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Leggende metropolitane

Quand'è che il mondo dei videogiochi si è riempito di tante balle?

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   08/12/2014

Dibattiti da forum, giornalisti videoludici superficiali e youtuber poco informati in cerca del colpo grosso per fare spettacolo stanno alimentando delle grosse e pietose leggende urbane o, meglio, luoghi comuni, del mondo videoludico, che non abbiamo definito semplicemente balle sesquipedali per decenza. Molti argomenti tecnici vengono affrontati in modo emotivo, con tesi spesso assurde che non trovano fondamento nei fatti o nella logica, ma solo nella voglia di fare polemica sterile e facile contro l'oggetto d'odio del momento. Mettiamoci anche l'uso sballato di alcune parole e il brodo primordiale è servito! Con questo articolo proveremo a sfatare alcuni miti ben radicati nella nostra incoscienza.

Quante leggende urbane esistono nel mondo dei videogiochi? Quante se ne possono sfatare?

Perché i giochi su console non arrivano tutti a 1080p per 60 fps?

E perché non li portiamo tutti a 8k? Fino all'avvento di PlayStation 4 e Xbox One la risoluzione non aveva rappresentato un grosso problema per i videogiocatori console. Su Xbox 360 e PlayStation 3 se ne parlava, ma con moderazione. Oggi sembra invece essere l'unico fattore capace di accendere discussioni che finiscono sempre nel caos più totale per via di eccessi dialettici e stupidaggini cicliche che si perpetuano di post in post. Esplicitiamo: i 1080p per 60 fotogrammi al secondo sono un target non sempre raggiungibile su console.

Leggende metropolitane

Chi gioca su PC sa che al variare della configurazione hardware può variare anche la fluidità e, in caso sia necessario, si possono cercare dei compromessi lavorando con le varie opzioni di configurazione per abbassare il dettaglio. Su console questo non è possibile, perché sono macchine dalla potenza fissa, quindi di base risoluzione e fluidità sono scelte che vengono fatte a monte. Chiariamo un punto: nessuno sviluppatore mira a immettere sul mercato un prodotto inferiore alle sue massime potenzialità grafiche. Ovvero, nessuno ridurrebbe mai la qualità visiva del proprio lavoro per fare dispetto ai videogiocatori, sapendo bene che ne uscirebbe distrutto, commercialmente parlando. Normalmente l'iter di sviluppo è il seguente: si sceglie una piattaforma di riferimento e poi si creano le altre versioni partendo da quella. La piattaforma di riferimento è normalmente quella che garantisce le vendite maggiori. Le altre piattaforme possono richiedere dei compromessi grafici, oppure possono avere dei miglioramenti, a seconda della potenza, ma difficilmente avranno risorse specifiche dedicate, se non per interesse di operatori terzi (ad esempio è risaputo che Nvidia lavora moltissimo in questo senso per esaltare le versioni PC dei giochi, ma solitamente manda i suoi tecnici a lavorare sugli extra). Torniamo a noi. Tecnicamente i 1080p per 60 fotogrammi al secondo sono possibili anche su macchine poco potenti, basta non mettere niente nel gioco. Lo sappiamo che si tratta di un'affermazione apparentemente assurda, ma riassumendo è la realtà dei fatti. La scelta di risoluzione e framerate dipende da moltissimi fattori. Normalmente si tende a non penalizzare la qualità visiva, sacrificando invece un po' di risoluzione di rendering (che non è la risoluzione a schermo) e portando i fotogrammi al secondo a trenta. Passare da 30 a 60 fotogrammi al secondo non è un'operazione banale e, soprattutto, non è possibile con la sola ottimizzazione, a meno di non sacrificare enormemente il dettaglio grafico. Detta in modo barbaro, ma speriamo comprensibile: un frame rate doppio richiede che la macchina faccia ogni secondo il rendering del doppio delle immagini, ossia che le calcoli e le mostri sullo schermo.

