BioWare compie trent'anni. Questa ricorrenza cade in un momento molto particolare per lo studio di sviluppo, costretto a incassare al tempo stesso le colpe del recente crollo che ha colpito Electronic Arts e digerire l'abbandono di Corinne Busche, game director che ha impugnato il timone della sede di Edmonton conducendola verso quello che, dopo tante speculazioni, sembra infine essersi rivelato il naufragio paventato, come confermato dalla pesante ristrutturazione interna che ha toccato l'impresa. Serie storiche come Mass Effect e Dragon Age si possono ormai definire in bilico, perché la squadra ha smarrito la maggior parte dei punti di riferimento, la formula di Veilguard non è riuscita a rappresentare il necessario ponte verso il futuro, mentre il nuovo concilio di scrittura - da sempre il più grande cavallo di battaglia della software house - si è dimostrato talmente impreparato a raccogliere la pesante eredità dei predecessori da essere rimosso in blocco.
Trent'anni, per una software house, sono davvero tanti: tutte le compagnie che sono riuscite a sopravvivere attraverso quattro diverse generazioni di videogiochi hanno dovuto confrontarsi al buio con la complessa rivoluzione che ha caratterizzato l'inizio del nuovo millennio. La storia di BioWare, in questo senso, si è mossa su un binario parallelo rispetto ai cambiamenti che hanno investito l'intera industria, un tempo composta da un mosaico di piccole botteghe d'artigianato e nel giro di un lustro caduta nelle mani di enormi entità quotate in borsa. Oggi il panorama offerto dal mercato è molto diverso da quello che, il 1 febbraio 1995, si spalancò di fronte a Greg Zeschuk e Ray Muzyka, due neolaureati in medicina dell'Alberta che decisero di avviare una piccola attività di creazione software in quel di Edmonton, unendosi al collega Augustin Yip con il fine ultimo di realizzare un videogioco che seguisse la loro prima simulazione medica, puntando una fetta della torta magica che stava portando al successo tantissimi creativi emergenti.
Le origini
La storia di BioWare ha avuto inizio all'ombra della Interplay Entertainment di metà anni '90, una società graziata dalla presenza di pesi massimi come Brian Fargo, Chris Avellone e Feargus Urquhart, nonché dotata di un fiuto per il talento che ancora oggi rimane impareggiato.
Il debutto della casa di Edmonton avvenne dalle parti di Shattered Steel, progetto che conobbe il tocco di Trent Oster attraverso la fortuita collaborazione con Pyrotek e che, nonostante il successo strozzato dalla presenza sul mercato di un certo MechwWarrior, poggiò il primo mattone del sodalizio che avrebbe fatto la fortuna di entrambe le compagnie. L'anno successivo alla pubblicazione, Interplay domandò ai suoi associati di dar sfogo alla fantasia e BioWare rispose tirando fuori dal cilindro un progetto embrionale risalente al 1995: con la presentazione della tech demo di Battleground Infinity alzò il sipario sull'Infinity Engine, il motore grafico che aveva costruito appositamente per inseguire l'iniziale ambizione nel mondo dei giochi di ruolo.
Il resto, come si suol dire, è storia: visionata la dimostrazione, Interplay - e soprattutto Feargus Urquhart - comprese che lo scheletro di Battleground Infinity sarebbe stato perfetto per indossare la licenza di Dungeons & Dragons appena acquisita da TSR, gettando le fondamenta di quel "Forgotten Realms Project" che sarebbe maturato al riparo dalle intemperie fino a trasformarsi in Baldur's Gate. Quel processo di sviluppo, durato tre anni in totale, aiutò i neofiti di BioWare a tratteggiare il proprio identikit creativo, realizzando il sogno dei fondatori di penetrare il territorio degli RPG nel pieno di un'età dell'oro, quando la grande ispirazione giapponese stava entrando in rotta di collisione con i rivali occidentali. Baldur's Gate, pubblicato nel 1998, riuscì a emergere a testa alta dal confronto con Diablo, consacrando immediatamente il nome della compagnia e scolpendo nella pietra le qualità che l'hanno traghettata fino ai giorni nostri.
