DOOM è di recente uscito nei negozi ed è un gioco dal single player glorioso. Parliamoci chiaro, il risultato non era poi così scontato: id Software dopo Rage sembrava aver perso la retta via, e molte voci la descrivevano come una software house creativamente spacciata, ormai ben lontana dagli anni d'oro dello sparatutto e incapace di sfornare un titolo degno dei suoi predecessori. La ciambella non gli è riuscita con un buco perfettamente circolare, ma in un'era di FPS fatti con lo stampino DOOM è riuscito a distinguersi, a rendere omaggio al suo leggendario passato e a ridarci un po' di sana ultra violenza. Attraversando i suoi livelli pieni di mostruosità e aprendo buchi grossi come monolocali nei nemici non può che sorgere però con naturalezza una semplice domanda: cos'è successo ai First Person Shooter? Perché al giorno d'oggi i forum fioccano di veterani che rimpiangono i bei tempi andati, e uno sparatutto come il nuovo DOOM - che si rifà in parte ai classici - viene osannato come salvatore della patria? La risposta sta tutta nell'evoluzione degli shooter, o meglio nella involuzione degli stessi; un processo divenuto sempre più inesorabile negli anni, che ha volutamente congelato il naturale sviluppo di certe meccaniche, sostituendole spesso con palliativi incapaci di avanzare seriamente il genere. Non che gli sparatutto divertenti manchino nel mercato odierno, ma la parabola discendente inizia a farsi visibile, e il genere sta stagnando. Oggi tentiamo di spiegarvi il perché da un punto di vista puramente meccanico, ripassando in vostra compagnia un po' di sana storia degli FPS. Controllate che la sicura sia disattivata.
Perché secondo molti giocatori veterani la varietà e qualità degli FPS è crollata? Cerchiamo di capirlo
The beginning
Partiamo dal capostipite dello shooter moderno: il primo DOOM (no, non Wolfenstein 3D, proprio DOOM). Agli albori non si mirava nemmeno col mouse, l'esperienza era molto meno precisa e completamente orizzontale, ma il titolo id Software introdusse un'importantissima innovazione, lo strafe laterale veloce. Trattandosi del primo gioco "incentrato" in primis sul movimento laterale, aumentò in modo significativo l'importanza della coordinazione e degli spostamenti nelle sparatorie, dando il via a tutto ciò che sarebbe venuto in seguito. Fu Quake però a consacrare le meccaniche di base degli FPS con l'introduzione della verticalità. Attenzione, non parliamo della moderna verticalità (quella con edifici su più piani e zone rialzate a bizzeffe), ma della semplice possibilità di mirare in alto e in basso con un mouse. Una volta superate le limitazioni dell'asse X, il gameplay degli sparatutto si fece più frenetico, preciso e spettacolare, permettendo quindi agli sviluppatori di congegnare mappe più complesse e di offrire manovre di movimento adeguate all'aumento di profondità dei sistemi. Esempi lampanti erano il "bunnyhopping" - una manovra nota a tutti i giocatori di Quake che consiste nel mantenere l'accelerazione con una serie di strafe laterali in salto - e il rocket jumping, che tutti conoscono. Ai tempi fu un'epifania per le software house: con manovre di movimento complesse le location iniziarono a venir strutturate con l'elevata velocità in mente, e si riempirono di piattaforme energetiche, zone segrete e layout pensati per spingere al massimo le capacità di previsione degli spostamenti e le tattiche dei giocatori. Quake 3 Arena era uno sparatutto ad esempio dove la gestione della mappa era importantissima, e una morte portava dei seri svantaggi che andavano rapidamente recuperati per non soccombere. Con Unreal Tournament poi aumentò addirittura l'enfasi sulle armi complesse, e sulle possibili strategie in partita. I match competitivi di alto livello in quei giochi erano mostruose dimostrazioni di bravura, con giocatori in continuo movimento che tenevano d'occhio tutti i punti caldi di una mappa. Un periodo magnifico per il mondo degli fps competitivi, ma con barriere di abilità difficilissime da scavalcare per i comuni mortali.
The change
Alla fine degli anni '90 Half Life cambiò per sempre la faccia degli shooter, influenzando però in primis la componente single player degli stessi. Fu in realtà una mod di Half Life a rappresentare un altro importante passo nell'introduzione di nuove meccaniche negli sparatutto: Counter-Strike.
