L’ultimo prodotto delle fucine firmate Derek Smart ha visto la luce ed è giunto il momento anche per noi di analizzare il nuovo nato di casa Dreamcatcher. Il simulatore dei simulatori spaziali, così come si propone al mercato, fa parte di un progetto ad ampissimo respiro che impegna Smart da anni alla disperata ricerca del prodotto perfetto e assoluto. L’obiettivo, immenso e probabilmente mai raggiungibile appieno, è quello di proporre al giocatore una simulazione realistica, ed altrettanto vasta, di esplorazione spaziale cercando di abbracciare ogni sfera dall’esplorabile e non fermandosi pertanto ai soli viaggi interplanetari o alle singole battaglie fra astronavi. Il progetto pertanto dovrebbe fornire all’utente la possibilità di passare dai principali ambienti con continuità senza interruzioni di sorta, decollando per esempio da una portaerei posta nel bel mezzo di un oceano fino a raggiungere le stelle. UC fonde pertanto l’esperienza tipica e diretta degli FPS (più consona all’esplorazione in prima persona a comando di una singola unità di fanteria spaziale dislocata sia sul pianeta che alla deriva nello spazio alle prese con una passeggiata fuori bordo), il simulatore di volo, con le sue complicate regole per il comando efficiente del veicolo ed infine lo strategico-gestionale per quanto riguarda il controllo delle risorse interne della flotta e degli equipaggi.
La sfida è quella di portare più azione sul campo di battaglia e di andare a toccare tutti i campi possibili della battaglia
La prima particolarità del gioco è proprio sulla confezione, o per meglio dire, è scritta proprio nel titolo. Infatti per la prima volta dalla fondazione di 3000 AD (soft house capitanata da Derek Smat) la saga abbandona l’abituale nomenclatura Battlecruiser (che però rimane in una schermata di loading durante il lancio del gioco) per adottare quella di Universal Combat. Il nuovo titolo in effetti racchiude la volontà, non appieno esaudita, di fare di questo filone dedicato alla simulazione un gioco più orientato al combattimento e, se fosse possibile, ancora più “universale”. La sfida è quella di portare più azione sul campo di battaglia e di andare a toccare tutti i campi possibili della battaglia, senza tralasciare alcun aspetto. Proprio per questo fra i 500 veicoli differenti sono presenti non solo aerei ma anche (novità assoluta) navi e portaerei (che però non potranno essere pilotate dal giocatore). Sebbene il tentativo sia apprezzabile ed in parte assecondato dai risultati, l’imponta del gioco rimane pesantemente influenzata dalle precedenti puntate della serie. Appaiono infatti praticamente invariati, non solo il background della storia (peraltro sempre poco incisivo ai fini della saga) ma anche le interfacce di gioco ed il gameplay quasi a voler conferire continuità alla serie
Romitaggio spaziale
Le modalità di gioco propongono missioni a mo’ di campagne con obiettivi da raggiungere entro un certo lasso di tempo, ma subito si nota che questo genere di missioni non esaltano le reali potenzialità del titolo, con la modalità “roam”, invece è possibile apprezzare da subito i numerosi gradi di libertà del gioco. Innanzitutto non è richiesto il conseguimento di alcun obiettivo specifico che non sia esplorare in lungo ed in largo l’universo, arricchirsi, soddisfare le proprie mire e soprattutto sopravvivere. E’ possibile scegliere una qualsiasi carriere professionale e partire dal più alto dei ranghi, come comandante di una nave da crociera interstellare come da soldato semplice dislocato in una qualsiasi base militare sul più sperduto dei pianeti della confederazione. Gli impieghi disponibili non riguardano solo l’ambito strettamente militare ma spaziano dal ricercatore, al colono, al mercante, al pirata per più di una decina di professioni. L’immensità dell’ambiente è tale da risultare addirittura dispersiva, basti pensare che dei 21000 oggetti sparsi per lo spazio esplorabile raramente è possibile inquadrarne due contemporaneamente.
Da mozzo a comandante, a voi la scelta
Al comando di un incrociatore o di una corazzata pesante si può apprezzare appieno il potenziale vasto e sconfinato di questo gioco. Al servizio del giocatore infatti è presente un’intera flotta di astronavi con equipaggi animati da proprie intenzioni e spesso difficili da governare, apparati meccanici (come la sala macchine) da gestire con cura e attenzione, specialmente in situazioni di battaglia in cui facilmente si possono subire danni a causa dell’attacco dei nemici. La gestione dunque si estende anche alla flotta di astronavi “satellite” della nave madre, come gli shuttle, che possono essere inviati su un pianeta per una rapida conquista o alla ricerca di carichi preziosi scampati all’esplosione di una nave cargo. E’ possibile organizzare battaglie estese e complesse dirigendo un’intera flotta di caccia che rispondono agli ordini del comandante, senza dimenticare le numerose armi aggiuntive da gestire e la possibilità di rilasciare mine spaziali e lanciare i missili accuratamente preparati nelle bocche di lancio dell’astronave prima dell’assalto.
