'ultimo è stato una vera rivelazione: nella prima stagione è passato inosservato fino alla fine mentre interpretava Halbrand, salvo poi scatenarsi nel ruolo di Annatar, dando sfogo a una cattiveria sottopelle che è difficile da descrivere. Vickers ha letteralmente tenuto sulle spalle una stagione che, direttamente o indirettamente, era tutta incentrata su di lui.
Gli altri archi narrativi sono stati meno convincenti, in primis quello di Númenor, forse a causa della "compressione temporale" che gli ha impedito di respirare, stabilendo una serie di gerarchie e tematiche portanti che ci facessero avere a cuore il destino di questi uomini: al contrario, le tempistiche limitate, e tutte dedicate alle caratteristiche più spregevoli della città, hanno macchiato una sottotrama che è rimasta con una finestra sulle prossime stagioni. Almeno abbiamo visto Narsil, è già qualcosa.
Lo stesso è accaduto alla storyline dello Straniero (Daniel Weyman) che ora sappiamo essere veramente Gandalf, attraverso un maldestro gioco di parole. Il suo arco narrativo, che ha coinvolto anche le due Pelopiedi Nori e Poppy, è stato soltanto l'antipasto di una storia totalmente inedita; tuttavia è apparso quasi un riempitivo, smistato tra i vari episodi, che è arrivato a una rivelazione a dir poco telefonata da millemila riferimenti, citazioni e omaggi, a cominciare dall'introduzione dell'enigmatico Tom Bombadil. Siamo curiosi di sapere se lo Stregone Oscuro sia Saruman: ciò farebbe probabilmente venire un infarto ai puristi e da quello che l'attore Ciarán Hinds ha detto in più momenti ("vecchio amico"?) è assai probabile che la popolazione mondiale diminuirà di conseguenza.
Le altre sottotrame si intrecciano e convergono a fasi alterne, ruotando intorno ad alcuni personaggi. Come nel caso di Nori e Poppy, sembra che la stagione 2 abbia dato almeno un temporaneo benservito anche a Theo - è evidente che gli showrunner non sapevano cosa fare né di lui né di sua madre Bronwyn, uccisa fuori campo tra una stagione e l'altra - mentre l'arco narrativo di Isildur ci ha poco convinto: un grosso riempitivo per mettere in scena gli Ent e responsabilizzare il ragazzo in vista del suo futuro (non tanto) glorioso.
La stagione 2 sembrerebbe aver cercato di aggiustare il tiro su alcuni personaggi problematici della prima annata. L'Elfo dalla pelle scura che ha fatto arrabbiare i razzisti del web ha un ruolo molto più marginale da vero e proprio deus ex machina: Arondir compare praticamente ogni volta che servono delle piroette in stile Legolas per salvare qualcuno ma, insieme all'amata Bronwyn, ha perso una ragione di esistere, e questo è un problema per un personaggio totalmente inedito. Payne e McKay sono chiaramente in difficoltà: hanno stabilito un conflitto tra Arondir e Adar - altro personaggio inedito - che è rimasto insoluto. E la bizzarria sta nel fatto che Adar è stato un personaggio molto più affascinante, grazie anche all'interpretazione del nuovo attore Sam Hazeldine.
Gli showrunner hanno inoltre ridimensionato enormemente il divisivo personaggio di Galadriel, considerato ingombrante a più livelli: un po' perché non rispetta la visione tolkeniana, un po' perché l'attrice Morfydd Clark non sembra perfettamente a suo agio in un ruolo d'azione, un po' perché è una donna e i maschi alfa si sentono minacciati. Insomma, era un personaggio difficile da scrivere in partenza, così in questa stagione si è preferito dare più spazio a Elrond, consegnando alla futura Dama dei Boschi l'inevitabile rematch con Sauron sul finale.... e una serie di scelte scellerate ma molto hollywoodiane.
