A ben vedere, l'associazione tra ambientazioni tropicali paradisiache e horror sfrenato non è nuova, avendo caratterizzato un intero filone di film di "serie b" intorno agli anni 70, firmati da vari registi soprattutto italiani della scena underground, ma in campo videoludico Dead Island è stato probabilmente il primo a proporre questo bizzarro connubio. Così quando gli sviluppatori polacchi di Techland, prima di allora impegnati in ben altre esperienze videoludiche, hanno proposto questo strano concept, il progetto si è subito imposto all'attenzione di molti, alimentato peraltro da un'accesa polemica sui contenuti violenti scaturita ancora prima della presentazione del gioco effettivo, a partire soltanto da un trailer in computer grafica.
Il risultato è stato dirompente per Deep Silver, che si è ritrovata per le mani un vero e proprio sleeper hit, vendendo ben 5 milioni di copie in tutto il mondo, mettendo così in cassaforte il brand e preparando la strada ad un ovvio secondo capitolo da portare sul mercato. L'inossidabile fascino degli zombie in un'ambientazione così atipica non basta a spiegare l'ottimo risultato raccolto da Dead Island. Un successo arrivato probabilmente proprio grazie all'instabile formula che ne caratterizza il gameplay, fondato su un'ibridazione non facile tra FPS, survival horror e RPG a trazione multiplayer che l'ha reso, quantunque imperfetto, comunque appetibile a fasce di pubblico variegate pur non risultando un prodotto propriamente di massa. Pertanto le scelte attuate da Techland per questo seguito hanno puntato più ad ampliare l'esperienza originale, fornendo più spazi e più contenuti, piuttosto che a modificare o trasformarne la struttura, che è rimasta sostanzialmente invariata.
A dire il vero, Dead Island: Riptide sulle prime non è stato nemmeno inquadrato in maniera certa: la riproposizione delle ambientazioni e degli stessi personaggi del primo capitolo ha fatto inizialmente pensare ad una maxi-espansione, ma la magnitudine della nuova area esplorabile ha fugato ogni dubbio sull'essenza di questo titolo come vero e proprio sequel. E un seguito più diretto di questo non è facile da trovare, in effetti, con la storia che prende l'avvio esattamente dai minuti conclusivi del primo capitolo, mostrando un'evoluzione degli eventi decisamente più negativa di quanto il finale del capostipite potesse far sperare.
Who do you Voodoo (bitch)?
Dead Island: Riptide è dunque la prosecuzione diretta del primo capitolo, al quale si aggancia praticamente senza soluzione di continuità, mostrando all'inizio un riepilogo degli eventi precedenti e partendo dalla fuga in elicottero che, invece di essere salvifica, si rivela solo l'inizio di una seconda parte dell'incubo, se possibile anche peggiore della prima. A conferma di questa impostazione il gioco è predisposto per il recupero dei salvataggi dal capitolo precedente, tanto che, se questi non sono presenti, impone la scelta di un personaggio con distribuzione "forfettaria" di diversi punti abilità da applicare agli skill tree, in modo da partire con un combattente già di livello avanzato.
Ai quattro protagonisti dell'originale si è aggiunto un quinto, John Morgan, specializzato nel combattimento corpo a corpo. Prosegue l'impostazione "impersonale" scelta da Techland per lo sviluppo della trama, per cui anche in questo caso, a prescindere dal personaggio scelto, la storia proseguirà sempre allo stesso modo. Scelta discutibile ma ormai connaturata con l'esperienza di gioco e trattandosi di un capitolo strettamente connesso con gli eventi del primo, non c'erano molte altre possibilità. D'altra parte, una narrazione di questo tipo calza in maniera più coerente con l'impostazione multiplayer cooperativa, dunque la caratterizzazione dei personaggi si lega esclusivamente al loro diverso stile di combattimento e agli skill tree personali. Al di là dell'introduzione narrata in prima persona da Purna dunque, a prescindere da chi sceglierete per affrontare il gioco, lo scopo è quello di salvare tutto il gruppo dei cinque sopravvissuti misteriosamente immuni al contagio zombificante cercando la salvezza: prima fuori da una nave invasa dagli infetti, poi via dall'isola di Palanai e infine, possibilmente, fuori dalla città di Henderson e dal suo maledetto arcipelago.
