La prossima uscita dell'interessante Harold Halibut è un'ottima occasione per tornare a parlare dello stop motion, una tecnica di animazione veramente poco utilizzata nell'ambito dei videogiochi, ma che è sempre stata in grado di produrre degli effetti molto particolari, raggiungendo un impatto notevole rispetto alle tecnologie grafiche tradizionali. Chiamata in italiano anche "passo uno", è una delle più antiche soluzioni per creare degli effetti speciali o costruire dei filmati animati con personaggi e mondi di fantasia costruiti in maniera artigianale. In sostanza, si tratta di riprendere oggetti in posizioni diverse fotogramma per fotogramma, e poi riprodurre tali immagini in sequenza in modo da creare l'illusione del movimento, ovvero recuperando proprio il principio base della cinematografia.
Nel cinema, in effetti, la tecnica è stata usata sin dagli albori dell'industria: nei primi del '900 pellicole come Cabiria o La guerra ed il sogno di Momi erano in buona parte incentrate su questa soluzione, poi ripresa in tempi moderni da registi come Tim Burton e Guillermo Del Toro, con case di produzione specificamente dedicate a questo tipo di animazione (Aardman Animations e Laika, per dirne un paio).
Nei videogiochi, però, lo stop motion non è mai riuscito ad affermarsi più di tanto, forse a causa degli alti costi di produzione che richiede, ma anche perché si tratta di una tecnica che non rientra nelle specializzazioni tipiche dell'industria, per cui è stata utilizzata solo in produzioni sperimentali o in collaborazione con studi specializzati in tale forma di "artigianato".
Tuttavia, ci sono degli esempi molto interessanti di applicazione di tale tecnica ai videogiochi: titoli generalmente poco conosciuti e che varrebbe la pena recuperare, anche perché il loro stile li rende in qualche modo senza tempo e sempre apprezzabili. Generalmente avventure grafiche, genere che si adatta meglio a scenografie artistiche, ma non mancano digressioni in tipologie totalmente diverse. Vediamo dunque una selezione di 8 giochi in stop motion da riscoprire, in attesa di tuffarsi nell'affascinante mondo di Harold Halibut, probabilmente l'esempio più avanzato di videogioco incentrato su questa tecnica, in arrivo il 16 aprile 2024.
The Dream Machine
Tra i giochi in stop motion più affascinanti c'è sicuramente The Dream Machine, avventura grafica punta e clicca sviluppata da Cockroach Inc. e perfetto esempio di vera opera di artigianato, per certi versi anche grezza ma volutamente spigolosa, in linea con uno stile surrealista che amplifica l'atmosfera onirica in cui si svolge la storia. La narrazione, divisa in episodi, segue le strane vicende di Victor Neff, un uomo che si è appena stabilito in un nuovo appartamento con la famiglia e scopre che qualcosa non torna, in un edificio che altrimenti sembrerebbe alquanto ordinario. Dopo aver trovato una misteriosa videocamera nascosta e volendo chiedere spiegazioni al padrone di casa, il protagonista si ritrova coinvolto in un viaggio allucinante e inquietante tra i sogni di varie persone, nel tentativo di disinnescare la macchina che dà il nome al gioco attraverso la soluzione di vari enigmi all'interno di scenari bizzarri. In questo caso, la creazione di ambientazioni attraverso "plastilina, cartone e broccoli", come riferito dagli stessi sviluppatori, contribuisce attivamente alla costruzione di un mondo che ha elementi realistici e surreali, con un contrasto evidente tra la resa estremamente concreta e tangibile dei materiali utilizzati e la composizione degli scenari. The Dream Machine può essere acquistato su Steam e GOG.