Con gli occhi del mondo videoludico puntati addosso, la neonata compagine imboccò una deviazione inaspettata facendosi carico del sequel dello sparatutto MDK di Shiny Entertainment, piantando un secondo seme a base di fantascienza che sarebbe germogliato solamente anni più tardi: MDK2 fu pubblicato il 31 marzo del 2000 e segnò anche il primo contatto con l'ecosistema console nella forma del Dreamcast di SEGA. Tuttavia, a testimonianza delle enormi differenze fra i cicli di sviluppo dell'epoca e quelli odierni, BioWare stava anche lavorando dal gennaio del 1999 al sequel di Baldur's Gate e ne aveva ottimizzato il motore al punto tale da renderlo la prima scelta di Black Isle - la divisione interna di Interplay - per la produzione di pietre miliari quali Planescape Torment e Icewind Dale. Così il 21 settembre del 2000 - a meno di sei mesi di distanza da MDK2 - vide luce Baldur's Gate 2: Shadows of Amn, titolo che accoglieva nei suoi confini ogni singola idea tagliata dal capostipite e che fu portato in trionfo dalla critica e dal pubblico, cristallizzando definitivamente l'ascesa della nuova stella.
Gli anni successivi furono irrimediabilmente viziati dalle condizioni precarie del publisher Interplay, che spinsero Ray Muzyka e Greg Zeschuk a firmare con Infogrames per confrontarsi ancora con i fondali di D&D: tale collaborazione si tradusse in Neverwinter Nights, opera estremamente ambiziosa che mirava a raccogliere l'antica corona indossata da AOL per dar vita a una struttura con forti tinte MMO, capace di ospitare 64 giocatori in un'istanza, anch'essa accolta come un capolavoro nel giugno del 2002. Avendo subodorato il destino funesto dei suoi referenti, nel 2000 lo studio aveva stretto contatti con la LucasArts sotto l'egida di Simon Jeffery, portando alla produzione di quello che ancora oggi è considerato il miglior videogioco di Star Wars mai realizzato, ovvero Knights of the Old Republic del 2003, che impresse a fuoco negli annali della storia le incredibili doti degli scrittori in forze a Edmonton. Il sole di mezzogiorno di BioWare arrivò a brillare in seguito all'incontro con quello che sarebbe stato il suo ultimo partner da freelance, ovvero Microsoft Game Studios: nel 2001 fu messo in produzione il Jade Empire immaginato da Jim Bishop, un gioco di ruolo d'azione ispirato all'antica Cina che segnò una prima deviazione dal tradizionale binario creativo e fu pubblicato in esclusiva per l'ormai anziana Xbox il 12 aprile del 2005.
La crescita e l'acquisizione da parte di Electronic Arts
Non appena furono conclusi i lavori sulla conversione Xbox di Knights of the Old Republic, attorno al 2004, il team guidato da Casey Hudson mise in preproduzione un nuovo videogioco di ruolo d'azione di stampo fantascientifico determinato ad attaccare la corrente che avrebbe dominato la settima generazione di console. Concepito fin dal primo giorno come l'episodio pilota di una trilogia, il progetto portò la compagnia a passare attraverso un totale rinnovamento della tecnologia caratterizzato da nuovi motori - in primis Unreal Engine e Frostbite - ma soprattutto dall'impiego di attori digitali, con il fine ultimo di scommettere sulla sfera emotiva, sui colpi di scena e sui dilemmi etici che, grazie all'apporto di penne come quella di Drew Karphyshyn, si erano trasformati nella salsa segreta di BioWare.
Mentre gli ingranaggi creativi continuavano a girare, dietro le quinte stava andando in scena un cambiamento decisamente più massiccio: dopo aver fallito nel suo intento di comprare Eidos, la neonata società di private equity Elevation Partners - fra i cui fondatori spiccava il nome di John Riccitiello - mise insieme $300 milioni per fondere BioWare con gli ex Activision di Pandemic Studios e creare una società ombrello chiamata VG Holding Corp. Due anni più tardi, per la precisione l'11 ottobre del 2007, Electronic Arts - dove Riccitiello era appena tornato nel ruolo di CEO - decise di investire $775 milioni per acquisire VG Holding Corp: EA divenne a tutti gli effetti proprietaria di BioWare e del videogioco di fantascienza che sarebbe stato pubblicato giusto il mese successivo.