Questo per quanto riguarda la main quest, per così dire, perché come in un classico RPG a mondo aperto la sequenza degli eventi viene decisa in prima persona dal giocatore e dalla sua volontà di seguire le numerose quest proposte dall'enorme sandbox esplorabile. Anche in questo caso, tuttavia, c'è da registrare una certa piattezza della narrazione e una scarsa varietà di situazioni nelle quali è possibile trovarsi. Al di là dei cambi d'ambientazione, che propongono scenari molto più diversificati rispetto al capitolo precedente, con la possibilità di spostarsi sulle imbarcazioni attraverso un arcipelago, le quest secondarie si risolvono quasi sempre nella ricerca e consegna di oggetti, secondo la classica "sindrome da corriere espresso" che spesso colpisce i giochi con impostazione aperta, necessariamente slegati da impalcature narrative ferree e profonde. Del resto questo non era il punto forte nemmeno del primo capitolo e la caratteristica si ripete in Riptide, nonostante una storia principale decisamente più articolata rispetto al predecessore.
L'orrore in soggettiva
Come appare ormai consolidato dal primo Dead Island, il gioco è più un RPG free-roaming in soggettiva che non un vero e proprio FPS, ma la sua forma ibrida è accentuata, in questo capitolo, da una maggiore presenza delle armi da fuoco, sebbene il loro utilizzo sia sicuramente secondario rispetto al combattimento "melee", con armi da impatto, bianche e da lancio.
L'impostazione praticamente invariata si porta dietro pregi e difetti dell'originale, a partire dall'elemento di base che non smette di essere controverso: l'applicazione della soggettiva al combattimento melee continua ad essere una soluzione imperfetta. L'inquadratura in prima persona stringe eccessivamente la visuale quando ci si scontra con avversari provenienti da diverse direzioni, con la difficoltà a valutare precisamente le distanze e il punto d'impatto dei colpi ad aumentare il caos generale. È un compromesso che dobbiamo accettare fin dall'inizio e sul quale è possibile passare sopra semplicemente abbandonandosi ad un po' di violenza cieca e indubbiamente esilarante, quasi catartica. Si deve rinunciare, in buona parte dei casi, alla precisione, per una sana dose di mazzate date alla cieca a destra e a manca, con buona pace dell'interessante sistema di smembramento selettivo degli arti dei nemici che consente di invalidare gli zombie e ridurne il potenziale offensivo.
I giocatori "pro" possono specializzarsi nella modalità di combattimento analogica, che consente di sferrare colpi differenziati in termini di potenza e direzione con l'utilizzo degli stick analogici, ma è anche questa una soluzione un po' farraginosa quando ci si trova accerchiati da orde di zombie inferociti. Buona comunque la sua introduzione come opzione alternativa. La pianificazione strategica si sposta allora, soprattutto, sulla scelta delle armi in base al diverso effetto che provocano e al raggio d'azione differenziato, con l'utilizzo della modalità "Furia" come arma finale da dosare con cura. Il senso di imprecisione e incompiutezza del sistema di combattimento accompagna l'esperienza di gioco dal primo capitolo e chi ha passato ore su quello si troverà comunque a casa, nella mattanza indiscriminata di cadaveri deambulanti, e non c'è dubbio che il tutto risulti comunque divertente, ed esponenzialmente più godibile se affrontato in multiplayer, modalità centrale nella struttura ludica. È anche per questo che, nonostante l'evidente ripetizione di situazioni, l'esplorazione in lungo e in largo della vasta ambientazione non risulta mai pesante, ma anzi stimolata continuamente. L'altra spinta è data dalle componenti propriamente ruolistiche, che portano alla continua evoluzione del personaggio attraverso la raccolta di punti esperienza e alla ricerca forsennata del "loot", tra il bottino rilasciato dai nemici e i tesori nascosti in giro per le isole, alimentata dal buon sistema di crafting e modifica delle armi.
