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Caccia selvaggia

L'Età della Pietra secondo Ubisoft

PROVATO di Stefano F. Brocchieri   —   26/01/2016
Far Cry Primal
Far Cry Primal
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Sembra proprio che la Preistoria stia conoscendo una nuova giovinezza. Titoli come ARK: Survival Evolved e Horizon: Zero Dawn, tra gli altri, stanno velocemente portando alla ribalta un'era che non è stata particolarmente sfruttata dal videogioco e di cui in ogni caso sembrava essersene dimenticato per un po'. E a giudicare dal successo del primo, mattatore incontrastato delle frequentazioni ad accesso anticipato su Steam da mesi e mesi, e dal potere catalizzante del secondo, balzato prepotentemente tra i più desiderati dell'utenza PlayStation 4 sin dalla primissima comparsa allo scorso E3, mai momento fu più propizio per il revival di un'epoca che per fascino storico e iconografico, ma anche "traducibilità" in termini ludici, ha davvero molto da dire a un pubblico che si sta dimostrando estremamente propenso ad ascoltare. Un potenziale annusato anche da Ubisoft, che ha deciso di dire la sua sull'argomento sulla base di un format che si presterebbe particolarmente bene per lo scopo, quello di Far Cry. Ne abbiamo scoperto di più grazie a una nuova prova sul campo relativa alle prime fasi del gioco, durata circa un paio d'ore, nel corso delle quali abbiamo potuto maturare qualche impressione di massima circa la possibilità che l'occasione venga effettivamente colta come dovrebbe.

Ci siamo messi alla prova per qualche ora con la lotta per la sopravvivenza di Far Cry Primal

Benvenuto, mondo crudele

Far Cry Primal mette subito le cose in chiaro, con un'introduzione stringata ma d'effetto. Cosa nient'affatto nuova per la serie, che ha sempre avuto delle partenze a razzo e che da quando ha abbracciato una formula totalmente aperta aveva già saputo rappresentare con una tavolozza variopinta le location in cui faceva via via tappa, anche nelle loro tinte più cupe, violente e disumane. Ma qui siamo nel Mesolitico, e l'uomo è davvero ben lungi dall'essere la specie dominante. La natura regna incontrastata, non perdendo occasione di ricordarci che siamo ancora in una posizione di poco conto nella catena alimentare e che migliaia e migliaia di anni di fatica e sangue dovranno ancora passare prima che il mondo cominci ad essere plasmato a nostra immagine, somiglianza e comodità.

Caccia selvaggia

Far Cry Primal coglie queste e altre particolarità dell'epoca, tratteggiandole con toni mai così crudi, efferati e destabilizzanti, riuscendo a farci sentire addosso la precarietà e il senso di inadeguatezza nel decifrare una realtà per molte cose misteriosa e in larga parte ancora da codificare che voleva dire essere uomini nel 10.000 Avanti Cristo. Il tutorial con cui si apre il gioco ci vede nei panni di Takkar, il protagonista, nel pieno di una battuta di caccia che già dice tutto. Ci si avvicina a un branco di mammut muovendosi con circospezione tra gli adulti, fino a individuare un cucciolo da isolare e a cui dare addosso, tutti insieme. L'Età della Pietra, senza troppi peli sulla lingua: prendere o lasciare. Peccato che subito dopo averci chiesto di renderci complici di un piano tanto efferato, Primal si premuri di tranquillizzare eventuali membri della PETA sintonizzati sulle sue frequenze, associazioni di genitori e, più in generale, la sensibilità di chi sta da questo lato dello schermo, facendo puntualizzare a un compagno con un "se non cacciamo, moriamo". Dispiace insomma che in casi simili Far Cry si ricordi di essere "solo" un videogioco, quando per ricostruzione storico-ambientale, modi e messinscena sa letteralmente scaraventare tanto indietro nel tempo, a muso duro, senza fronzoli e riguardi. E sa anche raccontare. Per quanto gli accadimenti che danno il là alla storia siano archetipici e per quanto di fatto si abbia a che fare con dei semplici primitivi, il gioco mette infatti davvero addosso la voglia di seguire le vicende di Takkar e di approfondire la conoscenza dei personaggi che incontra sul suo cammino. Non che la stoffa di Ubisoft Montreal nel delineare figure carismatiche e interessanti fosse in discussione (presente lo Sciacallo? Vaas? Hurk?), ma vista la materia veniva naturale chiedersi cosa avrebbe potuto escogitare in fatto di caratterizzazione finendo poi per colpirci con almeno un paio di soggetti particolarmente magnetici.

