C'era una volta una serie targata Intelligent Systems che in Occidente conoscevano solo quattro gatti, almeno finché Nintendo non ha cominciato a distribuirla pure dalle nostre parti qualcosa come tredici anni dopo la prima uscita nipponica. Da allora Fire Emblem ha fatto parecchia strada e oggi possiamo giocare i nuovi titoli della serie con discreta frequenza, in contemporanea coi nostri amici del Sol Levante. In questo senso, però, Fire Emblem Engage rappresenta un'anomalia nel nuovo corso: se n'era cominciato a parlare di straforo già lo scorso giugno, qualche mese prima che venisse annunciato ufficialmente, e all'epoca i leak descrivevano un titolo che Nintendo teneva nel cassetto da almeno un anno, e che idealmente avrebbe dovuto festeggiare il trentesimo anniversario del marchio.
A lungo, insomma, si è pensato - temuto? - che fosse un progetto secondario, tipo Fire Emblem Echoes, o comunque qualcosa di meno impegnato rispetto all'ultima uscita principale, Fire Emblem: Three Houses. Ora che ci abbiamo messo le mani sopra, e abbiamo giocato una buona metà della campagna principale, possiamo raccontarvi le nostre prime impressioni nel nostro provato di Fire Emblem Engage: uno strategico che, ve lo diciamo subito, dividerà ancora di più gli ormai polarizzatissimi fan della serie.
Il Signore degli Emblemi
Partiamo subito dalla gimmick di questa iterazione, perché siamo sicuri che sia la caratteristica che suscita più curiosità fin dall'annuncio: gli anelli magici, chiamati Emblemi, che custodiscono gli spiriti dei più famosi protagonisti dei precedenti Fire Emblem. Da Marth a Lucina, passando per Sigurd, Celica, Roy e così via, gli Emblemi influenzano il gameplay meno profondamente di quanto possiate immaginare, ma rappresentano un ulteriore livello di tatticità nella costruzione del nostro esercito. La campagna dà - e toglie! - gli Emblemi, che possono essere assegnati in un'apposita schermata: in realtà, la narrativa designa alcuni personaggi come fossero proprietari "canonici" di certi anelli, ma nulla vieta al giocatore di scambiarli e assegnarli a chi preferisce.
Rispondiamo subito alla domanda che vi sta frullando in testa: ma se gli Emblemi sono solo un certo numero e i personaggi che recluteremo molti di più, non tutti portano un anello al dito? Sì e no. Nella Sala degli Emblem del Somniel, infatti, potremo spendere i Frammenti del Legame - un'importante risorsa che si accumula in vari modi - per generare degli anelli minori che raffigurano anche i personaggi secondari dei vecchi Fire Emblem.
Questi anelli minori non hanno proprietà speciali, ma conferiscono bonus alle statistiche che dipendono dalla qualità dell'anello, che viene classificata, come al solito, da S a D. L'anello minore che produrremo spendendo i Frammenti sarà totalmente casuale, tuttavia potremo fondere i duplicati di bassa qualità per ottenere lo stesso anello di qualità superiore. Ebbene, si tratta di un meccanismo che ricorda i gacha da sistemi mobile, ma fortunatamente non pesa affatto sul gameplay e si può assimilare a un simpatico minigioco che strizza l'occhio ai fan storici col pallino per il collezionismo.
Gli Emblemi maggiori sono sicuramente più interessanti. Ogni anello è caratterizzato da dieci livelli di Legame che i personaggi possono migliorare sia combattendo mentre indossano quello specifico anello, sia nella sala di addestramento dove il giocatore può spendere i suddetti Frammenti del Legame per scartare automaticamente tutti i livelli che vuole per ogni Legame tra un anello e un personaggio: ovviamente il costo cresce esponenzialmente, quindi bisogna sfruttare questo escamotage con un minimo di logica. Il punto è che ogni livello di Legame sblocca una nuova abilità che il personaggio possiederà finché indossa quell'anello: alcune sono piuttosto basilari, e per esempio incrementano i parametri principali dell'unità, mentre altre sono un po' più sofisticate e intervengono più o meno direttamente sul gameplay.