Purtroppo però la vastità di questo gioco, che per molti versi rappresenta il vero punto di forza e ne caratterizza l’originalità rispetto ai concorrenti, rischia di intaccarne la credibilità generale. Infatti, proprio come succedeve nel capitolo precedente della saga (Battle Cruiser Millennium) spesso si rischia di perdersi nell’oceano di possibilità a disposizione. Non esistendo un vero e proprio scopo il giocatore rischia addirittura di annoiarsi e di non trovare più nulla da fare. In effetti le “missioni” esistono per questo e spesso l’intelligenza artificiale del gioco non riesce a supplire a sufficienza a questa mancanza abbandonandoci all’immensa vastità dello spazio.
In officina
Il comparto tecnico presenta numerose lacune, perlopiù giustificabili con la grandezza del progetto. La tentazione che Smart subisce da anni per quanto riguarda lo sviluppo di questa saga (che ricordiamo prende il nome di Universal Combat solo con questo capitolo, ma da principio era Battlecruiser, tanto che anche UC doveva intitolarsi Battlecruiser Generation) è quella di mettere tanta, forse troppa, carne sul fuoco. Graficamente il gioco, pur presentando numerosi miglioramenti non si dimostra particolarmente brillante, pur affaticando notevolmente il processore e l’acceleratore. Nonostante gli ambienti spaziali si presentino del tutto credibili il fascino subisce una pesante flessione atterrando sui pianeti, troppo spogli e freddi. Fatta eccezione per le formazioni naturali e le sparute costruzioni artificiali, i veicoli e le truppe a terra il pianeta appare troppo spesso spoglio e spelacchiato. Le textures appaino piatte e poco curate mentre gli effetti speciali, come i giochi di luce ed ombra scarseggiano e sono davvero ridotti al minimo. In combattimento si sente la totale mancanza della spettacolarità di esplosioni colorate ed appariscenti. Le armi non paiono avere alcuna distinzione grafica, sparano ed esplodono colpi tutte allo stesso modo, variando al massimo il colore del raggio in uscita dalla canna. Un vero peccato, dato che in genere l’ambientazione sci-fi favorisce uno sviluppo più fantasioso di queste risorse donando all’occhio un gradevole riscontro. Nulla da eccepire per quanto riguarda la realizzazione dei modelli dei veicoli, delle stazioni orbitali e delle navi, per quanto invece errori e bug banali come il clipping selvaggio imperversino ancora le azioni di gioco, specialmente quando si comanda l’unità in prima persona. Un aspetto davvero poco gradevole e spesso, fin troppo spesso irritante, perché rischia di invalidare un’intera partita per motivi estranei alla condotta del giocatore. Nessuna critica, ma tanti elogi invece, al comparto sonoro realizzato dal connazionale Manuel Marino, una vecchia conoscenza di Multiplayer.it, che ha saputo realizzare tracce di primissimo livello che conferiscono alle scene di gioco un aspetto se possibile ancora più epico ed avvolgente. A volte, si ha l’impressione di fluttuare con la propria astronave alla deriva nell’ignota accarezzati solo dal suono a metà fra mite e imperioso di questa bellissima soundtrack.
Commento finale
Nel complesso il nuovo nato in casa Smart è decisamente un prodotto completo, vasto e altisonante, ma molto complesso e non facile da apprezzare per il grande pubblico. Forse proprio per questo Dreamcatcher sta lavorando ad un adattamento della serie per Xbox, che per forza di cose dovrà puntare molto di più sull’aspetto arcade lasciando una buona volta da parte la frustrante ambizione di voler includere un intero universo su di un singolo cd. UC è consigliato a tutti coloro che non hanno chiuso gli occhi per i precedenti capitoli della serie Battlecruiser e a tutti coloro che vogliono quel di più che Freelancer e X2 non riusciranno mai a dare: l’infinito.
- Pro:
- Immenso e sconfinato
- Ampissima gamma di veicoli, razze e armamenti
- Colonna sonora italiana, di altissimo livello
- Contro:
- Troppo ambizioso, la vastità delle ambientazioni sono al limite dell'agorafobia
- A tratti noioso
- Complesso, si anei comandi che nelle regole da seguire
Derek, signore dello spazio
Chi è Derek Smart? Beh, prendete il fisico di Laurence Fishburne (il Morfeus di Matrix) e fondetelo con il genio e la pazzia di un John Carmak e avrete Smart.
Probabilmente uno dei personaggi più discussi della scena videoludica, sia per l’arroganza spesso dimostrata nell’approccio con i suoi lavori, sia per l’ambizione dimostrata nel voler costruire a tutti i costi un gioco "totale", che potesse chiudere una volta per tutte il discorso di una simulazione spaziale a 360 gradi. Esistono in giro per la rete numerose pagine web in cui Smart viene adorato come un genio assoluto e altre in cui viene sbeffeggiato da giochini o fotomontaggi, proprio come è avvenuto per l’arbitro Moreno. Tutto questo non può che indicare quale livello di notorietà questo personaggio abbia riscosso in tutto il mondo.