The Neverhood
Probabilmente uno degli esempi più famosi dell'applicazione dello stop motion è rappresentato da The Neverhood, altra avventura grafica uscita nel 1996, sviluppata da DreamWorks Interactive, che alterna fasi a scorrimento laterale e struttura 2D ad altre in prima persona. Anche in questo caso, la scelta della tecnica di animazione si confà alla volontà di mettere in scena un mondo bizzarro con tratti onirici, basato sul contrasto fra la sensazione fisica dei materiali utilizzati e la composizione di scene assurde e surreali. Il protagonista, Kleymen (che rimanda chiaramente a "clay", ovvero plastilina), grazie alla sua particolare composizione può modificare la propria forma e assumere aspetti diversi, con effetti che sarebbero difficili da ottenere con questo impatto attraverso tecniche grafiche più tradizionali.
La stranezza generale dell'estetica, data dall'uso della plastilina per gran parte degli scenari e personaggi, riflette quella della storia, nella quale il personaggio principale deve cercare di rimettere ordine nel mondo di Neverhood, sconvolto dall'arrivo del malvagio Klogg che ha usurpato il trono al creatore Hoborg. The Neverhood è ora un titolo abandonware e dovrebbe essere recuperabile presso qualche archivio che si occupa di tali giochi.
Skullmonkeys
Seguito diretto di The Neverhood, arrivato quattro anni più tardi rispetto all'originale, Skullmonkeys abbandona la struttura da avventura grafica e diventa un vero e proprio platform 2D, riprendendo in effetti alcuni elementi che caratterizzavano già il predecessore. Doug TenNapel recupera la sua creatura originale e mette in scena una nuova storia con protagonista ancora Kleymen, in un gioco più improntato sull'azione dinamica nel quale dobbiamo affrontare di nuovo il malvagio e le sue creature.
Lo stile riprende pienamente quello visto in precedenza, sebbene la tecnica utilizzata si riveli forse meno adatta a un gameplay di questo tipo, che richiederebbe la massima precisione nella risposta ai controlli e nel calcolo delle animazioni. L'impatto resta notevole, ma la struttura differente comporta una maggiore ripetizione degli elementi di scenario e, in generale, una cura minore rispetto all'attenta costruzione di ogni singola location che caratterizza l'avventura grafica precedente, come conseguenza diretta della diversa impostazione scelta in termini di struttura di gioco. Anche Skullmonkeys non è facile da recuperare, considerando che è uscito su PS1 e non ha avuto conversioni o adattamenti successivi.
Armikrog
Concludiamo la trilogia di Doug TenNapel con Armikrog, evoluzione finale della bizzarra visione iniziata con The Neverhood. Uscito nel 2015, si presenta ovviamente come un netto passo avanti rispetto ai primi due capitoli sul fronte tecnico e probabilmente anche in termini di completezza generale. Gli autori dell'originale si sono riuniti per portare a compimento l'idea iniziale, tornando all'avventura grafica punta e clicca e impegnandosi in una produzione di livello decisamente superiore a quanto visto in passato.
Tutto è arricchito in Armikrog: la modellazione di personaggi e scenari, le animazioni e anche la costruzione del gameplay, più vicino a una forma videogioco propriamente detta, con puzzle progettati in maniera più accurata e profonda. Il problema è che, inevitabilmente, il fascino dell'originale è ormai lontano e anche i fan della serie hanno contestato un po' la mancanza di "anima" in questo nuovo titolo, concentrato più sulla meravigliosa estetica che non sulla volontà di raccontare una storia sensata con spirito trasognato e una genuina volontà di sperimentare. Se non altro, Armikrog è decisamente più semplice da ritrovare al giorno d'oggi, essendo presente su Steam, GOG e varie console.
ClayFighter
Facciamo un passo indietro al 1993 e torniamo a uno dei primi esempi di animazione in plastilina e stop motion viste nei videogiochi con ClayFighter, che ha esplorato tale tecnica di animazione applicata al picchiaduro. In effetti, c'era una certa continuità logica con altre sperimentazioni effettuate in questo genere: giochi come Mortal Kombat e Pit Fighter utilizzavano tecniche di rotoscoping e digitalizzazione per portare personaggi e animazioni più "realistiche" sullo schermo e ClayFighter partiva da questo presupposto ma lo applicava a combattenti strampalati e costruiti con la plastilina.
