"Che ci piaccia o meno, le intelligenze artificiali sono una realtà e sono qui per restare". È con queste parole che Simon Viklund, narrative director di Den of Wolves, ci dà il benvenuto mentre ci mostra il nuovo trailer di gioco. Il titolo raccoglie l'eredità di Payday, Payday 2 e di GTFO, e segna il ritorno del team alle rapine virtuali - o come dice Simon scherzando: the heist shit - che hanno reso famoso il genere. "Questo è un videogioco che sentivamo di dover fare, da almeno una decina di anni", ci dice.
È il contesto, però, a essere totalmente differente: Den of Wolves non è più ambientato ai giorni nostri, e non racconta di rapine a obiettivi sensibili della nostra società, come banche e furgoni portavalori. Nel futuro sono invece i dati a essere preziosi. Le informazioni contenute nelle teste delle persone. I riferimenti cambiano completamente, non si guarda più al cinema d'azione di Michael Mann, ma come abbiamo avuto modo di discutere con Viklund, alle soffocanti cyber tecnologie di Blade Runner, di Ghost in the Shell e di Akira, e alla visione distopica di Charlie Brooker, il creatore di Black Mirror. Il tema centrale sembra essere il confine: il confine tra reale e virtuale, tra uomo e macchina, tra lecito e illecito. E infine, quello che si riflette nel gameplay e che ha caratterizzato anche Payday, tra la pianificazione strategica e l'impulso furioso degli scontri a fuoco.
Per approfondire il progetto, abbiamo incontrato Simon Viklund e Robin Björkell di 10 Chambers in una sala meeting del Ritz-Carlton Hotel di Los Angeles, dove abbiamo parlato con loro a proposito dell'idea alla base di questo nuovo heist game, e delle tematiche che intendono affrontare. Perché tra megacorporazioni, intelligenze artificiali e temi sensibili come il furto di dati, Den of Wolves sembra destinato a toccare parecchi argomenti caldi.
Una città in pasto ai lupi
Midway City sorge nel bel mezzo dell'oceano ed è nata per essere un paradiso di libertà tecnologica. Ma siamo nel 2090 e, a giudicare dal claustrofobico profilo della città, questo posto non sembra proprio un paradiso. Da cos'è quindi che dovrebbe liberarci Midway City? La risposta, come ci svela Viklund, è inquietante. In questo scenario, infatti, il mondo è stato devastato dalle intelligenze artificiali che mezzo secolo prima hanno fatto crollare ogni sistema informatico. Nella storia umana non è mai esistito un hacker in gamba come l'IA, e così tutti i grandi sistemi criptati sono saltati in aria, uno dopo l'altro. Le banche, le criptovalute, la sicurezza nazionale. Non esiste una singola informazione che non sia stata masticata dal più potente strumento che l'essere umano abbia mai creato.
Per far fronte alla situazione e fuggire dal caos, le megacorporazioni hanno unito le forze, trasferendosi sull'atollo di Midway, a ovest delle Hawaii, nel bel mezzo del Pacifico e fondando Midway City, una città ipertecnologica ma rigidamente controllata, dove a dettare le regole sono i potenti. "E dove c'è opportunità", ci dice Simon Viklund, "c'è il crimine". Ed è proprio questa eminenza grigia, un gruppo che si muove alle spalle del potere, ma anche al soldo del miglior offerente, che impersoneremo. Un branco di lupi, famelici, pronti ad affondare i denti in una società ormai allo sbando, senza alcun riferimento morale.
Non sarete i buoni della storia
"Questa volta non sarete i buoni della storia", ci anticipa Viklund. A Midway City non c'è posto per chi non è figlio del capitalismo più esasperato, pronto a vendersi l'anima al miglior offerente. È uno scenario da incubo, ma perfetto per mettere in mostra il risultato di una società dove tutto ha un prezzo. Insieme al nostro gruppo di cyber rapinatori pianificheremo operazioni sofisticate: ruberemo, esporremo i loschi segreti delle grandi aziende o, come suggerisce Simon alzando le braccia in modo teatrale, elimineremo tutto il consiglio di amministrazione. Il suo sguardo ci suggerisce che ci aveva avvisati: non siamo i buoni della storia, solo degli imprenditori in cerca di denaro e potere.
Le missioni fanno parte di un sistema modulare che caratterizza l'intero gioco. Con la rapina principale che rappresenta l'obiettivo primario, il grande goal da raggiungere, e una serie di incarichi più piccoli, che serviranno da preparazione e saranno utili per raccogliere informazioni, prove, indizi e risorse. "Il nostro obiettivo è esaltare sullo sfondo l'operazione finale, che è una missione molto lunga e ha bisogno di tempo per essere portata a termine, e magari, se avete solo mezz'ora quel giorno per giocare con i vostri amici, scegliere di dedicarsi a una delle missioni di preparazione". L'ideale, ci confessa, è che la grande missione diventi un po' come l'evento del fine settimana e nel resto del tempo si proceda a piccoli passi. Questi "snack", come li definisce lui, sono i tasselli di una campagna che mira alla coerenza narrativa, e che vede l'avvicinamento alla missione come un percorso emozionante fatto di brevi momenti che poi esplodono nel finale.
