Al termine di un'avventura durata quasi tre anni, due tranche di donazioni su Kickstarter e oltre duecento ore di filmati registrati, Indie Game: The Movie è stato finalmente pubblicato questa settimana per la gioia di chi segue con attenzione la scena underground delle produzioni indipendenti. Che si sarebbe trattato di un evento importante per appassionati e sviluppatori era chiaro già da diverso tempo, tant'è che in molti, pre-ordinata la propria copia su Steam, erano già seduti in prima fila con pop-corn e Coca Lite. Preferendo restringere la narrazione a poche storie anziché proporre il solito putpourri di micro-interviste, il film documentaristico diretto dal duo canadese James Swirsky e Lisanne Pajot racconta con attenzione lo sviluppo di alcuni dei giochi più rappresentativi del mercato indipendente. Lo fa attraverso le parole, i gesti e i ricordi di Edmund McMillen e Tommy Refenes (Super Meat Boy), di Phil Fish (FEZ) e di Jonathan Blow (Braid), ma a differenza di quanto suggerisce erroneamente il titolo, Indie Game: The Movie non è un documentario dedicato ai giochi indie. Nossignore.
Chi dai 103 minuti di pellicola si aspetta di scoprire segreti e curiosità riguardo Braid o Fez resterà senza dubbio a bocca asciutta, perché i protagonisti dell'intero film non sono i videogiochi, bensì chi i videogiochi li realizza: i riflettori sono tutti puntati sugli sviluppatori, sui loro sacrifici e i loro traguardi, le soddisfazioni e i malumori, la frustrazione data da ristrettezze economiche e il piacere di interagire coi fan. Si tratta di una prospettiva che si sposa decisamente meglio con piccole produzioni indipendenti e autoriali anziché agli enormi blockbuster in cui lo sviluppatore medio è una goccia insignificante nell'oceano dei Credits. Basta poi dare un'occhiata a uno dei tanti trailer diffusi finora per farsi un'idea della qualità della produzione: l'ottima attenzione alla fotografia, i piani ponderati, il montaggio accattivante ma non pacchiano e la capacità di utilizzare i mille fegatelli non tanto per riempire i buchi, quanto per enfatizzare la narrazione. È chiaro insomma che Swirsky e Pajot non sono solo due studenti con appresso una costosa videocamera. Certo, in più di un'occasione si lasciano prendere un po' troppo la mano con inquadrature eccessivamente ricercate ed eleganti, in alcuni punti forzate e fuori luogo, ma nel complesso il film è un vero piacere da guardare. E da ascoltare: l'intera colonna sonora è infatti opera di Jim Guthrie, il compositore dietro le meravigliose musiche di Superbrothers: Sword & Sworcery EP che con i suoi brani accompagna a braccetto le immagini su schermo.
Una voce fuori dal coro
L'intero documentario segue due filoni principali che si intrecciano e si alternano. Da un lato vengono narrati i mesi finali dello sviluppo di Super Meat Boy, il duro crunch time del Team Meat e l'accoglienza al lancio su Xbox Live Arcade, mentre dall'altro si dà una panoramica abbastanza ampia della gestazione di Fez, sebbene questa parte si interrompa diversi mesi prima che Fish e i suoi collaboratori riescano effettivamente a pubblicare il gioco. Nel mezzo trova spazio qualche breve momento con protagonista Jonathan Blow che, presentato quasi come un saggio eremita in perenne meditazione, dispensa perle di saggezza e descrive il suo rapporto col game design e con la critica specializzata.
Sebbene questi momenti finiscano inevitabilmente per spezzare la narrazione principale, il "ruolo" di Blow completa il quadro generale e dà il punto di vista di uno sviluppatore che già da tempo ha pubblicato con successo un suo gioco. A differenza di molti altri autori, il papà di Braid non si fa problemi ad ammettere che il concept dietro la sua opera magna fosse in realtà frutto di un'idea partorita da un suo amico e ispirata a Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo, mentre si lascia anche andare a un'amara polemica nei confronti dei giornalisti che, pur con ottime recensioni, hanno frainteso o trascurato gli aspetti più importanti del gioco. A parte queste rare eccezioni, chicche e curiosità di questo tipo sono state deliberatamente lasciate fuori dal documentario, ma saranno abbondantemente presenti nei contenuti extra dell'edizione da collezione che sarà distribuita nei prossimi mesi.
Due ragazzi qualunque...
Dovrebbe ormai essere chiaro che Indie Game: The Movie è un film da guardare obbligatoriamente per chiunque sia anche solo incuriosito dallo sviluppo di videogiochi e dalla scena indie, ma va anche detto che il documentario non è affatto esente da critiche. Nonostante sia possibile trovare un filo conduttore nella selezione degli sviluppatori e dei loro giochi (Braid, Fez e Super Meat Boy in un modo o nell'altro devono molto a Super Mario Bros.), il modo in cui viene raccontata la storia del Team Meat e quella di Phil Fish finiscono per cozzare pesantemente.
