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Donkey Kong Country

Ha allungato la vita al SuperNES di due o tre anni, obliterato il Megadrive, sfidato Mario sul campo dei platform, appassionato milioni di giocatori… e oggi ritorna, sul vostro fido GBA. Tutti i dettagli nella nostra approfondita review di Donkey Kong Country!

RECENSIONE di La Redazione   —   30/06/2003
Donkey Kong Country
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Genesi e miracoli di un classico moderno

Quando l’antico Donkey Kong ricevette il suo nome, avrebbe dovuto chiamarsi Monkey Kong. Ma l’errore di traduzione dei corrispondenti della Nintendo, che sostituirono una “D” alla “M” di Monkey, introdusse l’idea di una “scimmia ciucca”, di una scimmia ostinata, che piacque tanto da essere lasciata per il gioco definitivo, lo stesso gioco in cui un certo Jumpman, poi Mario, vide la fredda luce del monitor. Grazie anche a quel Mario, Nintendo poté affermarsi come leader incontrastata del mercato dei videogiochi, costruendo un mercato che, salvo una piccola parentesi polemica costituita dal Megadrive e fino all’ingresso in campo di Sony, era a tutti gli effetti un impero. Ma il 1994, anno di uscita di Donkey Kong Country, era stato preceduto dall’affermazione di Sega e del suo aggressivo porcospino blu, che spopolava nella critica e in classifica tagliando grossissime fette di mercato alla grande N. Nintendo corse subito ai ripari con una serie di titoli di grandissimo impatto, tra i quali, appunto il grande ritorno al videogioco di Donkey Kong. Il restyling dello scimmione e lo sviluppo del nuovo gioco, sotto l’ala protettiva di Nintendo, fu affidato ai guru della Rare, attivi sotto il nome di Ultimate sin dai primi anni ’80 e assoldati da Nintendo per far parte del “dream team” di sviluppatori che avrebbe dovuto rafforzare la softeca del poi altalenante Nintendo64. Rare, ora venduta da Nintendo alla Microsoft con rammarico di molti fan, fece rivivere un Donkey Kong molto più moderno nell’aspetto e inserito in un universo di luoghi e personaggi (tra cui Diddy) del tutto indipendenti dalla fauna nintendiana classica e di alta atmosfera. L’impatto audio e in particolare visivo del gioco, un platform classico ma impegnativo e non privo di trovate originali, fu devastante. Gli sviluppatori inglesi si servirono di potenti workstation per renderizzare (tramite tecnica ACM) modelli di personaggi e elementi di sfondi estremamente definiti e dal look digital-art, riversandoli poi in semplici frames d’animazione e sfruttando al massimo la CPU e il processore grafico del SuperNES per ottenere una grafica di una fluidità e risoluzione, ma anche di uno stile, mai visto su un sedici bit.

Donkey Kong Country
Donkey Kong Country

Genesi e miracoli di un classico moderno

Sul fronte del gameplay, Donkey Kong Country aveva un impianto platform che mutuava molto da Mario, ma se ne differenziava per una serie di elementi: le proporzioni leggermente ridotte tra personaggi e area di gioco, a tutto servizio dell’impatto grafico; l’uso alternato di Donkey e di Diddy, il secondo leggermente più rapido, e la sconfitta dopo l’abbattimento di entrambi; una serie di livelli abbastanza lineare ma dalla difficoltà abbastanza elevata e in progressione “vecchio stile”; l’aggiunta della possibilità di eliminare i nemici rotolandoci addosso in corsa oltre che col canonico salto-in-testa; l’interazione con barili, gomme rimbalzanti, go-kart e altri elementi attivi che richiedevano spesso ottimi riflessi; e la possibilità di cavalcare diversi animali con specifiche proprietà, che schiudevano elementi di gameplay vari ed alternativi. I veri difetti erano pochi, e non risiedevano in una presunta ripetitività dell’azione o nel focus eccessivo sulla grafica. Si limitavano piuttosto all’arbitrarietà della posizione di certi bonus, allo scrolling che in rare occasioni rendeva frustrante i pezzi più impegnativi e alla mancanza di extra di rilievo una volta raggiunto il 100% di completamento di gioco. Donkey Kong Country fu, insomma, una vera e propria killer application destinata a rimanere nella storia. Generò due sequel su SuperNES e una serie parallela sul vecchio GameBoy, oltre ad essere convertito sul GameBoyColor in versione a 8bit (forse meno bieca e un minimo più “poetica” della presente conversione) e a ispirare l’esperimento in 3D di Donkey Kong 64 per Nintendo64. Qui, invece, ci troviamo di fronte alla conversione ufficiale e fedele sul GBA, un portatile che nasce proprio dal cuore del SuperNES. Vediamo un po’ come funziona questa trasposizione.

