You’re lying, dammit, and I can prove it!
Abbiamo dovuto attendere la conversione per Nintendo DS di Gyakuten Saiban 1 (conversione fornita, tra le altre cose, di testo bilingue anglo-nipponico già all'uscita giapponese) per poter mettere finalmente le mani su questo tanto decantato "simulatore d'avvocato" e capire se ha la possibilità di incontrare i nostri gusti. Data una tematica dal sapore fortemente occidentale malgrado l'ambientazione e i toni smaccatamente nipponici della storia, verrebbe spontaneo rispondere di sì. Ma allora, cos'avrebbe Phoenix Wright di tanto "incompatibile" con la concezione nostrana di videogioco? Urge fare una precisazione di vitale importanza: abbiamo davanti un prodotto con un'ossatura da adventure nel senso più giapponese del termine, ovvero basata su una serie di portrait in stile anime dei personaggi, che si esibiscono in repentini cambi di espressione che spaziano dal comico al drammatico, il tutto sovrastato da montagne di testo che deve essere necessariamente letto e capito nella sua interezza. Eppure, nonostante questo retrogusto orientaleggiante, si percepisce anche un'anima che rimanda prepotentemente a una decina di anni fa, quando le avventure punta e clicca della LucasArts facevano il pieno di consensi tra i videogiocatori più accaniti: sarà forse lo humor, oppure il modo di trattare i personaggi e la grafica pixellosa. Ma andiamo con ordine. Proprio come un vero telefilm giallo, Phoenix Wright poggia su una struttura episodica i cui casi, tuttavia, vanno a formare una rete di rimandi e di storie strettamente collegate tra loro per eventi e personaggi. Il primo capitolo si presenta subito a noi con la scena di un crimine, per poi catapultarci repentinamente nei panni di Phoenix Wright, avvocato tirocinante al suo primo caso. È stato saggiamente deciso, allo scopo di insegnare i rudimenti delle meccaniche di gioco più peculiari, di far iniziare l'avventura immediatamente in tribunale, dove il nostro scopo è quello di presentare la prova decisiva che scagioni l'imputato nostro cliente, quasi sempre a scapito delle deposizioni dei testimoni che non di rado si rivelano essere i veri colpevoli. Per far questo occorre ingaggiare con la pubblica accusa una vera battaglia combattuta a suon di obiezioni, di pressioni sui testimoni e di presentazioni di prove (raccolte nella schermata dell'inventario man mano che vengono presentate e spesso oggetto di modifiche e aggiornamenti con l'evolversi della trama). Quando, per la precisione, è possibile compiere tutte queste azioni? La fase del controinterrogatorio è la vera chiave: mentre il testimone chiamato a deporre ripete parola per parola le sue dichiarazioni, lo si interrompe per chiedere ulteriori informazioni qualora dovessero risultare troppo vaghe oppure le si confronta in tempo reale con le prove e i documenti a propria disposizione, e non appena si trova un fatto che contraddice direttamente quando detto lo si presenta al giudice. La vera sfida sta nell'individuare, per mezzo di un ragionamento a volte ponderoso e a volte più intuitivo, il momento giusto in cui giocare la propria carta vincente: basta un attimo di distrazione per trasformare il proprio momento trionfale in una discesa nell'abisso, perché se si utilizza una prova nel momento sbagliato il giudice deciderà di penalizzarci, fino a chiudere il caso a favore dell'accusa se gli errori dovessero ripetersi più di un certo numero di volte. La sensazione di umiliazione in questi casi è viva e palpabile, ma fortunatamente il gioco mette a disposizione un provvidenziale sistema di salvataggio libero che consente di recuperare anche dagli scivoloni più fatali. Non mancano neppure momenti di deduzione pura in cui si è chiamati a esprimere la propria opinione (si spera fondata) o ad indicare i punti controversi di un qualche materiale visivo. Già nel prologo i colpi di scena e i momenti di tensione, quelli in cui non si è sicuri di aver fatto la cosa giusta o si ha l'impressione di brancolare nel buio mentre il nostro avversario compie uno spettacolare colpo di coda, non vengono minimamente risparmiati, ma proprio per questo l'appagamento quando si riesce infine a dimostrare di avere ragione non potrebbe essere più grande. E le emozioni sono appena all'inizio: già con il secondo capitolo si entra nel vivo dell'azione e occorre fare i conti con una fase tutta nuova, quella investigativa. Alternata alle tre mattinate in cui si svolge il processo, questa parte ci conduce alla visita dei luoghi legati al delitto per parlare con le persone coinvolte o semplicemente per raccogliere indizi e prove importanti. È in questo momento che fa capolino, ovviamente, la natura più genuinamente adventure di Phoenix Wright. Il doppio sistema di controllo, via pennino e tasti, si rivela efficace per tutte le occasioni e i due metodi possono essere