Le sequenze con protagonisti Edmund McMillen e Tommy Refenes sono infatti molto più genuine e credibili. I due appaiono quasi come un gruppo punk al lavoro sul progetto della vita: danno il 110% con l'obiettivo di soddisfare anzitutto sé stessi, ma sono consapevoli di avere un'unica freccia al proprio arco. Se mancano il bersaglio è Game Over. Questa metà del racconto è arricchita dai ricordi d'infanzia dei due amici statunitensi, dai filmati di vita quotidiana e soprattutto dalla costante presenza di una componente familiare che evidenzia il lato più umano dello sviluppo di videogiochi: dai problemi economici di casa Refenes al rapporto che McMillen ha con sua moglie e sua nipote Acacia. Saltellando da Santa Cruz ad Asheville, quasi tutte le riprese sono ambientate dentro mura domestiche, mostrando foto e filmati d'epoca: il risultato è relativamente più grezzo, in alcuni tratti "sporco", ma senza dubbio più efficace e interessante.
...e un personaggio ricercato
Al contrario, nel guardare gli spezzoni relativi a Phil Fish non si può non avere la stridente sensazione di trovarsi davanti a un documentario diretto da un altro regista: c'è molta (troppa?) enfasi sul voler creare scene d'effetto e inquadrature originali anziché focalizzarsi sui momenti mondani dello sviluppatore. Non ci siamo trattenuti dall'alzare un sopracciglio nel vedere il game designer canadese in alcuni momenti decisamente artificiosi, mentre gran parte delle riprese si svolge in un grande albergo nei pressi del PAX East. Alla ricerca della "scenografia" perfetta da parte degli autori si affiancano le affermazioni spesso melodrammatiche di un personaggio controverso come Fish, il quale volente o nolente appare fin troppo consapevole della presenza di una telecamera puntata su di lui. Il contesto familiare presente in maniera forte nei due componenti del Team Meat in questo caso viene relegato a pochi secondi di racconto, mentre il resto è una continua (e in alcuni momenti deprimente) analisi introspettiva dello sviluppatore. Non a caso il racconto si risolleva parecchio quando Fish si reca alla fiera statunitense, mostra ai visitatori il proprio gioco, si confronta con le reazioni del pubblico e con la frustrazione dei mille crash dovuti a un grave bug nella sua demo.
Indie Game: The Movie inciampa poi in diversi errori di tipo giornalistico. Dell'aspro rapporto tra Phil Fish e il suo ex-collaboratore Jason Degroot viene presentata solo la piccata versione del primo, senza che al secondo sia stato concesso un contraddittorio o anche la sola possibilità di apparire nel film, finendo così per dare una visione parziale o addirittura distorta della storia. Allo stesso modo non appare mai chiaro il target a cui il documentario è destinato, e anzi è evidente che si voglia accontentare un po' tutti: se da un lato è palese l'intenzione di volerlo rendere apprezzabile a chi di videogiochi non ne sa nulla, dall'altro ci si chiede quanto questo tipo di pubblico possa essere interessato all'opinione di figure della stampa specializzata note solo a chi segue con attenzione la scena indie.
Un approfondimento imperdibile
Chiuso un occhio su queste sbavature, quello che resta è un magnifico ed emozionante racconto sulla non facile vita di uno sviluppatore indipendente, sui suoi sacrifici e sulle fonti di ispirazione, mostrando un punto di vista che fin troppo spesso viene ignorato o dato per scontato dall'utente finale. Indie Game: The Movie riesce a non scadere nell'autoreferenzialità e non fa l'errore di incensare le persone protagoniste, ma mette in primo piano la loro voglia di esprimersi senza scendere a compromessi, i periodi di frustrazione e difficoltà, ma anche le gioie e le soddisfazioni dell'essere "indie". In più momenti Swirsky e Pajot toccano corde assai sensibili: che siate giocatori, sviluppatori o giornalisti, vedere le reazioni di McMillen e Refenes all'accoglienza di Super Meat Boy da parte del pubblico e della critica specializzata non può lasciare indifferenti. Tutto questo con la consapevolezza che Fez e Super Meat Boy rappresentano dei casi di successo atipici, e che gli insuccessi, i buchi nell'acqua e l'incapacità di emergere assai frequente nei piccoli sviluppatori non vengono presi in considerazione. Insomma, pur concedendosi a scelte estetiche talvolta troppo sofisticate, Indie Game: The Movie riesce nell'arduo compito di raccontare la creazione di videogiochi senza banalizzarne il lato umano, confezionando un ottimo documentario che va ad affiancarsi a Masters of Doom e ai diari di Jordan Mechner nella lista dei documenti imperdibili per tutti quei giocatori interessati a ciò che accade "dietro le quinte".