Proprio il 20 novembre del 2007, infatti, vide finalmente luce Mass Effect, l'opera che aveva monopolizzato gli sforzi dello studio durante tale periodo di transizione, ricalcando in maniera netta il cambio di rotta verso l'azione fino a convincere la critica ma soprattutto il pubblico, che si strinse immediatamente attorno alla nascita di un nuovo culto sci-fi. Tuttavia, al di là di Sonic Chronicles: The Dark Brotherhood per Nintendo DS, sfogliando le pagine di questi anni s'incontrano diverse produzioni che non videro mai la luce del sole: a partire dallo spin off in prima persona Mass Effect: Corsair, passando per quel Jade Empire 2 che si trasformò in Revolver poco prima di svanire nel nulla, per arrivare infine all'Agent che condusse all'abbandono di Trent Oster, la metà dei 2000 fu costellata di videogiochi cancellati e dal conseguente primo esodo dei creativi connessi. A margine, Electronic Arts mirava a diversificare gli investimenti aprendo nuovi studi con nuove destinazioni, dalla sede di Austin votata agli MMORPG fino alle divisioni dedicate al mobile e ai browser game.
Nonostante la prima ristrutturazione interna, gli sviluppatori di BioWare riuscirono a recuperare l'antica ispirazione dark fantasy e a proiettare nel futuro la neonata saga sci-fi. Il 3 novembre del 2009 segnò il debutto del Thedas attraverso Dragon Age: Origins, produzione dalle tinte "tipicamente BioWare" che fece gridare al grande ritorno dei pionieri del genere. Il 26 gennaio del 2010, invece, venne il giorno di Mass Effect 2, un'opera che ancora oggi è considerata da molti appassionati come l'assoluta punta di diamante dello studio, nonché quella meglio valutata nell'interezza della sua storia. Insomma, al netto dei mutamenti in seno alla dirigenza, la corazzata sembrava ormai inscalfibile nonché determinata a rivolgersi a un pubblico sempre più ampio, ma i primi sintomi del burnout avrebbero presto iniziato a farsi sentire. Fu così che, nell'arco del solo biennio 2011-2012, si susseguirono il MMORPG Star Wars: The Old Republic, Dragon Age 2 e soprattutto il capitolo conclusivo nella trilogia del comandante Shepard, Mass Effect 3. Tutti questi progetti, quale più e quale meno, furono avvolti da fitte nubi di controversie, inaugurando un decennio di frizioni interne ed esterne che sfociarono in grandi cambiamenti.
La caduta
Il 18 settembre 2012, due giorni dopo l'annuncio ufficiale del terzo capitolo nella saga di Dragon Age, i due fondatori Ray Muzyka e Greg Zeschuk comunicarono il ritiro congiunto, di conseguenza Electronic Arts colse l'occasione per cambiare quasi tutti i dirigenti e innestare diverse personalità fidate. Due anni più tardi, il 21 novembre 2014, Dragon Age: Inquisition si presentò sul mercato come l'ultima fatica a conoscere il tocco di tantissimi creativi storici, portando una leggera deviazione in termini di struttura che, pur indispettendo alcune frange degli appassionati della prima ora, riuscì addirittura a vincere il premio per il Game of the Year durante la prima edizione dei The Game Awards, risuonando come un canto del cigno.
Fu l'ultima occasione in cui si poté parlare della famosa "BioWare Magic": nonostante le difficoltà che caratterizzarono tutti i titoli prodotti negli anni 2010, gli sviluppatori erano soliti utilizzare tale espressione per descrivere la capacità dello studio di cavarsela sempre all'ultimo minuto, trovando la quadra di progetti che sembravano totalmente alla deriva. Ultimamente, sapendo come sono andate le cose, diversi dipendenti uscenti hanno affermato che: "La BioWare Magic non è altro che organizzazione schifosa", per utilizzare le parole scelte da Mark Darrah.
Da quell'istante in avanti prese il largo l'esodo più massiccio nella storia dello studio, dal momento che Casey Hudson, Drew Karypshyn, David Gaider e tantissimi altri autori scelsero di andarsene - o furono costretti a farlo - nel giro di un triennio. L'emorragia di talenti non cessò fino al 2018, quando Mike Laidlaw e James Ohlen - entrambi in azienda da oltre 22 anni - si unirono alla lista degli addii successivamente all'impatto di una coppia di produzioni che, con il senno di poi, si possono indubbiamente considerare gli emblemi del declino della compagnia.