Sul fronte del personaggio, vengono riproposti i tre diagrammi ad albero relativi all'evoluzione della modalità di combattimento "Furia", del "Combattimento" di base e della "Sopravvivenza", per la collocazione dei punti esperienza in corrispondenza dello sblocco di diverse abilità e caratteristiche. Anche il crafting si presenta sostanzialmente invariato dal primo capitolo ma più esteso nelle diverse possibilità di gestione dell'arsenale. Sono presenti armi da impatto, da taglio, da fuoco, da lancio e corpo a corpo (ogni personaggio è specializzato in una tipologia), ognuna caratterizzata da un coefficiente di rarità e da diverse statistiche in termini di attacco, maneggevolezza e durabilità, tutte riparabili, potenziabili e modificabili attraverso l'utilizzo dei banchi da lavoro sparsi per il gioco, con una grande vastità di risultati ottenibili. La soddisfazione data dalla conquista di un'arma rara e dal suo utilizzo con relativi potenziamenti è cosa nota agli amanti del looting negli RPG e rappresenta anche questa una notevole spinta all'approfondimento del gioco. Il problema, in questo senso, deriva piuttosto dal continuo "respawn" di oggetti in giro per l'isola, che invalidano in parte la soddisfazione della scoperta rendendo possibile accumulare in brevissimo tempo ingenti quantità di denaro e moltiplicare gli oggetti, vanificando in parte l'importanza delle imprese, una scelta piuttosto discutibile da parte degli sviluppatori.
Squadra che vince si ingrandisce
Più che sulla qualità, nel senso di varietà di situazioni e contenuti, Techland ha dunque deciso di spingere sulla quantità, proponendo uno scenario molto più vasto del precedente e aumentando praticamente tutti gli elementi in gioco, dalle ambientazioni ai personaggi utilizzabili, dalla quantità di nemici alla varietà delle armi. Insomma, la perfetta rappresentazione del "more of the same", scelta resa anche necessaria dal precario equilibrio che caratterizza il gameplay ibrido di Dead Island. La volontà di proporre qualcosa di nuovo in termini situazionali si limita a qualche aggiunta piuttosto timida, che ha comunque il pregio di non sbilanciare la particolare atmosfera e struttura del gioco.
Tra queste si segnala la presenza di ampie sezioni all'interno di complessi al chiuso, sporadici scontri a fuoco contro nemici umani e alcune fasi in cui ci si trova, con i compagni di squadra, a difendere un perimetro dall'attacco progressivo di orde di infetti, con la possibilità di fortificare la zona con vari sistemi difensivi. Idea interessante se non fosse per il fatto che viene ripetuta, praticamente identica, più volte nel corso del gioco, cosa che la rende un espediente un po' abusato. Strettamente legata alla nuova vastità dell'ambientazione è l'introduzione delle imbarcazioni come mezzo di trasporto, che a dire il vero funzionano più come momento rilassante nel quale godersi le meraviglie della natura che non come nuovo elemento di gameplay, ma risultano comunque piacevoli e funzionali dal punto di vista "turistico". Ben integrate nel tessuto del gioco le nuove introduzioni in termini di nemici e armi, in una naturale espansione del gameplay all'interno dei confini ben definiti dal primo capitolo. Si registra a tale proposito un maggiore spazio dato alle armi da fuoco, presenti in quantità superiore rispetto al predecessore e con munizioni più frequenti, ma si tratta comunque di oggetti da usare con particolare parsimonia e in generale secondari alle armi melee, come da tradizione. Una migliore stabilità del netcode dovrebbe consentire una fruizione con meno patemi del multiplayer online cooperativo, che peraltro sfrutta un nuovo sistema di bilanciamento del matchmaking che punta a consentire assortimenti più equilibrati tra i giocatori nel sistema drop-in/drop-out. Un'altra novità assoluta è la variabilità delle condizioni meteorologiche, grazie alla quale si generano, di tanto in tanto, dei violenti monsoni con vento e pioggia che riducono la visibilità generale, modificando in un attimo l'illuminazione e oscurando l'atmosfera.