alternati senza troppa fatica. Le schermate statiche che occorre esaminare per raccogliere gli oggetti e i dialoghi con i colorati personaggi ricordano molto un altro adventure per DS, quell'Another Code che ha incantato molti (e deluso altri) con le sue meccaniche deliziosamente old school. Possiamo addirittura dire che, nonostante la sua nascita precedente, Phoenix Wright sia tutto quello che il titolo della Cing avrebbe voluto essere senza riuscirvi. Come in Another Code e nel novantanove per cento delle avventure, comunque, non mancano momenti in cui si rimane bloccati per aver mancato di ritrovare un oggetto nascosto in un pixel di una certa schermata, o per aver dimenticato di esaminare un singolo elemento di uno scenario, né attimi in cui si ha l'impressione di scorrere semplicemente lungo dei binari, andando per tentativi finché non si genera l'evento che porta ad avanzare nella storia. Sprazzi di sospetto emergono anche durante i processi, perché nonostante la logica abbia di solito il sopravvento, capita di dover procedere a tentoni utilizzando tutte le prove in proprio possesso (riavviando altrettante volte) fino a trovare quella giusta, oppure di interrogare a fondo un testimone solo per innescare la reazione del giudice o dell'accusa.
La Fenice rinasce
"Rise from the Ashes" è il titolo del capitolo aggiuntivo appositamente progettato per funzionare alla perfezione sul DS. Pur soffrendo di un inserimento evidentemente forzato all'interno della rigorosa storyline della serie, il quinto caso riesce nel tentativo di prolungare l'esperienza offrendo al giocatore nuovi strumenti ludici. Già a partire dal secondo giorno di investigazione si acquisiscono due oggetti indispensabili: lo spray Luminol, da spruzzare sulle superfici per mezzo del touch screen allo scopo di scoprire macchie di sangue lavate via, e la polvere d'alluminio per la rilevazione delle impronte digitali. Dopo essere stata sparsa sul punto d'applicazione, essa va soffiata via con il microfono, e le impronte così ottenute vanno poi raffrontate con quelle in archivio. In più, alcune registrazioni animate e l'esame tridimensionale degli oggetti donano un tocco aggiuntivo. Che si tratti di un test per la realizzazione di Gyakuten Saiban 4, il prossimo episodio originale pensato esclusivamente per il Nintendo DS?
La corte dei miracoli
I difetti enumerati sopra non dovrebbero comunque trarre in inganno sul reale valore di Phoenix Wright: Ace Attorney. Il grado di assuefazione che la struttura molto valida delle sue storie è capace di generare tocca vette che solo i grandi esponenti del genere riescono a raggiungere senza alcuno sforzo. I quattro casi "di base" sono progressivamente più coinvolgenti, complessi e ricchi di colpi di scena che si susseguono a un ritmo vertiginoso e dosato in modo da causare una forte dipendenza. Questo lavoro di perfetta orologeria non servirebbe a nulla, però, se protagonisti e dialoghi non fossero all'altezza del palcoscenico allestito con tanta abilità dal piccolo team (una trentina di persone al massimo) della Capcom. Ed ecco quindi che una sfilata di personaggi ora bizzarri, ora inquietanti e affascinanti, ora completamente idioti, ma sempre e comunque tratteggiati magistralmente, fa la sua comparsa sulle scene di una commedia giudiziaria sopra le righe che non cade mai di tono. Perché la particolarità di Phoenix Wright, o meglio di tutta la serie di Gyakuten Saiban, sta nella sua capacità di non prendersi mai sul serio risultando comuque incredibilmente toccante e pieno di tensione. Tra otaku e dark lady, scambi di frecciate tra avvocati e giudici al limite dell'oltraggio alla corte, improbabili tragedie forensi, irresistibili giochi di parole e drammi irrisolti che tornano dal passato è davvero difficile, se non impossibile, annoiarsi e non sorridere neppure una volta. Il tutto è supportato da artwork eccezionali, indice di un character design di alto livello e animati secondo le più canoniche regole dell'animazione giapponese, e da un sonoro semplicemente indispensabile: si provi ad affrontare le sezioni processuali senza le (eccellenti) musiche e i veementi "Obiezione!" del giovane Phoenix e del suo rivale Edgeworth e si prenda nota del deciso downgrade emotivo che esse subiscono. E quando tutto sembra finito e i titoli di coda sono ormai scorsi, arriva inaspettato e deciso un "Un attimo!": è il momento di affrontare il quinto capitolo, quello che giustifica l'intera riedizione su DS del gioco e che è in grado di introdurre nuove interessanti variazioni sul tema nelle investigazioni dell'avvocato Wright. Un'ultima precisazione riguardo alla traduzione italiana, che ci ha fatto attendere parecchio rispetto alle altre lingue europee prima di raggiungere i negozi: fortunatamente il risultato è ottimo, come Nintendo ci ha ormai abituato da ormai diversi anni.