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Il tempo di rendering del singolo fotogramma in un videogioco è legato a un'infinità di fattori che non è il caso di stare a esplicitare e che, soprattutto, richiederebbero un esperto in materia per essere illustrati al meglio. Una legge inviolabile e comprensibile da tutti stabilisce però che più la scena 3D è complessa, ossia più si aggiungono dettagli ed effetti, più è pesante da calcolare e più richiederà una macchina potente per mantenere una fluidità elevata. A parte alcuni accorgimenti, come il miglioramento delle tecnologie software che permettono di sfruttare meglio l'hardware, l'unico modo per ottenere una fluidità maggiore a parità di hardware sarebbe il sacrificio del dettaglio grafico o la rinuncia ad alcune caratteristiche del gioco che impegnano risorse. Quindi, di fronte a risoluzioni e frame rate inferiori a quelli ottimali per il marketing, la domanda da porsi non è tanto se gli sviluppatori siano stati pigri, ma se il sacrificio di risorse grafiche sia valso o meno a ottenere un dettaglio grafico migliore o un sistema di gioco più complesso e appassionante. Ovviamente l'intero discorso fatto qui sopra non vuole minimamente giustificare quei casi in cui la poca fluidità compromette la giocabilità.

Perché alcuni giochi in pixel art non arrivano a 1080p?

Quando lo sviluppatore Heart Machine ha dichiarato che Hyper Light Drifter girerà soltanto a 480p si è scatenato l'inferno. Ora, partiamo dal presupposto che una dichiarazione del genere è naturale che sia suonata molto male agli orecchi di chi non conosce come funziona la grafica cosiddetta pixel art, perché se è vero che i videogiocatori spesso peccano di superficialità, è vero anche che alcuni sviluppatori fanno uscite a uccellum facilmente fraintendibili. Cerchiamo però di chiarire la faccenda. Si definisce pixel art un'immagine disegnata pixel per pixel in un programma che consente la realizzazione di grafica raster. "Grafica raster" non è una parolaccia. Ogni immagine formata da pixel è un'immagine raster. Ad esempio le foto prodotte dalle macchine fotografiche digitali lo sono. Il dettaglio di un'immagine raster dipende dal numero di pixel da cui è composta in origine. Vi suonerà strano, ma un'immagine raster nativa a 480p non guadagnerà nulla in dettaglio se portata a 1080p, a meno di non applicare filtri che però non hanno niente a che fare con l'immagine iniziale e che, paradossalmente, sarebbero controproducenti se l'obiettivo fosse proprio quello di rendere visibili i pixel a schermo, che poi è quello di Hyper Light Drifter. Per rendersene conto basta aprire un qualsiasi programma di grafica raster, disegnare una griglia di 3x3 pixel bianchi e neri alternati e quindi allargarla quanto si vuole. L'immagine più larga non avrà maggiori dettagli nonostante il maggior numero di pixel, come verificabile dall'immagine esempio riportata (se zoomate per osservare la griglia 3x3 badate di non avere qualche filtro attivo nel browser che sfumi i contorni dell'immagine). Nonostante al crescere della risoluzione i pixel che formano i quadrati bianchi e neri siano molti di più, i quadrati non guadagnano dettagli. Lo stesso vale anche per le immagini più complesse, come le foto stesse. Da questo ne deriva che se la grafica di un gioco in pixel art è disegnata a 480p, non avrebbe davvero senso portarla a 1080p con artifici vari, perché non ne guadagnerebbe nulla dal punto di vista della qualità visiva. Il discorso cambia con la grafica vettoriale e con quella 3D, ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.

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È reale il mito dello sviluppatore pigro che non ottimizza i giochi?

Uno dei miti più diffusi dell'industria videoludica è quello dello sviluppatore pigro che non ottimizza i giochi. Questa immagine nefasta deriva in buona parte delle epoche passate, anni ottanta e, in parte, anni novanta, quando lo sviluppo dei giochi era in mano a singoli programmatori che si occupavano di tutto e che potevano essere più o meno capaci a seconda della loro preparazione e dedizione.

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Oggi che i titoli tripla A sono sviluppati da team composti da centinaia di persone, parlare di "pigrizia" non ha davvero più senso. Si può pensare che in team così ampi ci siano professionisti di vario livello, ma la potenziale incapacità del singolo sarà sempre bilanciata dal resto del team, che solitamente sarà composto gerarchicamente in modo da dare più potere decisionale alle individualità con maggiore esperienza (avete presente quando si parla di programmatori junior, senior, lead e via discorrendo?). La cattiva ottimizzazione può derivare da molti fattori, come il poco tempo dedicato ai test, la scarsa conoscenza dell'hardware di una macchina da gioco, la difficoltà nei port dovuta magari alla poca conoscenza del framework con cui è stato sviluppato, l'implementazione tardiva di una tecnologia ancora in fase sperimentale e così via. Pensare però che derivi da un singolo sviluppatore pigro, o da un intero team dedito ai sonnellini più che allo sviluppo, è un'assurdità che dovrebbe fruttare la totale irrisione pubblica, con annesso lancio di uova e pomodori, di chi la esprime.

