Come già accaduto in passato con alcune delle serie più importanti e seguite, anche con la terza stagione di The Witcher, Netflix ha adottato la formula strategica della distribuzione in 2 parti separate e scadenzate nel tempo. Un modo molto furbo per non tradire quello che da sempre è l'elemento più caratterizzante dell'azienda: la disponibilità di tutte le puntate al lancio e il conseguente fenomeno del binge watching tanto criticato ma anche stimolato, garantendo però la possibilità di far parlare più volte dello show sia la critica che gli spettatori.
In parte proprio questo è avvenuto anche con la terza stagione di The Witcher che dal 27 luglio è finalmente disponibile nella sua interezza: 8 episodi di circa 45-50 minuti di lunghezza ognuno, con l'unica eccezione rappresentata dall'ultimo che sfiora l'ora di durata. Una stagione complessa e rischiosa che deve risollevare le sorti di una serie che non è mai davvero riuscita a convincere pienamente il suo pubblico, probabilmente anche a causa di un'indecisione di fondo che ha influenzato, spesso negativamente, le scelte di scrittura che l'hanno caratterizzata e definita.
E ve lo diciamo da subito: questa incertezza di fondo, questa parziale assenza di un'identità ben caratterizzata, questo far spola tra generi diversi per poi tornare prontamente sui propri passi è alla base anche della terza stagione. Una season che, nonostante sia tecnicamente migliore delle precedenti, più matura nella competenza degli attori e più comprensibile nella linea narrativa, è anche quella che ci è piaciuta meno. E ora cercheremo di spiegarvi cosa non ci ha convinto e cosa, invece, ci è piaciuto.
La storia
Partiamo ovviamente dall'elemento cardine di qualsiasi serie: la sua storia, ovvero la sua trama orizzontale. Evitando volutamente qualsivoglia spoiler, buona parte della terza stagione si focalizza sulla lunga fuga di Cirilla (Freya Allan) da tutte le fazioni che tentano disperatamente di mettere le mani sulla leoncina di Cintra e sul terrificante potere che possiede, ma che non riesce ancora a controllare. A tenerla al sicuro ci saranno ancora una volta Geralt, lo strigo impersonato da Henry Cavill e la strega Yennefer (Anya Chalotra), ormai sempre più in modalità padre e madre impegnati a mettere su la famigliola perfetta.
La prima metà della stagione cerca maldestramente di farci percepire questo pericolo crescente evidenziando obiettivi e strategie messe in campo dalle varie alleanze nel tentativo di far venire fuori quell'anima politica da grande fantasy in costume in stile Game of Thrones e The Lord of the Rings che, in realtà, non dovrebbe appartenere più di tanto alla grande epopea ideata e scritta da Andrzej Sapkowski.
Questo crescendo di suspance consente di arrivare vagamente più consapevoli, informati e coinvolti nei confronti del nucleo centrale di questa terza stagione: il grande assedio di Thanedd, l'unico evento davvero appassionante e ben scritto di questa stagione, nonché il suo picco più elevato con continui cambi di punti di vista che arricchiscono la vicenda, per quanto spesso telefonati e giustificati in modo molto superficiale.
Decisamente anti-climatica anche la coppia di puntate finali che si salva solo per la performance assolutamente inaspettata e straordinaria di Freya Allan e che lasciano tantissimi dubbi sulla strada che questa serie potrà percorrere nelle prossime stagioni. Se da un lato è infatti chiaro che avremo a che fare con 2 degli archi narrativi più interessanti di tutta l'opera, il racconto della banda dei ratti e lo stratagemma della finta Ciri, dall'altro risulta quasi sfiancante notare con quanta fretta questa stagione si sia conclusa, con la drammatica aggravante della chiusura del ciclo del Geralt di Cavill.
Un epilogo che, a differenza di quanto producer e showrunner ci avevano fatto credere, è in realtà completamente assente e non riusciamo davvero a capacitarci di come potrà essere gestito l'ingresso di Liam Hemsworth con la prossima stagione a meno che la produzione non sia stata così furba da girare tutta una serie di fegatelli che verranno inseriti in futuro a mo' di cameo per rendere credibile il cambio di attori, senza minare in modo preponderante la credibilità del suo protagonista.
Interpretazioni straordinarie
Lo avevamo detto ripetutamente nelle nostre recensioni e considerazioni relative alle stagioni precedenti e più che mai la dichiarazione è calzante in questa terza stagione che viene letteralmente salvata da questo fatto: l'interpretazione dei 3 protagonisti è straordinaria.
Cavill è talmente una certezza che ormai ci siamo stancati di ripeterlo: siamo più che mai certi che piangeremo la sua sparizione fin dalla comparsa del Geralt di Liam Hemsworth e ci auguriamo dal profondo del nostro cuore di essere smentiti dai fatti. Ma in queste 8 puntate a brillare di luce propria ci sono una Anya Chalotra matura, emotiva, capace di stregare lo spettatore con i suoi primi piani e una Freya Allan davvero inaspettata.