Il problema è che sfilando l'anello dal dito di un personaggio, quello perde i poteri del Legame, ma è qui che entrano in gioco i Punti Abilità che il gioco elargisce in quantità molto contenuta: raggiunto il livello 5 di Legame con un Emblema, il personaggio può "ereditare" le abilità imparate ed equipaggiarle negli appositi spazi per beneficiarne anche quando non sta indossando l'anello con cui le ha imparate. Tutta la personalizzazione di Fire Emblem Engage ruota fondamentalmente intorno a questa dinamica. Il giocatore può infatti costruire le sue unità lavorando sui Legami coi singoli Emblemi e sulle abilità che ogni personaggio deve ereditare per perfezionare i suoi punti di forza o limare i suoi punti deboli. È un processo che richiede tempo e pianificazione, ma che nelle battute iniziali del gioco non sembra pesare in modo significativo sulla progressione.
Il sistema a classi attinge alla stessa dinamica, perché questa volta i personaggi non dovranno solo raggiungere un certo livello e spendere il solito Sigillo Supremo o Speciale per cambiare classe, ma dovranno anche conoscere specifici talenti, cioè le competenze nelle diverse armi. E indovinate come si imparano questi talenti? Ovviamente attraverso i Legami. Fire Emblem Engage non sembrerebbe garantire la libertà di scelta vista in Fire Emblem: Three Houses, che permetteva di tornare sui propri passi e cambiare classe a piacimento; tuttavia, ogni personaggio può virtualmente diventare qualsiasi classe, senza restrizioni di sorta. Gli anelli, d'altra parte, permettono proprio di intervenire sugli eventuali deficit delle statistiche.
È un sistema molto meno macchinoso di quanto sembri, che garantisce un buon livello di personalizzazione, sebbene servano diverse ore prima di conquistare un minimo di libertà decisionale. In questo senso, Fire Emblem Engage è un gioco molto più "dritto" del suo predecessore. La campagna è una soltanto e non ci sono scelte che possono cambiarne l'andazzo: come al solito, alcune azioni, nel corso delle missioni, possono garantire nuove reclute o ricompense speciali, ma non ci sono momenti in cui la narrativa vira in maniera importante. A dirla tutta, non ci sono proprio dialoghi a scelta multipla: questa volta il protagonista non è la nostra controparte, ma un personaggio fatto e finito, doppiato e caratterizzato, dunque è Alear - questo il nome predefinito - a trascinare la storia.
Questo non significa che non ci sia una forte componente ruolistica, per così dire, ma è chiaro che Nintendo abbia scelto di fare un passo indietro rispetto alla sperimentazione di Three Houses. Sebbene ci sia un nuovo hub che possiamo esplorare in terza persona, ricco di funzionalità da scoprire, manca completamente la componente in stile Persona col tempo e le risorse da microgestire: il Somniel è molto più contenuto rispetto al monastero del Garreg Mach di Three Houses, e si gira in molto meno tempo. È chiaro, insomma, che Intelligent Systems abbia scelto un approccio maggiormente vecchia scuola, lineare e mirato.
Battaglie vecchie e nuove
Casomai vi steste chiedendo come la narrativa giustifichi l'esistenza dei personaggi di Fire Emblem negli Emblemi, ebbene... non lo fa. La storia dà per scontato che le cose stiano così, nel mondo immaginario di Elyos e che questi eroi leggendari appartengano ad "altri mondi" non meglio specificati. Vi diciamo fin da ora che Intelligent Systems ha scritto un intreccio marcatamente più leggero del solito, sebbene non manchino diversi momenti drammatici già nelle primissime ore di gioco. La narrativa, tuttavia, insiste davvero tantissimo sull'angolazione più anime di Fire Emblem, con un cast coloratissimo e decisamente eccentrico, a cominciare dal protagonista Alear che, avendo perso la memoria - è un Drago Divino che ha dormito mille anni - deve sostanzialmente ricominciare da capo il cammino dell'eroe. All'inizio è decisamente imbranato, ma può contare su una schiera di pittoreschi alleati.