Obiettivi Xbox 360
Dead Island contiene 35 obiettivi che compongono il bottino complessivo di 1000 punti sbloccabili. Si tratta di un numero relativamente basso di achievement, che infatti mediamente concedono un punteggio maggiore rispetto al solito. A parte gli obiettivi legati ad eventi particolari nello svolgimento della storia, la maggior parte sono progressivi, ovvero si basano sul raggiungimento di performance particolari nel corso del gioco, in maniera simile agli obiettivi Steam, solitamente legate alla quantità di volte in cui una certa azione viene ripetuta.
Paradiso infido
Dead Island: Riptide si basa su una versione evidentemente aggiornata del Chrome Engine 5 di Techland, che ha già dato ottima prova di sé in precedenza, in particolare con il primo capitolo della serie. Il colpo d'occhio è davvero notevole, specialmente negli esterni, con piante rigogliose e splendidi panorami tropicali a creare il caratteristico ossimoro stridente con l'inferno di carne putrefatta che ha invaso l'ambientazione. Resta dunque intatto il senso di meraviglia di fronte alle bellezze della natura, che funge anche da stimolo ulteriore ad esplorare al massimo l'enorme mappa. Ad un'occhiata ravvicinata però, si scorgono ancora alcuni dei difetti grafici del primo Dead Island.
La fluidità è spesso instabile, passando da momenti di estrema velocità a cali di framerate anche importanti durante le fasi più concitate, oltre a qualche problema di contatto tra i poligoni che a volte possono costare caro, quando ci si incastra in ostacoli non facilmente rilevabili o mal calcolati. Unendo questo alla scelta della visuale in soggettiva,
che sicuramente aumenta il livello di immersione nel mondo di gioco ma comporta un'ovvia riduzione del campo visuale, questi problemi possono apparire ben evidenti. La modellazione dei personaggi non sembra aver subito il cambiamento sperato dal primo capitolo a questa parte, anche se la maggiore varietà dei nemici presenti sullo schermo crea un buon effetto durante gli scontri e l'esplorazione. Sarebbe stata forse auspicabile una maggiore interazione con gli scenari data da un'implementazione della fisica più profonda e realistica, ma anche da questo punto di vista gli sviluppatori si sono dimostrati decisamente conservatori nei confronti di quanto fatto nel primo Dead Island, lasciando dunque il vasto e rigoglioso mondo di Riptide in larga parte inamovibile e insensibile nei confronti delle azioni del giocatore. Ottima invece la varietà degli scenari, con un'alternanza maggiore tra le fasi all'aperto, che restano comunque dominanti, e sezioni al chiuso. Interni di strutture vacanziere e scientifiche, villaggi e città, bunker e caverne da attraversare riescono bene ad offrire momenti di stacco e variazione nella normale dinamica di gioco, basata soprattutto sull'esplorazione della superficie Palanai, Henderson e territori circostanti, rappresentando in certi casi dei veri e propri dungeon nella struttura da RPG a mondo aperto.
Conclusioni
Dead Island: Riptide rientra perfettamente nella definizione di "more of the same", con una riproposizione del concept originale invariato nella sostanza ma potenziato nei contenuti. Dead Island torna dunque più grosso e più cattivo di prima: la sua delicata formula ibrida riproposta senza alterazioni ma con i confini ampliati in un parco giochi sconfinato per i cacciatori di zombie. Gli amanti del primo capitolo, probabilmente, non avrebbero potuto chiedere niente di meglio ma l'imprecisione del sistema di combattimento e la piattezza generale delle quest sono ancora al loro posto in Riptide. Come anche il buon sistema di progressione dei personaggi, il crafting e il divertimento offerto dall'affrontare il gioco in multiplayer, d'altra parte. Un compromesso che sembra parte integrante della composita identità di questo vero e proprio cult targato Techland, peccato solo che la freschezza dell'originale, a distanza di due anni, sia ormai inesorabilmente perduta.
PRO
- Un mondo più vasto e maggiori contenuti
- Buona la varietà delle ambientazioni
- Un mix rodato di azione, survival horror ed elementi RPG
CONTRO
- Riproposti i difetti intrinseci del sistema di combattimento
- Invariata la piattezza generale delle quest
- Sbavature ancora presenti nel comparto tecnico