Con l'uso della posizione accovacciata e un ritmo di gioco nettamente meno convulso, Counter Strike rappresentava un'esperienza più autentica, capace di porre le basi per gli shooter militari successivi inserendo nel mix hitbox dei nemici divise più precisamente per diversificare i danni in base alla precisione dei colpi, e la necessità di controllare la rosa di fuoco delle armi automatiche. La mira acquistava un'importanza maggiore della mobilità, un cambio di prospettiva quanto mai importante. Altrettanto considerevole, però, fu l'ascesa degli shooter console. Goldeneye 64 con il suo multiplayer esaltante era solo l'inizio, poiché ad Halo si deve l'introduzione delle principali meccaniche degli FPS per console. Dal momento che il movimento delle levette analogiche non ha la secchezza e precisione del mouse e deve sottostare a un'accelerazione direzionale, i Bungie decisero di facilitare la vita dei giocatori con l'inserimento dell'Auto-Aim. L'Auto-Aim e il magnetismo sono meccaniche che rispettivamente deviano i proiettili verso l'hitbox nemica e mantengono parzialmente il mirino sul suo corpo mentre si è in movimento per facilitare la mira col pad, ad oggi usate dalla stragrande maggioranza degli shooter al di fuori del mondo PC. Attenzione però, non abbiamo intenzione di porre queste novità come il male assoluto: la loro implementazione fu in realtà molto sensata all'epoca, e Halo era un curioso ma intelligente misto delle meccaniche degli shooter arena e di trovate completamente nuove. La presenza di uno scudo rigenerante e di killtime elevati rendeva gli scontri esaltanti anche senza la precisione e velocità di spostamento di un mouse, e la mira facilitata fu una manna per rendere il genere più accessibile al grande pubblico. Economicamente fu il messia dell'intero settore.
Inizia il buio
Poco dopo questi cambiamenti venne l'introduzione del cosiddetto "aim down the sights", lo zoom col mirino che si trova ormai in ogni sparatutto in commercio, con ben poche eccezioni.
Difficile dire da dove sia partita la meccanica, ma la sua concezione non fu negativa e forse il titolo che la influenzò maggiormente fu Battlefield 2. Con battaglie in mappe estese e popolate da numerosissimi giocatori, una balistica più che degna e meccaniche derivanti in parte anche dalla scuola Counter Strike, i Battlefield volevano essere un filone di shooter più vicini alla realtà rispetto agli altri sparatutto. Meno mobilità, concentrazione massima su posizionamento statico, mira e strategia, e poche manovre utilizzabili per schivate improvvise o scatti inattesi distinguevano il gioco dalla massa. Poi arrivò Call of Duty. Nel 2007 Modern Warfare cambiò per sempre la faccia del genere, consacrando i cosiddetti arcade shooter e abbandonando il degrado della traiettoria dei proiettili in favore di kill time più rapidi e di una maggiore enfasi su sistemi di livellaggio e gestione dell'equipaggiamento. Molte delle meccaniche complesse erano sparite, in favore di un gameplay accessibile e spassoso per chiunque, in grado di gratificare il giocatore sulla lunga e di dare il via a uccisioni a raffica con l'introduzione delle killstreaks (poderosi bonus ottenibili con le serie di uccisioni). Ora probabilmente vi aspettereste un dito puntato su Call of Duty, come se fosse il diavolo tentatore che ha distrutto il mondo degli sparatutto, eppure non è lui il colpevole. Nessuno dei giochi sopracitati lo è. La verità è che tutti i titoli che abbiamo descritto fino ad ora non rappresentano visioni "sbagliate" dello sparatutto, solo visioni "diverse". Ogni mix di meccaniche qui brevemente esposto aveva senso di esistere, una propria validità. I problemi veri sono arrivati dopo, quando la volontà di vendere milioni di copie e il cattivo game design hanno iniziato a diffondersi nel genere, azzoppandolo terribilmente.
Il game design brutto, e la ripetizione
I problemi sorgono quando si vanno ad analizzare tutti gli sparatutto venuti "dopo". A seguito di milioni di copie piazzate, ai reparti marketing si sono illuminate le magiche lampadine delle idee, e la conseguenza diretta sono state delle forzature in tutti gli sparatutto. I loadout a due armi funzionano? Mettiamoli in tutti gli FPS. La rigenerazione della salute piace? Piazziamola anche in sparatutto dove ha relativamente poco senso. Sono usciti shooter con fusioni di meccaniche arena e arcade che non possono coesistere, con possibilità di movimento tranciate dalla staticità dell'aim-down the sights.