Spettacolarità a corte
Probabilmente il problema più grosso de Gli Anelli del Potere è proprio questo: è una serie TV di incredibile fattura, merito sicuramente di un budget spropositato ma comunque ben speso nella ricostruzione degli scenari in computer grafica e nel confezionamento di costumi e scenografie convincenti. Magari non arriva ai livelli sopraffini della Weta che ha lavorato alla trilogia di Peter Jackson, ma è innegabile che alcuni scorci mozzino il fiato e che alcune sequenze particolarmente ricercate facciano venire la pelle d'oca grazie alle musiche del sempre straordinario Bear McCreary.
Gli Anelli del Potere cerca continuamente la soluzione epica, la ripresa trionfale che immerge lo spettatore nel suo mondo: qualche volta ci riesce, altre volte inciampa goffamente, vittima di una sorta di complesso di inferiorità che finisce con lo sminuire quella grandezza che potrebbe raggiungere anche da sola. La stagione 2, in particolare, è costellata di riferimenti e citazioni che nella maggior parte dei casi appaiono stucchevoli, tra battute già pronunciate dal cast di Peter Jackson oltre vent'anni fa e omaggi visivi un tantinello forzati, tipo Elendil che sguaina Narsil davanti a Miriel proprio come fa Aragorn quando gliela consegna Elrond: un movimento insensato considerata l'urgenza della situazione.
Il punto è che Gli Anelli del Potere potrebbe tranquillamente sorreggersi sulle proprie gambe senza ricorrere all'effetto nostalgia, che fa sembrare gli sceneggiatori ancora più acerbi e insicuri. In realtà, nella stagione 2 ci sono dei netti miglioramenti anche sotto questo punto di vista: il ritmo è più serrato, c'è un maggiore equilibrio tra azione e introspezione, i dialoghi ci sono apparsi più scorrevoli - e come sempre i nostri doppiatori sono inappuntabili - e in generale lo show è tecnicamente superiore alla stagione d'esordio. Charlotte Brändström si riconferma la regista migliore della compagine: ha diretto magistralmente gli ultimi due episodi, uscendo peraltro dalla sua comfort zone per cimentarsi in viscerali scene di guerra e combattimenti.
Forse il problema de Gli Anelli del Potere continua a essere questo: ha un'incostanza di fondo che risalta a causa dell'opera cui fa riferimento, considerata praticamente perfetta dalla stragrande maggioranza del pubblico. Sapevamo fin dall'inizio che il confronto con gli scritti di Tolkien e con la prima trilogia di Peter Jackson sarebbe stato a dir poco periglioso, ed è indubbio che continui a pesare su alcuni più che altri. Amazon ora ha altri due anni per limare le spigolosità; in questo senso, le prime due stagioni, che ci hanno raccontato la forgiatura degli anelli, sono state un preambolo, una sorta di fase di addestramento. Il bello deve ancora venire e speriamo che sappiano raccontarcelo ancora meglio.
Conclusioni
Multiplayer.it
7.0
La seconda stagione de Gli Anelli del Potere ha migliorato molto la base di partenza, tuttavia restano alcuni problemi radicati nella concezione di questo show su cui una certa parte del pubblico non riuscirà mai a soprassedere. Presa come una serie fantasy a sé, Gli Anelli del Potere è un prodotto che fino a pochi anni fa non ci saremmo mai sognati di vedere in TV, ma ha un nome talmente importante che ogni sbavatura finisce per pesare cento volte di più. Poi c'è la questione della fedeltà alle fonti, che è un nodo impossibile da sciogliere: bisogna prendere atto che lo show di Payne e McKay reinterpreta le storie di Tolkien e mettersi il cuore in pace. Magari si riuscirebbe ad apprezzare di più ciò che di buono ha da offrire che, al netto di qualche scemenza, è anche parecchio.
PRO
- Il Sauron di Charlie Vickers
- L'arco narrativo di Khazad-dûm
- Impressionante a livello tecnico
CONTRO
- I riferimenti stucchevoli ai film di Peter Jackson
- L'arco narrativo di Isildur
- In certi momenti la scrittura è assai discutibile