La prima serie di missioni si svolgerà nel Promise District, la zona che sarà disponibile durante l'early access. "Ogni distretto racconta una storia", dice Viklund, sottolineando ancora l'attenzione di 10 chambers di costruire un mondo che sia credibile e coeso. D'altronde questo è uno degli aspetti su cui il team ha spinto maggiormente, creando per esempio oltre 600 marchi immaginari tra banche, brand di abbigliamento, catene di fast food e ristoranti, che compongono un universo vivo.
Ogni marchio avrà personaggi ricorrenti e sarà legato ad alcuni avvenimenti che troveranno spazio in contenuti futuri, andando a comporre un universo di storie che si intrecciano in modo verosimile. Fa strano sentire usare il termine verosimile in un contesto di questo tipo: dove elementi di body horror fondono macchine e carne, e dopo spesso ci spingeremo nella fantascienza alta fino a immergerci nel regno incontrollato dell'inconscio umano, esplorando la mente dei bersagli per estrarre dati cruciali.
Viaggio nella mente umana
Il nuovo trailer mostrato ai The Game Awards di quest'anno rappresenta senz'altro l'anima più feroce e frenetica di Dan of Wolves. Novanta secondi accompagnati dal ritmo martellante della musica (anch'essa curata da Viklund, che ricopre anche il ruolo di audio director per il gioco), e da una serie di sparatorie e fughe rocambolesche. È la prima volta che vediamo il gioco in azione, ma tutto è così rapido che non ci dà modo di capire ancora perfettamente i meccanismi che lo muovono. Alcune cose ci piacciono molto, però, come il fatto di aver trasportato anche in questo contesto l'idea delle maschere per personalizzare il proprio avatar. Diverse si rifanno alla cultura orientale, altre sono molto peculiari, ferine. Ci sono alcune suggestive riproduzioni anche qui, mentre parliamo, appoggiate sul tavolo davanti a dove stiamo conducendo l'intervista. Sembrano guardarci con quegli occhietti vuoti. Cattivissimi.
La parte più interessante del trailer, ovviamente, arriva nel finale, quando la banda si immerge nella mente di un bersaglio per estrarre informazioni direttamente dalla fonte. "Siamo molto contenti di queste sezioni", ci dice Simon. Si tratta di un'occasione unica per proporre missioni fuori dagli schemi, senza doversi confrontare con la verosimiglianza e il rigido background narrativo che ha Midway City. Il subconscio sarà invece ricco di momenti onirici legati ai ricordi, o alle idee del malcapitato che andremo a violare. E questo si rifletterà anche in momenti dal gameplay diverso da quello del resto del gioco. La missione mostrata nel trailer, per esempio, include solo sezioni di platforming, praticamente in totale assenza di scontri a fuoco. E Viklund ci ha confessato di avere per la testa idee molto coraggiose per i contenuti futuri, ma ne parlerà solo quando sarà sicuro che saranno inserite nel gioco finale.
Ci stringiamo la mano dandoci appuntamento al prossimo anno, pur senza avere ancora nessuna data d'uscita a disposizione. Nemmeno per l'early access. Quello di Den of Wolves è sicuramente un progetto ambizioso, in continua costruzione, che si arricchisce in ogni occasione in cui abbiamo modo di parlare con gli sviluppatori. Non sono solo i numeri a crescere (durante la nostra ultima anteprima, i marchi inventati per dare coerenza al mondo di gioco erano "solo" un centinaio), ma anche le ambizioni. Sarebbe ora ormai di indossare la maschera e darsi da fare.
Den of Wolves è un progetto monstre che ha gli stessi natali di Payday e che ne richiama, almeno in parte, la filosofia. Il contesto che racconta, però, è assai più stimolante. Il fascino cupo del cyberpunk è il mezzo per veicolare una visione politica audace che, con le sue citazioni a Philip K. Dick e a Charlie Brooker, sa di certo conquistare l'attenzione. Sarà interessante capire come queste suggestioni si inseriranno in un progetto che sembra un cantiere in perenne costruzione, che aggiunge storie, personaggi, marchi ed elementi narrativi ogni volta che abbiamo l'occasione di vederlo in anteprima.
CERTEZZE
- Background narrativo affascinante
- Le missioni nel subconscio dei bersagli sembrano molto interessanti
- Un mondo spietato che si rifà ai capisaldi della letteratura e del cinema distopico
DUBBI
- Speriamo che non si risolva ogni situazione con uno scontro a fuoco
- Inserire una narrativa all'interno di un gioco d'azione è un bel rischio