Prendete anche titoli notevolissimi come i due BioShock: nel primo della serie gli ambienti claustrofobici mal si sposavano con l'aim down the sights, ma questo c'era comunque, mentre nel secondo lo scudo rigenerante era tranquillamente evitabile con qualche accorgimento. Si parla di soluzioni poco sinergiche, ma quelle sono la punta dell'iceberg in realtà. Il problema si fa più serio quando si nota una scomparsa delle meccaniche complesse in favore di quelle pensate originariamente per le console. I giochi console vendono di più, ergo l'auto-aim si è fatto marcato in quasi ogni prodotto. L'elevata velocità di movimento aumenta la barriera di ingresso in termini di abilità del giocatore, dunque diminuiamo la velocità di corsa o inseriamo gli scatti regolati dalla "stamina". La distruttibilità enorme di Bad Company 2 mal si sposa col graficone e il pubblico preferisce quello, perciò addio distruttibilità. Campagne con mappe troppo complesse possono confondere, rendiamole lineari e intervallate da cutscene... potremmo tristemente continuare molto, molto a lungo. Sono tutte scelte che avevano magari senso di esistere nel loro sotto genere, ma quando prendono piede ovunque e si diffondono come un cancro il genere ristagna e la reale varietà sparisce. E il bello è che qualche timido tentativo di rinnovo è stato messo in atto all'interno degli shooter console. Titanfall e gli ultimi Call of Duty hanno tentato di mutare la loro formula aumentando sensibilmente la verticalizzazione e le manovre disponibili, o complicando i loadout con la selezione di abilità multiple per personalizzare i personaggi (che sballottano il bilanciamento ma comunque rendono più variegata l'esperienza). Anche in questi casi alcune meccaniche cozzano terribilmente con la rinnovata importanza del movimento e la balistica ha subito ben poche modifiche, ma almeno sono delle timide innovazioni.
Il futuro
Per questo motivo DOOM ha impressionato così tanti gocatori: è uno shooter vecchio stile, con elevata velocità di movimento, ultra violenza, hitbox ben definite, armi poderose, niente aim down the sights (almeno in single player) e strafing preponderante, a cui le modifiche alle armi e gli spari alternativi hanno fatto un gran bene. Eppure l'avanzare della malattia si percepisce anche lì. Le Glory Kills sono rapide esecuzioni che non spezzano il ritmo, ma il loro numero è eccessivo, e si tratta chiaramente di una meccanica che facilità le uccisioni favorendo la minor precisione dei pad. Non parliamo poi del multiplayer, che invece di spingere sulle virtù del titolo è una dimostrazione di rara pigrizia, ancora una volta piagata da meccaniche che non dovrebbero essere lì (i demoni evocabili? Lo sparo secondario che per un sacco di armi non è altro che un mirino? Non è da DOOM).
Si vedono tra gli sviluppatori indipendenti esempi di sparatutto che sembrano voler seguire la propria strada senza influenze esterne, come ad esempio il remake di Shadow Warrior, o altri progetti minori come Superhot (un puzzle game più che uno shooter, ma almeno originale). Troviamo tuttavia abbastanza paradossale che ad oggi molti titoli vengano percepiti come "novità" solo perché vanno a riprendere meccaniche che sono quasi scomparse nel mondo degli shooter odierni. Improbabile quindi capire quale sarà il futuro degli sparatutto: da un lato gli arcade shooter non abbandoneranno meccaniche che ormai garantiscono vendite colossali, dall'altro la crescita del mondo indipendente può arginare la fame dei giocatori veterani di velocità e bravura. Noi ci auguriamo un ritorno e un rimaneggiamento di meccaniche che hanno reso grande il genere in passato, un po' come è accaduto con il recente ritorno di Unreal Tournament sotto forma di beta in crescita, ma ci rendiamo anche perfettamente conto di quanto sia improbabile riabituare un pubblico ormai allenato a certi livelli di complessità. Nulla di ciò che desideriamo è però impossibile, l'unica reale necessità sarebbe un po' di coraggio e spinta controcorrente da parte degli sviluppatori. Dura però nuotare contro un mare di soldi.