Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei videogame, ma anche solo un paio di occhi funzionanti, sarà rimasto perplesso di fronte al servizio del TG4 in cui si accusa Assassin's Creed Unity di essere un simulatore di attentati dell'Isis al Louvre. Inagannata forse dall'uso della lama celata e della spada da parte di Arno Dorian, protagonista dell'episodio parigini della saga Ubisoft, la persona che ha realizzato il video non si è probabilmente resa conto che il gioco è ambientato durante la rivoluzione francese, come facilmente intuibile dall'abbigliamento dei personaggi.
Ma vabbè, non si può mica pretendere che un giornalista vada anche solo minimamente a documentarsi sul prodotto che sta accusando di essere un simulatore di attentati terroristici, peraltro con una leggerezza incredibile.
Il problema, in questo come in altri casi, è l'ignoranza. Non semplicemente intesa come mancanza di qualsivoglia informazione relativa all'oggetto dello "scoop" di turno, ma anche rispetto all'attuale ruolo del mercato videoludico in Italia, che nel 2016 è valso oltre un miliardo di euro. All'oscuro del valore di questo medium e della sua innegabile popolarità, pensando forse di trovarsi ancora nell'epoca delle console a 16 bit e del passatempo di nicchia, la stampa generalista pensa di poter muovere ai videogame accuse che non si sognerebbe neanche lontanamente di fare all'industria del cinema, per fare l'esempio più attinente.
Pensateci: di pellicole violente e controverse ce ne sono a bizzeffe, come del resto è giusto che sia visto che parliamo di opere di fantasia, di storie; ma quand'è stata l'ultima volta che avete sentito un giornalista accusare un film di reclutare jihadisti?
Nell'ambito dei videogame, purtroppo, altri casi eclatanti non mancano. Sono passati più di dieci anni, ma probabilmente nessuno ha dimenticato Panorama che titolava "Seppellisci viva la bambina. In arrivo il videogioco choc" riferendosi al survival horror Rule of Rose, né tantomeno episodi molto più recenti che hanno cercato di stabilire collegamenti diretti fra i videogiochi violenti e il terrorismo, arrivando a parlare di fenomeni di emulazione o addirittura di simulazioni atte all'addestramento... come se impugnare un fucile in Grand Theft Auto V possa in qualche modo fornire indicazioni concrete su come utilizzare un'arma nella vita reale.
Perdura insomma una situazione che vede tutti sconfitti: da un lato la stampa generalista, che dimostra di trattare determinati temi con una leggerezza preoccupante, insinuando per forza di cose il dubbio che tale metodica venga applicata anche ad altri campi; dall'altro l'industria videoludica, che pur avendo adottato una chiara regolamentazione circa la fruizione dei propri contenuti, il PEGI, si trova ancora una volta a doversi difendere da accuse del tutto campate per aria.