Il character design, curato dall'illustratrice Mika Pikazo, che ha disegnato alcune popolari V-Tuber, è coloratissimo e dettagliato, ma può sicuramente apparire troppo cartoonesco persino per gli standard di Fire Emblem. In realtà, dobbiamo ammettere di averlo davvero apprezzato: caratterizza benissimo ogni personaggio, conferendogli una personalità riconoscibile già dal costume che indossa, che spesso riflette le sue origini geografiche e il suo lignaggio.
Che comunque Fire Emblem Engage sia molto più anime che in passato si capisce da alcuni espedienti visivi come la stessa Fusione, cioè l'abilità con cui un personaggio e un Emblema diventano tutt'uno in battaglia. La trasformazione, anticipata da una breve scenetta, dura pochi turni e garantisce benefici importanti che possono rovesciare le sorti della battaglia: non solo migliora le statistiche dell'unità, ma le conferisce anche abilità extra e colpi speciali contraddistinti da cinematiche spettacolari. In alternativa, il personaggio che indossa l'anello combatte insieme allo spirito dell'Emblema, che si manifesta in battaglia accanto a lui come uno Stand de Le bizzarre avventure di JoJo. È una soluzione visiva molto strana, ma molto originale, soprattutto perché Intelligent Systems ha lavorato tantissimo sulle animazioni, che sono fluide, curate e spettacolari.
In generale, Fire Emblem Engage ci sta sembrando un titolo tecnicamente migliore di Fire Emblem: Three Houses, sia in portabilità che sul TV. Ma è soprattutto un gioco più intuitivo, e in questo senso dobbiamo riconoscere che lo sviluppatore nipponico è intervenuto su alcune dinamiche storiche della serie senza snaturarle, ma anzi costruendoci sopra in modo intelligente. Il triangolo delle armi, per esempio, torna ad avere maggior rilevanza con l'introduzione della Breccia: in pratica, se chi attacca per primo impugna l'arma giusta, disarmerà l'avversario, impedendogli di contrattaccare.
Già questa novità complica non poco le cose e infatti possiamo dire che Fire Emblem Engage è uno strategico decisamente tosto: stiamo giocando a difficoltà Normale - senza morte permanente delle unità, perché il tempo è quello che è - e abbiamo già dovuto usare parecchie volte la Cronogemma del Drago per riavvolgere i turni delle battaglia ed evitare parecchi Game Over.
Il nuovo GDR di Intelligent Systems vi prende per mano con tutorial più o meno esaurienti, ma sciorina fin dalle primissime ore mappe di soddisfacente complessità, obiettivi secondari particolarmente complicati da raggiungere e meccaniche aggiuntive, come il buio o le sabbie mobili, che costringono a ragionare ogni minimo spostamento. Sotto questo punto di vista, Fire Emblem Engage prende il meglio dei precedenti capitoli e si spoglia degli orpelli che tendevano ad appesantire troppo il gameplay, come i Battaglioni di Three Houses: è un sistema di combattimento più liscio, ma Intelligent Systems sembra sia riuscito a trarne il meglio. Manterrà questa qualità fino alla fine? Ve lo diremo tra qualche giorno nella nostra recensione.
Fire Emblem Engage ci sta divertendo moltissimo e le sue eccentriche soluzioni di gameplay si sposano bene con un livello di difficoltà soddisfacente e un'estetica da anime che potrebbe far storcere il naso a chi sperava in una storia molto più seria, stile Three Houses. A metà campagna possiamo dirvi che Intelligent Systems ha lavorato più sul gameplay che sulla narrativa, ma tireremo le somme solo tra qualche giorno, quindi continuate a seguirci.
CERTEZZE
- La meccanica degli Emblemi è ingegnosa e spettacolare
- Gameplay più liscio ma sempre sofisticato
DUBBI
- La storia migliorerà nella seconda metà della campagna?
- Quanto sarà importante la personalizzazione nelle fasi finali?