Cambio di pelle, anzi di pelliccia

La struttura di Far Cry, così come si è venuta a definire nel momento in cui è stata presa in carico internamente da Ubisoft, diventando un open totale via via sempre più contaminato con elementi ruolistici, crafting, attività secondarie e quant'altro, si presterebbe davvero bene a un contesto del genere.

Caccia selvaggia

L'impalcatura, ormai arcinota, è stata prontamente declinata in accordo col vertiginoso salto all'indietro storico e tecnologico. Raddoppiato il numero di animali, l'accento si è spostato sulla caccia, sul procacciamento di fonti di sussistenza e sulla sopravvivenza pura. Carne per cibarsi, pelli, legno, pietra per costruirsi arco, frecce, lance e clave, senza scordarsi di fare incetta di grasso animale, sfruttato come combustibile con cui appiccare le proprie armi. Il fuoco riveste ora un ruolo più rilevante e attivo, dato che può essere utile per farsi luce al calar della notte, che ha beneficiato di un "revamp" in linea con certi titoli, risultando più buia, imperscrutabile e pericolosa, ma anche remunerativa, vista la possibilità di entrare in possesso di risorse di maggior pregio. E poi distruggere erbacce che sbarrano la strada, spaventare certi animali o accendere alcune Pire, l'equivalente delle torri di Far Cry 3 e Far Cry 4. La dimestichezza del protagonista con l'attività predatoria, inoltre, gli permette non solo di seguire le scie di sangue degli animali feriti o le impronte lasciate su talune superfici, ma anche di analizzare determinate tracce, un po' come Geralt di The Witcher, fornendo lo spunto per alcune attività e missioni.

Caccia selvaggia
Caccia selvaggia

Tutto molto interessante e promettente, peccato che a un certo punto Primal sembra essersi ricordato di essere solo un Far Cry e, per quanto provato, non appaia intenzionato a spingere realmente a fondo su questi aspetti, rivelando un'anima survival piuttosto all'acqua di rose. L'inedita Vista del Cacciatore permette difatti aver tutto a portata di sguardo, comodamente indicato a schermo e perfettamente sotto controllo, sminuendo l'esplorazione, la raccolta di risorse e il concetto stesso di scarsa visibilità al buio. Il risultato è che le cose finiscono presto per avere un sapore familiare, compreso il tedio di essere in giro a raccogliere montagne di cose e non avere sacche abbastanza grandi in cui riporle. Lo stesso discorso si può applicare a molti elementi specifici del gameplay. A partire dal feeling e dalla fisicità di Takkar, che controlli alla mano è praticamente indistinguibile da Jason Brody e Ajay Ghale. Continuando per gli Abbattimenti, che funzionano allo stesso identico modo di sempre, compresi gli ampissimi margini di attivazione grazie a cui è possibile "rompere" certe situazioni, complice un'intelligenza artificiale contraddistinta dalle solite incertezze percettive su ciò che ha attorno. Ma l'aspetto che la lascia più perplessi sono i combattimenti, sia dalla distanza che corpo a corpo. Nel primo caso si dialoga a colpi di arco o lancia contro avversari che rispondono in maniera scarsamente convinta tanto negli spostamenti che nel "fare fuoco", concedendo generalmente di avere la meglio su di loro con comodo. Nel secondo tutto si conclude in maniera veloce e insapore, dopo uno scambio di due o tre smanacciate un po' sgraziate con la clava. Diamo sostanzialmente per assodato che incappando in situazioni via via più popolose e impegnative rispetto a quelle iniziali il quadro complessivo saprà rivelarsi incisivo e divertente, specie ampliando di pari passo l'alfabeto di Abilità attraverso cui esprimersi, ma è indubbio che a livello di pure e semplici meccaniche si poteva fare di più. E lo diciamo tanto in termini di pulizia e funzionalità, di qualità dell'azione, quanto soprattutto di riprogettazione in relazione alla nuova ambientazione. Quest'ultima cosa vale in particolare per il corpo a corpo, da cui era lecito attendersi una revisione in grado di renderlo una componente più importante, sofisticata e appagante.