Donkey Kong Country su GBA: la perdita del feeling

Come abbiamo accennato, il gameplay di Donkey Kong Country si presenta sostanzialmente fedele all’originale. Le novità di maggiore rilievo consistono nell’ordine di alcuni livelli, che appare stranamente alterato, nei pattern modificati di certi boss e di alcuni nemici e nella possibilità di salvare il progresso del giocatore in ogni momento, rendendo meno frustrante ma anche molto meno impegnativo il procedere. A questo vanno aggiunti una serie di extra, tra cui: la modalità Time Attack; la modalità Hero; la raccolta di “istantanee” di personaggi e ambienti, da osservare poi in un apposito book fotografico; e i nuovi minigiochi. Il primo si intitola Funky’s Fishing e si presenta come un gioco di pesca dalla meccanica interamente mutuata da uno dei minigiochi di Mario Party (il che sorprende poco, considerato che si tratta di farina interamente del sacco di Nintendo); il secondo si intitola Candy’s Dance Studio ed è mutuato dai giochi musicali, per cui consiste nella pressione, al momento giusto, dei tasti relativi a quelli che compaiono su schermo per dare vita ad una danza a ritmo di musica da parte del nostro personaggio. Entrambi i giochi, specialmente il primo, sono abbastanza divertenti, e funzionano decisamente bene in multiplayer.

Donkey Kong Country
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Donkey Kong Country su GBA: la perdita del feeling

Bonus a parte, il risultato della trasposizione è un gioco fedele all’originale, ma molto meno impegnativo a causa della possibilità di salvare in ogni momento e della presenza di una directory riassuntiva dei bonus di ogni livello, assenti su SuperNES. A livello audiovisivo, purtroppo, la trasposizione è invece nettamente inferiore a quanto ci si potrebbe e dovrebbe attendere. Per ciò che riguarda l’audio, le fantastiche musiche dell’originale (funkeggianti, tribali; evocative, indimenticabili, in alcuni casi veramente poetiche) sono rimaste pressoché intatte, ma di una qualità nettamente inferiore a causa del processore audio del GBA e soprattutto del ridicolo speaker (ma si può ovviare con le cuffie). A livello grafico, la situazione è simile. Pur essendo tecnicamente più potente e versatile del SuperNES, infatti, il GBA non funziona esattamente nello stesso modo, e deve per giunta scontrarsi con i limiti di uno schermo portatile. Il prezzo è che alcuni fondali sono stati rimaneggiati e ritagliati leggermente per fare fronte alle diverse proporzioni, risultando spesso molto meno definiti e perdendo alcuni livelli di scrolling in parallasse. Atto criminale è poi la scelta di aumentare sensibilmente la luminosità di ambienti e personaggi del gioco per via della nota oscurità dello schermo GBA, con il risultato di alterare ingiustificatamente il feeling grafico dell’originale, che si presentava molto atmosferico e abbastanza dark e si ritrova qui letteralmente annacquato, addirittura sovraesposto se giocato su un GameBoy Advance SP. Una grossissima tirata d’orecchie a Nintendo per non avere studiato un controllo attivo della luminosità e soprattutto considerato la possibilità del gioco di essere fruito sia su versione retroilluminata che non del portatile! Per fortuna le animazioni di alcuni nemici si presentano leggermente migliorate, e possiamo assistere ad elementi prima mancanti come piccoli serpenti, ragni, insetti e pipistrelli che popolano i fondali e le piattaforme. Alcune schermate di intermezzo sono state inoltre rese più nitide o aggiunte ex novo; ma quelle che sostituiscono gli sfondi originali dei personaggi secondari del gioco, come il vecchio Cranky o Funky Kong, sono nettamente peggiorate, perdendo molte chicche visive e citazioni da classici della Nintendo e della Rare. Lo stesso impoverimento si riscontra nei testi del gioco: nell’originale i dialoghi con i personaggi erano densi di auto-ironia e di umorismo nei confronti della storia della Nintendo, dei classici dei videogiochi e persino della concorrenza, mentre su GBA sono stati del tutto eliminati in favore di frasi sconnesse riguardanti lo scontatissimo progresso all’interno dei livelli. Cranky Kong, in particolare, incarnava il vecchio eroe dei videogiochi che si lamenta perennemente per la mancanza dei videogiochi semplici e senza fronzoli “dei miei tempi”, suggerendoci che lo storico, primo Donkey Kong fosse proprio lui. Difatti, nell’intro originale il videogiocatore assisteva a Cranky intento a suonare un vecchio carillon su una scala rossa identica a quella del vecchio arcade game. Subito dopo irrompevano l’attuale Donkey e il suo fido Diddy, scalciando a forza il vecchiaccio con il loro rumoroso stereo, la musica roboante e il nuovo titolo. Di tutto questo, su GBA è scomparsa ogni traccia.