I videogiochi costano troppo?

Altro mito dell'industria videoludica è che i videogiochi costino troppo. La risposta, guardando l'andamento dei prezzi, è un secco no. Anzi, negli ultimi anni ci sono tali e tante offerte, soprattutto in ambito PC, con sconti assortiti di ogni sorta, che si possono trovare videogiochi davvero a qualsiasi prezzo.

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Certo, se si pretende di acquistare l'ultima uscita tra i tripla A a una manciata di euro si rimane delusi, ma in quel caso la scelta è tra il prezzo massimo o il fallimento, visto che parliamo di produzioni da decine di milioni di dollari che non possono essere vendute a venti dollari a copia al lancio se vogliono sperare di rientrare dei costi. Poi è ovvio che ognuno conosce le sue possibilità economiche e sa il prezzo che può permettersi di pagare per avere un singolo videogioco. In molti casi, comunque, basta non pretendere di avere l'ultima novità al lancio e attendere qualche offerta per acquistare anche prodotti molto recenti a prezzi vantaggiosi. Se poi facciamo il confronto con il passato, la situazione appare ancora più rosea, soprattutto in ambito console, visto che l'attuale differenziazione dei prezzi non ha paragoni rispetto anche solo all'epoca PlayStation 2 / Xbox / Gamecube, dove per vedere offerte bisognava attendere che i giochi fossero ripubblicati in edizione economica anni dopo il lancio. Quindi un singolo videogioco può costare troppo rispetto a quello che offre, ma i videogiochi in generale non sono mai stati così convenienti come lo sono oggi.

Ma i porting…

No no no! Si dice "port", non "porting". Porting è l'atto di realizzare un port, tutto qui. Non barbarizziamo la povera lingua di Shakespeare e non perdiamo tempo nemmeno a discuterne. È così e basta.

Ma i port dei giochi realizzati da sviluppatori differenti, che penalizzazioni hanno?

C'è stata un'epoca in cui per realizzare un port, gli sviluppatori dovevano spesso riprogrammare il gioco da zero, rifacendo tutti gli asset in modo che somigliassero il più possibile a quelli della fonte originale. Basti pensare alle molte conversioni da coin-op degli anni ottanta, quando i vari team non avevano fonti "tecniche" da cui attingere (codice, grafiche e così via) e al massimo potevano giocare con gli originali cercando poi di ridurli al meglio sulle varie macchine. In quei tempi così creativi, capitava spessissimo che macchine diverse avessero versioni enormemente diverse dello stesso gioco.

Leggende metropolitane

Ad esempio andatevi a guardare i port del coin-op Strider su Commodore 64, Amiga e ZX Spectrum, oppure le diverse versioni di R-Type. Oggi un quadro del genere non è più concepibile e quando si parla di port realizzati da team di sviluppo diversi da quello che sta sviluppando il gioco sulla piattaforma di riferimento, la situazione è molto diversa. Normalmente lo studio che si occupa di un port non mette mano al gioco vero e proprio, che rimane quello sviluppato dal team principale, ma si occupa di adattarlo alla singola macchina su cui sta lavorando, modificandone solo alcuni aspetti collaterali. Ad esempio degli elementi della GUI saranno diversi da macchina a macchina, così come bisognerà fare in modo che il prodotto si armonizzato con le linee guida dettate dal produttore hardware (console) o con quelle della piattaforma commerciale su cui si vuole pubblicare (si pensi a Steam), magari inserendo elementi obbligatori senza i quali un gioco non viene considerato pubblicabile (pensate agli Obiettivi su Xbox e ai Trofei su PlayStation), oppure accogliendo degli standard qualitativi relativi a singoli aspetti, di cui solitamente il videogiocatore medio non si accorge nemmeno. Un team che si occupa di un port difficilmente metterà mano a grafica o meccaniche di gioco pure, che considererà solo in termini di adattamento, ad esempio abbassando alcuni dettagli visivi nel caso si stia eseguendo un port su una macchina meno potente. Insomma, i miti di texture differenti tra le diverse versioni di un gioco (quando lo sembrano, normalmente è per gli effetti che ci vengono applicati sopra che variano a seconda dell'hardware a disposizione), o di team che rifanno da zero interi giochi tripla A è roba buona per i racconti davanti al focolare.