Commento
Phoenix Wright: Ace Attorney è lineare, sì. Blocca il giocatore finché questi non ragiona secondo le sue regole e lo costringe a proseguire entro binari prestabiliti, è vero. Alla luce di questi due fatti, e posto che si tratta, per di più, di una conversione da Game Boy Advance, potrebbe sembrare assurdo affermare che ci troviamo davanti a uno dei titoli più validi usciti finora su Nintendo DS. Eppure, è innegabile che così sia. Il gioco ha il sapore, dolce e un po' nostalgico, di uno di quei vecchi adventure per PC che hanno accompagnato gli anni verdi di tanti videogiocatori, ma a questo si deve aggiungere l'elemento di freschezza e prestigio rappresentato dall'inclusione, più che benvenuta, delle parti processuali, vero cuore di tutta l'esperienza. Il crescendo degli eventi è così ben orchestrato e piacevolmente sopra le righe da generare dipendenza entro breve tempo, e chi riesce a non ridere davanti all'ennesimo siparietto o a non provare soddisfazione quando finalmente inchioda un testimone bugiardo ha solo due scuse: o soffre di una grave allergia per le storie a sfondo giudiziario, oppure semplicemente odia visceralmente questo genere di videogiochi.
Pro
- È un'avventura classica eppure estremamente originale
- Alto grado di coinvolgimento emotivo
- Personaggi e storie caratterizzati divinamente
- Struttura fin troppo lineare
- L'atmosfera farsesca potrebbe irritare chi cerca un gioco dai toni seri e rigorosi
- Tasso di rigiocabilità prossimo allo zero
L'ultima generazione di console sta vedendo la continua affermazione di una tendenza decisamente lodevole: quella di portare ai giocatori americani ed europei prodotti che prima si pensavano adatti soltanto al più "eccentrico" pubblico giapponese. Carenza di idee sul fronte dei "giochi per tutti"? Forse. Voglia di espandere un mercato che potrebbe attirare una fetta di utenza decisamente maggiore di quella che tutt'ora lo segue con costanza, esattamente come avviene in Giappone, dove quella dei videogiocatori è una categoria estremamente varia e sfaccettata? Chi può dirlo. Da appassionati del videogioco in quanto tale, quello che gratifica e diverte chi lo fruisce, non possiamo che essere felici dei risultati che questa rinnovata politica ha prodotto nel parco titoli disponibile qui da noi su svariate console, sia portatili che casalinghe. Questa premessa serve a spiegare che Phoenix Wright: Ace Attorney appartiene proprio a quella folta schiera di opere "di nicchia" che solo qualche anno fa non avrebbero mai avuto speranze di vedere la luce oltre le terre dell'Arcipelago. È, di fatto, l'esempio perfetto per illustrare come siano cambiati i tempi: nata nel 2001 su Game Boy Advance proprio con il gioco che ci troviamo a recensire oggi, la serie di Gyakuten Saiban ha visto poi la nascita di altri due episodi, anch'essi rimasti confinati in Giappone, dove hanno riscosso ampi consensi. Al progetto, di fatto, hanno partecipato personalità decisamente illustri di casa Capcom, come l'Atsushi Inaba poi creatore di Viewtiful Joe e Shinji Mikami, un uomo che non ha decisamente bisogno di presentazioni; tutto nacque dall'idea di un giovane appassionato di storie di detective e suspense, che avrebbe voluto creare un gioco in cui occorreva interrogare i personaggi per scoprire il colpevole di un misfatto. Niente di particolarmente originale, se non fosse stato per un piccolo tocco di genio: quegli stessi interlocutori non dovevano essere necessariamente sinceri, come sempre accade negli adventure, ma spesso e volentieri avrebbero mentito per insabbiare piccoli e grandi crimini, lasciando al giocatore il compito di smascherarli. Una volta compreso che la migliore ambientazione per porre in risalto questa caratteristica sarebbe stata un tribunale in pieno stile Perry Mason, con l'avvocato difensore impegnato a fornire le prove per far scagionare il proprio cliente e allo stesso tempo contraddire testimoni in odore di spergiuro, le basi per il fulcro dell'"azione" di Gyakuten Saiban erano gettate.