Il primo progetto a mietere vittime fu Mass Effect Andromeda, soft-reboot della saga sviluppato dalla sede di Montreal che, dopo cinque anni di lavori, fece il suo debutto nel marzo del 2017 incassando il primo vero contraccolpo sul fronte della critica, finendo poi messo alla gogna anche dal pubblico. Il secondo, invece, era Anthem, un universo multigiocatore totalmente originale che dovette andare incontro a continue diserzioni nella leadership, a costanti mutazioni nella formula e, come raccontato da un celebre articolo di Jason Schreier, a una gestione a dire poco disastrosa: lanciato il 22 febbraio del 2019, si può considerare a tutti gli effetti il più grande tonfo mai verificatosi sulle sponde di BioWare in ragione della media Metacritic al di sotto della sufficienza e delle vendite inferiori alle sei milioni di unità prospettate nel primo periodo.
BioWare oggi
Con la pubblicazione di Dragon Age: The Veilguard, il 31 ottobre 2024, la compagnia si è trovata a dover fare contemporaneamente i conti con l'incapacità di evadere dalla sua situazione di crisi e lo smarrimento dell'identità creativa che l'aveva portata a raggiungere il successo. Quella che si è mossa nell'arco degli scorsi cinque anni è una BioWare quasi totalmente nuova, per giunta determinata a inseguire una nuova formula creativa e soprattutto ad abbracciare un nuovo tipo di pubblico: The Veilguard si è trovato per settimane al centro di discussioni basate su speculazioni, ma con la chiusura degli anni fiscali le cose sono cambiate, perché proprio a lui - oltre che alla performance di EA Sports FC 25 - è stato attribuito il tonfo da $6 miliardi che ha colpito Electronic Arts.
Al netto di una produzione che, tutto sommato, si è lasciata giocare dal pubblico, è emerso un violento disallineamento rispetto alla tradizione dello studio, al punto tale da destare forti preoccupazioni verso il futuro creativo della sede di Edmonton. La frangia più vocale del pubblico si è detta estremamente preoccupata per il futuro di Mass Effect e per quel quinto capitolo che, stando alle ultime comunicazioni ufficiali, si troverebbe nelle fasi embrionali della produzione e proprio per questa ragione non necessiterebbe di tanti sviluppatori attivi.
Nelle ultime ore è emerso che nei licenziamenti sarebbe coinvolto praticamente l'intero team di scrittura, compresi il responsabile Trick Weekes e Sheryl Chee, che si è lasciata andare a una dichiarazione che ricorda quasi un epitaffio per la saga di Dragon Age: "DA non è morto. Ci sono le fanfic. Ci sono i disegni. Ci sono le connessioni che abbiamo creato attraverso i giochi e a causa dei giochi". Di contro, ciò di cui non si è parlato spesso negli ultimi tempi è il cambio di rotta che ha toccato l'opera nel 2021, inizialmente progettata per essere un live game, allo stesso modo in cui non si è parlato del fatto che Electronic Arts, come spesso accade quando si tratta di queste entità, sembra essersi dimenticata che la responsabilità della produzione è anzitutto sua, che la totale riscrittura dell'organigramma di BioWare è farina del suo sacco e che sempre le sue cure l'hanno trasformata in una nave alla deriva.
Per questo la storia di BioWare, e questo trentesimo anniversario, rappresenta un riflesso dell'evoluzione dell'industria: riducendo la questione ai minimi termini, si tratta semplicemente dell'ennesimo collettivo di artisti cresciuti nelle mura di una bottega che si sono ritrovati catapultati in un mondo più grande di loro, dove i migliori artigiani vengono allontanati, le decisioni vengono ribaltate solo dopo aver osservato i conti, mentre chi ha il potere di prenderle non ne subisce quasi mai le conseguenze. Con la saga di Dragon Age che, almeno per il momento, sembra giunta al capolinea, all'orizzonte resta solo il prossimo capitolo di Mass Effect, al cui destino Electronic Arts sembrerebbe voler legare quello della stessa BioWare. Ma, visti i tempi che corrono, potrebbe anche darsi che questo sia destinato a rivelarsi come l'ultimo compleanno della compagnia.