La grande fuga
Già dalle prime battute, il prodotto sviluppato da Surreal Software si prodiga per settare nuovi standard del disturbo, ma senza andare mai veramente in fondo com’è riuscita a fare Konami con la celeberrima saga di Silent Hill. Quello di TS è un approccio squisitamente occidentale, basato interamente sulla viscerale potenza delle immagini. Titoli sudici e tremolanti, flagellati da demoniaci fotogrammi subliminali fanno da tramite verso la modalità principale e alcuni extra, ovviamente in tema con lo spirito generale. Al canonico “making of” si affianca un filmato molto più inusuale, la panoramica sulle locazioni reali che hanno ispirato gli ambienti di gioco: fatiscenti penitenziari. Ed è proprio in una laida prigione che l’avventura ha inizio, nella cut-scene d'apertura facciamo conoscenza con l’eroe (si fa per dire) di turno, Torque, scortato nel suo poco confortevole loculo. Il plot non è dei più sereni, difatti sul tizio in questione gravano accuse molto pesanti, l’uccisione della propria famiglia. Questo ameno elemento mette rapidamente in chiaro l’indole della sceneggiatura scritta da Surreal, volutamente cattiva e immorale, in modo da impersonare senza troppi convenevoli il giocatore in un alter ego non necessariamente positivo. Il protagonista nasconde infatti una natura sopita quanto incontrollabile, che esploderà nel corso del gioco conferendogli poteri disumani, nella miglior tradizione dei comics statunitensi (vedi Hulk). Il nostro aitante galeotto si renderà ben presto conto che le sbarre ed i suoi poco rassicuranti compagni di cella saranno l’ultimo dei suoi problemi, soprattutto quando il penitenziario si popolerà di creature ripugnanti, e ben poco varrà la resistenza delle guardie. Da qui in avanti l’avventura sarà un calvario di violenza e sangue con contorno di interiora esposte e visioni aberranti. L’inizio è disorientante, apocalittico ma non deleterio, proprio per abituare il player ai comandi, non proprio praticissimi. Non saremo subito impegnati in battaglia, ma ci muoveremo tra cadaveri sbudellati e fiumi di pomodoro, intravedendo figure nell’ombra e grida disperate, ma senza avere mai la benché minima idea di cosa stia succedendo. Una cosa è certa, nella prigione si è scatenato l’inferno e nella mente di Torque si fa strada un solo pensiero, la fuga. [C]
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Potrai sopravvivere all'orrore assoluto?
Come accennato, i comandi non si distinguono in praticità a causa di una scelta bizzarra da parte dei programmatori: in qualsiasi momento è possibile passare da una visuale in terza persona a quella in soggettiva. Se questo rappresenta una consuetudine nel genere, non lo è il fatto che le due inquadrature abbiano pari priorità, ma approcci e necessità ludiche ben diverse. Se nella visuale esterna il titolo assomiglia molto ad un’avventura, con la soggettiva si trasforma in un FPS, lasciando il giocatore piuttosto inadeguato a gestire la situazione. E’ infatti impossibile compiere tutte le azioni richieste senza utilizzare entrambe le inquadrature. I combattimenti corpo a corpo/armi da fuoco impongono la soggettiva per mirare correttamente agli avversari, laddove le azioni di ingegno ed esplorazione rendono imprescindibile quella esterna. Tutto questo sarebbe anche positivo se i controlli si dimostrassero di pari natura ambivalente, ma di fatto sono legati ad un approccio da FPS per console, con la levetta analogica sinistra demandata alla direzione e la destra agli spostamenti. Ne risulta una macchinosità eccessiva nella visuale in terza persona, come già detto assolutamente proibitiva in concomitanza di scontri collettivi, affatto rari. A rincarare la dose concorre la discutibile realizzazione tecnica della soggettiva, del tutto priva del tipico “effetto falcata” del personaggio, che rende la sgradevole sensazione di spostarsi su binari ed anche l’animazione delle armi è ben sotto i livelli medi. La naturale conseguenza di questa scelta di gameplay è che il giocatore passerà continuamente tra le due modalità, perdendosi fra esse senza trarne tutti i vantaggi. La confusione fortunatamente è in parte mitigata dalla curiosità di scoprire le sorprese celate dai programmatori, che certo non sono poche e quantomeno visivamente piacevoli. Abbiamo già citato l’elevato tasso di violenza che caratterizza l’opera, la quale esplode senza troppi scrupoli in momenti di inusitato sadismo. Il sangue scorre davvero ovunque e non risparmia nemmeno il protagonista, sovente imbrattato fino ai piedi. Elevata la presenza di elementi disturbanti (non fosse solo per l’ambientazione), ben evidenziati dai flashback che attanagliano Torque sulla sua famiglia sterminata, e le mostruose immagini subliminali. TS è un titolo che sa giocare bene sui nervi del giocatore anche se certe situazioni presentano degli eccessi talmente marcati da sfociare nel grottesco: tra crudeli esecuzioni, esperimenti nazisti ed altre scellerate atrocità, il gioco si presenta come un campionario d’orrori un po' insensato, ma adeguatamente morboso e macabro da offrire spunti agli appassionati del genere.
