La causa legale contro Sony Interactive Entertainment per discriminazione sessuale, portata avanti da alcune ex-dipendenti della compagnia, è stata respinta dal giudice federale in una prima istanza, sebbene la corte abbia offerto alla parte accusatrice la possibilità di ripresentarla entro un termine di tempo stabilito.
La questione era partita lo scorso novembre quando un'ex-dipendente aveva accusato Sony PlayStation di discriminazione sessuale. Il problema principale riscontrato dal giudice Laurel Beeler degli Stati Uniti, che ha portato alla dismissione della causa, è che "la maggior parte delle accuse non sono sostenute da adeguate prove", secondo la corte, in base a quanto riferito nei documenti esaminati da GamesIndustry.biz.
Dei 13 capi di accusa portati avanti dalle ex-dipendenti, tre sono comunque stati accettati senza riserve e possono essere portati avanti, ovvero il licenziamento senza giusta causa, la ritorsione nei confronti di una segnalazione di comportamenti illeciti e la ritorsione secondo la legge della California "Fair Employment and Housing Act".
Tuttavia, la corte federale interpellata non ha giurisdizione su questi casi, dunque il giudice ha dovuto rifiutare l'intera causa, per il momento. L'accusa ha però 28 giorni per preparare una seconda causa che tenga in considerazione le indicazioni della corte.
In base a quanto riferito, testi e documenti dell'accusa risulterebbero manchevoli anche dal punto di vista della forma, pertanto il giudice ha raccomandato un'eventuale riformulazione dei capi d'accusa con il supporto di prove più effettive e chiare. Ha però rifiutato anche la richiesta di Sony, effettuata in precedenza, di chiudere la causa in maniera definitiva per insufficienza di prove, visto che il giudice ha valutato che queste sono "ancora in corso di gestione". Vista anche l'aggiunta di altre testimonianze a supporto dell'accusa, è possibile che queste possano portare a ulteriori prove più consistenti, cosa che ha spinto la corte a rimandare un'eventuale riformulazione dell'accusa.
Le nuove accuse, peraltro, avevano portato nei mesi scorsi a una risposta ufficiale di Sony PlayStation, che sosteneva di stare lavorando attivamente per prevenire eventuali comportamenti discriminatori nella compagnia.