Donkey Kong Country
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Il verdetto sul remake

Donkey Kong Country per il GBA è una conversione fedele all’originale per SuperNES solo per la sua giocabilità in senso stretto, che deriva dalla similarità degli hardware e dalla conseguente leggerezza nello sforzo di conversione. E’ quindi un platform di alta classe, giocabile, impegnativo, coinvolgente, dotato di una sua unicità e degno della grande storia del genere. Ma questa apparente “facilità” di conversione ha fatto si che il feeling originale sia stato irrimediabilmente "perso per strada", vuoi per le scelte grafiche criminali, vuoi per l’esclusione di alcuni elementi estetici fondamentali, vuoi per i save sempre disponibili che lo rendono molto meno impegnativo. Almeno per chi il gioco lo ha vissuto, oppure lo colloca nel suo contesto originale, Donkey Kong Country su GBA è forse l'ennesima prova del fatto che i remake vanno considerati come “giochi a parte”, come nuovi titoli, e non come gli originali dell’epoca. Il fatto è che il tempo, le aggiuntine, le modifiche, i cambi di luminosità lavorano necessariamente ai fianchi i giochi, spesso in peggio. La conversione per GameBoyColor, attuata su un 8bit, era paradossalmente superiore, con una grafica irrimediabilmente scalata ma molto pulita e godibile. In questo caso abbiamo un classico che, in sé, ha perfettamente resistito alla prova del tempo: nella sua giocabilità, anche se qui è diventato un po’ troppo facile, e persino nella sua proposta audiovisiva, che rientra ugualmente nella media alta delle produzioni GBA attuali nonostante la pessima trasposizione di fondali e animazioni. Come titolo, quindi, sarebbe caldamente consigliato in ogni softeca. Il consiglio, però, a questo punto, è di tagliare la testa al toro e di procurarvi l’originale con relativo SuperNES. Un’alternativa ancora tutt’altro che utopistica e tramite la quale giocherete a un pezzo di storia che vale un nove o un nove e mezzo in una scala di giudizio, non alla sua svendita malcurata che racimola il sette.

    PRO (Il gioco)
  • Un platform storico approda su GBA
  • Grande gameplay e grande estetica
  • Nove anni = più fresco dei contemporanei!
  • Extra: MiniGames in multiplayer
    CONTRO (La conversione)
  • Audio&Video pesantemente ridimensionati
  • Grafica poco definita e criminalmente annacquata
  • Coi save e l'indice dei bonus è un po’ facile
  • Perse la bella intro e l’ironia nei dialoghi originali
  • Fate sempre in tempo a prendere un SuperNES

GameBoy Advance è, chiaramente, la console che più di ogni altra nella storia dei videogiochi potrebbe aspirare all’appellativo di macchina del tempo videoludica. In primis, è retrocompatibile con la vecchia softeca GameBoy, che data fino all’alba dei novanta ed era già in sé soggetta al recupero della generazione precedente. La sua architettura hardware, poi, è sviluppata a partire dal Super NES. I due fattori hanno reso la console teatro di un massiccio processo di accumulo e recupero di classici più o meno meritevoli. Donkey Kong Country rientra certamente nel novero delle conversioni più illustri. È la trasposizione abbastanza fedele, infatti, di un gioco eccezionale tanto per qualità intrinseca che per importanza storica. Il tandem Nintendo-Rare lo impose come uno dei migliori platform non-Mario dell’epoca e generò due eccellenti seguiti ma, soprattutto, inaugurò e permise una vera e propria SuperNES-renaissance. Grazie alla rinnovata aggressività, il 16bit Nintendo obliterò l’ormai debole concorrenza del Megadrive e tenne testa per almeno un altro paio di anni all’avanzare più o meno imponente delle varie CD- i, 3DO, Jaguar, Saturn e Playstation. Capire il perché questo sia successo è facile quando ci si accorge che la conversione che abbiamo tra le mani di questa killer application può vantare, oltre all’immarcescibile gameplay, una proposta audiovisiva che era così eccezionale all’epoca da rimanere fresca anche a nove anni di distanza e nonostante una cattiva ridefinizione. Al pacchetto della conversione per GBA si aggiungono piacevoli bonus come la modalità time attack, i due minigiochi in multiplayer e altri piccoli extra. Nel complesso, quindi, è una discreta ripubblicazione, una conversione che, senza confronto con l’originale, funziona. Però, alcune scelte nella fase di adattamento del gioco alla nuova formula del portatile sono altamente discutibili e ne intaccano in parte il feeling, mentre gli extra sono simpatici ma non certo eccezionali. L’originale risulta dunque “annacquato”. E’ da qui che si genera il dubbio: e se fosse meglio procurarsi un bel SuperNES?