La crescita attoriale della giovanissima interprete di Ciri è evidente e spiazzante, oltre ad essere concettualmente legata al suo personaggio che raggiunge la maturità proprio grazie alle disavventure vissute nell'arco narrativo orizzontale, essendo praticamente costretta a crescere e cavarsela in autonomia a causa di una serie di vicissitudini che l'allontanano da tutto e tutti. L'episodio dedicato a Cirilla è emblematico da questo punto di vista: se non ci fosse di mezzo la coinvolgente interpretazione della Allan, probabilmente avremmo fatto molta più fatica a digerire quei 45 minuti di non-avvenimenti.
Ed è purtroppo un problema il fatto che queste magistrali caratterizzazioni delle tre colonne portanti di The Witcher si schiantino fragorosamente contro la presenza a video di tutti gli altri comprimari, non tanto per il demerito degli attori che fanno di tutto per portarsi a casa le loro scene, ma per quel discorso relativo alla scrittura così incoerente e altalenante di cui vi parlavamo poco sopra.
Djikstra (Graham McTavish) e Philippa (Cassie Clare), gli unici approfonditi sopra la media, sono davvero al limite con il risultato che buona parte delle loro macchinazioni e dei loro andirivieni non risultano mai davvero chiari. Ma a stupire negativamente sono le chiusure degli archi di storia relativi a Rience (Chris Fulton) e Tissaia (MyAnna Buring), liquidati in modo che potremmo definire criminale se consideriamo quanto tempo è stato dedicato a loro per costruire dei personaggi credibili.
Persino figure nevralgiche della serie come Emhyr (Bart Edwards) e Ranuncolo (Joey Batey) in questa terza stagione ne escono con le ossa rotte, come fossero delle semplici macchiette utili a ad allungare il brodo, o per portare avanti qualche sottotrama in modo superficiale. E tutto questo ha un effetto drammatico, perché a risentirne è la storia nella sua interezza e la credibilità delle azioni e reazioni che avvengono su schermo.
Un sensibile miglioramento tecnico
Non c'è invece nulla da eccepire sul fronte tecnico di questa terza stagione che, un po' per questioni di budget e un po' per via della furbizia della showrunner, è quella che porta in scena i migliori effetti speciali, le inquadrature più riuscite, gli ambienti più dettagliati e affascinanti e conferma ancora una volta, l'incredibile competenza degli stunt e dei loro coordinatori nel ricreare le battaglie all'arma bianca meglio coreografate tra le serie presenti sulle varie piattaforme di digital delivery.
Purtroppo però, tutto il meraviglioso ben di dio che abbiamo appena sciorinato, deve fare i conti con scelte narrative e stilistiche che alterano sensibilmente il nocciolo tematico di The Witcher. Come dicevamo anche all'inizio di questa recensione, probabilmente per ragioni di pubblico da raggiungere o anche in funzione dei feedback relativi alle precedenti puntate, più che mai in questa terza stagione assistiamo alla metamorfosi di una serie che sembra ormai pronta ad abbandonare ogni velleità action e quel feeling horror che sono invece le basi fondanti delle avventure dello strigo.
Se eliminiamo, infatti, un bell'assalto nella prima puntata, tra l'altro spoilerato da Netflix stessa in una delle featurette che hanno anticipato la distribuzione della stagione, e lo splendido combattimento relativo al colpo di stato a Thanedd, di quell'azione così a lungo raccontata da Sapkowski rimane solo qualche fugace apparizione. E con i mostri, ve lo diciamo spudoratamente, va ancora peggio. Sì perché della componente di caccia dello strigo, delle sue pozioni, delle sue indagini, in questa terza stagione c'è veramente poco o nulla. È un controsenso, lo sappiamo bene, ed è pure uno spreco considerato quanto Cavill avesse dimostrato di essere praticamente nato per impersonare questo aspetto dello strigo.
E preferiamo stendere un velo pietoso sull'irriguardosa e fugace apparizione di Caccia Selvaggia.
Conclusioni
Multiplayer.it
6.0
Non c'è la volontà di accanirsi o di apparire troppo drastici in questo giudizio complessivo nei confronti della terza stagione di The Witcher, ma è chiaro che la serie è arrivata ad un punto di non ritorno. Sono ormai troppi gli elementi raffazzonati, delineati in modo superficiale, scritti con poca chiarezza e non possono più bastare le interpretazioni straordinarie dei tre principali protagonisti a compensare tutto ciò. Se la tendenza non verrà invertita con la prossima stagione che, se non altro, può pescare a piene mani da alcuni degli archi narrativi più interessanti dell'intera opera, probabilmente non rimarranno molti motivi validi per continuare a vedere la serie, se non l'affezione irrazionale nei confronti dei suoi personaggi e dell'ambientazione.
PRO
- Geralt, Ciri e Yennefer tengono in piedi, da soli, tutta la stagione
- Le coreografie dei (pochi) combattimenti sono eccezionali
- L'assalto di Thanedd è un gran bel pezzo di storia
CONTRO
- Ma lo strigo non andava a caccia di mostri?
- Ci sono troppi momenti in cui la narrazione appare raffazzonata e frettolosa
- Le azioni e le motivazioni di alcuni personaggi sono ingiustificate