L'idea era geniale e l'effetto, dal punto di vista grafico, veramente dirompente: peccato che il gameplay non rispondesse propriamente con un livello qualitativo all'altezza, ma questo non ha impedito al gioco di Interplay di ottenere un certo successo e assicurarsi anche dei seguiti. In ogni caso, personaggi folli come Bad Mr. Frosty e Blue Suede Goo sono rimasti alquanto impressi nell'immaginario di chi, in quegli anni, si dedicava all'arte del picchiaduro 2D, se non altro come digressioni decisamente originali.
Primal Rage
Parlando di stop motion e picchiaduro non si può evitare di menzionare Primal Rage, gioco che conobbe uno straordinario quanto sorprendente successo anche dalle nostre parti, in Italia, dove negli anni '90 era facile trovarlo tra sale giochi e bar di periferia. Anche in questo caso, siamo piuttosto lontani dall'interpretazione più tecnica e raffinata del gampelay per il genere in questione: a causa anche della scelte estetiche adottate, il gioco di Probe e Atari era alquanto sperimentale, mettendo in scena combattimenti tra creature mitologiche o primitive (o un misto delle due cose), che si affrontavano con mosse altamente spettacolari. L'uso dei modelli in plastilina consentiva di dare una notevole fisicità ai personaggi, che già colpivano per le dimensioni veramente enormi rispetto agli standard del picchiaduro, contando su animazioni piuttosto coese per il fatto di basarsi su oggetti reali.
In un certo senso, Primal Rage si ricollegava anche alla tradizione cinematografica, perché in stop motion erano realizzati anche i vecchi mostri e kaiju vari, cosa che donava un ulteriore fascino nostalgico al titolo in questione. Difficile recuperarlo oggi, ma il modo migliore è probabilmente attraverso un emulatore del cabinato, considerando che le versioni console erano pesantemente ridimensionate.
Lumino City
Probabilmente la migliore realizzazione in stop motion vista in un videogioco moderno, almeno per il momento, è rappresentata da Lumino City, avventura di State of Play che ha vinto anche numerosi riconoscimenti in ambito artistico per la sua ricercata estetica. Il gioco è costruito con elementi semplici, utilizzando carta, cartone, legno e latta, ma il lavoro di artigianato che si trova dietro la costruzione degli scenari è davvero impressionante e crea un mondo meraviglioso e magico. Seguito di Lume, si tratta di un'avventura grafica che mette in scena l'incredibile viaggio di Lumi alla ricerca del nonno e alla scoperta dei suoi tanti segreti, fra fantastici scenari da esplorare ed enigmi da risolvere.
Anche in questo caso, la caratteristica portante per tutta l'esperienza è proprio il fascino delle ambientazioni, la meraviglia che suscita ogni singola schermata è quello che ci porta ad avanzare nel mondo di Lumino City, perché come avventura non è proprio delle migliori, ma in attesa di altri titoli in arrivo è forse una delle espressioni migliori di questa tecnica grafica applicata ai videogiochi, ed è peraltro facilmente recuperabile su Steam, App Store e Google Play.
The Dark Eye
È chiaro come gli anni 90 siano stati il periodo di massima sperimentazione di questa tecnica grafica applicata ai videogiochi, e al 1995 risale anche un'altra delle migliori espressioni di questa sorta di movimento artistico. The Dark Eye è un'avventura con elementi da horror psicologico, che combina grafica in 3D classica con sequenze video e animazione in stop motion, per un effetto complessivo che oscilla tra il fascinoso e il profondamente inquietante.
La tecnica in questione è riferita soprattutto ai personaggi, i quali sono anche realizzati con lineamenti grotteschi e caricaturali, creando un profondo senso di inquietudine nelle interazioni con gli abitanti di questo strano mondo. Le tre storie che compongono il gioco sono ispirate ai racconti di Edgar Allan Poe, cosa che rappresenta già una base di partenza alquanto oscura, ma è la messa in scena a colpire maggiormente, con uno stile espressionista che trasuda angoscia e inquietudine, sfruttando il disagio da "uncanny valley" che deriva dai personaggi in maniera magistrale.