Una tribù che balla

Caccia selvaggia

Dove Primal sembra poter dare il meglio di sé, tirando fuori una personalità più marcata, è in un paio di nuove caratteristiche. La prima è la costruzione del villaggio. Takkar ha difatti il compito di ricostruire la sua tribù, i wejina. Occorrerà dunque fondare degli insediamenti, premurandosi di popolarli e fornirli di adeguate risorse. Un aspetto "gestionale" che unisce sotto un unico mantello la raccolta di materiale, il crafting, l'esplorazione (tra le altre cose, la conquista di una Pira porta con sé anche un aumento percentuale della popolazione della zona) e attività secondarie come la liberazione di prigionieri. Non solo: conquistandosi la fiducia di taluni personaggi il protagonista potrà accedere a strumenti più avanzati o a particolari rami di Abilità. Si tratta insomma di un discorso ampio e organico, di cui abbiamo chiaramente solo scalfito la superficie, ma che potrebbe connotare a dovere la vita dell'uomo della pietra. Il secondo è il comando delle belve, un concetto anticipato in maniera embrionale in Far Cry 4, a Sanghri-La e giocando in multiplayer lato Rakshasa, e che qui sembra essere sviluppato in forma compiuta promettendo di portare un certo carico di freschezza a un'azione altrimenti di routine.

Caccia selvaggia

Lupi, leoni, giaguari, tigri dai denti a sciabola, orsi e perfino tassi sono alcuni degli animali che si possono domare mano a mano che ci si affina in quest'arte. Ma non si tratta unicamente di avvalersi di servitori a quattro zampe, ciascuno lieto di offrire supporto in base alle sue particolari inclinazioni, ora più utili al combattimento, ora allo stealth, ora allo scouting, quanto di farsi affiancare da compagni di cui prendersi anche cura, nutrendoli, rianimandoli e, perché no, accarezzandoli di tanto in tanto. Un talento, quello di Takkar, che può arrivare anche a trascendere la materia, entrando nel corpo di un gufo, con cui sorvolare una zona per andare in avanscoperta, individuare elementi di interesse ed elementi di pericolo nonché attaccare nemici, a cui sono dedicate delle Abilità da sviluppare. Dove Primal invece appare già come una certezza è nel comparto audiovisivo: provato su PlayStation 4, il gioco sfoggia una grafica di livello, in taluni passaggi davvero di grande impatto. Non siamo molto distanti dal già lodevole Far Cry 4, ma il colpo d'occhio appare opportunamente traslato in una chiave più lussureggiante e "pelosa" e filtrato da una fotografia particolarmente forte, scenica e stilizzata, che ammanta il tutto di tonalità suggestive.

CERTEZZE

  • L'ambientazione primitiva è cruda e fascinosa al punto giusto
  • Controllo delle belve e gestione del villaggio hanno potenziale
  • Graficamente pregevole, a tratti sontuoso

DUBBI

  • Un sacco di déjà vu strutturali e di gameplay
  • Certe meccaniche non calzano granché bene al nuovo contesto