Xbox vs PS2
The Suffering è disponibile sia per Xbox che PS2, ma come in altri titoli pensati per il multipiattaforma, è la console Microsoft ad uscire vittoriosa dal confronto: framerate decisamente migliore, seppur soggetto a cali, ed una definizione generale più marcata. Le differenze non sono nette come in altri titoli che abbiamo testato, ma sono comunque avvertibili.
Le pareti... Escono dalle fottute pareti!
Il character design è curato da una vera autorità, quello Stan Winston che ha dato vita all’indimenticabile Predator, non poco citato nei sinistri rumori emessi dalle creature. In termini di originalità, ci ha lasciati perplessi la rappresentazione visiva della “fanteria semplice”, che sembra imparentata con il Voldo namchiano di Soul Edge. In compenso i loro pattern d’attacco risultano imprevedibili per la loro natura aracno-antropomorfa, e vederli arrampicarsi sulle pareti e soffitti per poi avventarsi sul giocatore rende le situazioni molto divertenti. Torque ha tanti modi per difendersi, in larga misura armi da fuoco sempre più potenti e minacciose, nella tradizione dei migliori FPS, ma come anticipato all’inizio della recensione, è possibile avvalersi di un potere aggiuntivo estremamente letale. Previo riempimento di un’apposita barra energetica, il nostro eroe si tramuterà in una gigantesca e mostruosa creatura, dotata di lame al posto delle braccia, e delle peggiori intenzioni! In questa modalità si raggiunge l’apoteosi del caos, con arti che schizzano via come noccioline e ondate interminabili di plasma. Bisogna ammettere che risulta divertente flagellare qualsiasi cosa si trovi nei paraggi in balia da delirio di onnipotenza, ma questo status funziona solo per un periodo limitato. La scelta non risulta esclusivamente funzionale all’effetto scenico, in quanto a gioco avanzato non mancheranno scontri impegnativi a pieno favore degli avversari, inutile sottolineare come un utilizzo oculato di tale feature equivalga alla proverbiale smart bomb di uno spara e fuggi. I problemi purtroppo risiedono da altre parti, non limitandosi al controllo del protagonista, ma ad una generale monotonia del gameplay, troppo ancorato ad uno sviluppo che sembra tenere maggior conto dell’azione blastatoria piuttosto che ragionata. Il level design poco ispirato fa il resto, passato il fascino di muoversi dentro un minaccioso penitenziario, il gioco si ripiega pericolosamente su se stesso, schiacciato da ambienti un po'ripetitivi, inframezzati da interminabili corridoi e sezioni all’aperto che, però, non riequilibrano la situazione. Del tutto assente l’interazione con i NPC, limitata al supporto di qualche sopravvissuto per trovare la via di fuga e poco altro. Al giocatore non rimane altro che sparare come un forsennato, barcamenandosi tra i controlli e risolvendo una tantum enigmi mai troppo impegnativi. Da sottolineare l'ottima localizzazione in italiano del gioco, che aiuta di molto il crescere dell'atmosfera sulle ossa e la pelle di chi si avventura in The Suffering.
Commento
The Suffering è il primo tentativo di fusione tra un survival horror ed un fps, ma resta indissolubilmente legato a dinamiche che antepongono quasi sempre l’azione blastatoria a quella mentale. I cultori del genere troveranno sicuramente motivi di interesse, in particolar modo per le numerose trovate da cardiopalma ed una violenza a tratti esilarante nei suoi eccessi. Salvo non aspettarsi una nuova icona nel genere, il gioco ha i suoi momenti in virtù dell’atmosfera piuttosto indovinata, ma risente di un level design un po' piatto ed una generale monotonia delle ambientazioni. La natura ibrida conferita dalle due inquadrature non ottiene gli effetti sperati, anche se rappresenta uno sforzo encomiabile da parte dei programmatori. Tutto sommato un titolo godibile, ma le nostre aspettative sono state in parte tradite.
Ancora prima di arrivare nei negozi, The Suffering si era già conquistato la fama di titolo più violento e sanguinario di questa generazione. Oggi la final in nostro possesso non delude certo le aspettative in questo senso. Mutilazioni e globuli rossi sono i veri protagonisti del titolo Acclaim, contribuendo ad una nuova, sperticata lode all’ultraviolenza digitale. Benvenuti all'inferno. Benvenuti a The Suffering.