Con l'uscita imminente di Final Fantasy XV - il cui sviluppo, lo sanno anche i sassi, è durato dieci anni - i fan di vecchia data della saga si sono divisi in tre team, come in Pokémon GO. I Fiduciosi, cioè quelli che sperano; si sono visti ogni singolo trailer, hanno già imparato i nomi dei personaggi e hanno acceso un mutuo per ordinarsi la Collector Super Esclusiva Giapponese con Finiture in Diamanti, perché sono convinti che questo sarà il Final Fantasy del riscatto dopo le ultime delusioni. Il loro spirito guida è Tidus, l'inguaribile ottimista (sappiamo tutti com'è finito: con la faccia piallata e un brutto remix sonoro nel remake).
I Passivo-Aggressivi, cioè i disillusi; quando gli altri parlano del gioco, loro si appoggiando al muro più vicino e sbuffano, sperando tantissimo che qualcuno chieda la loro opinione per poter dire con aria greve: "Non me ne importa niente, ho già sofferto troppo, Final Fantasy per me è morto". Il loro spirito guida è Squall Leonheart, l'adolescente freddo e scostante che però non usciva di casa senza i gioielli e il pellicciotto alla moda. Infine abbiamo i Figli di Guerra, cioè i rancorosi; odiano questo gioco con l'intensità di mille soli e l'unico modo che hanno per dimostrarlo è commentarne (negativamente) ogni singola notizia. Con loro è vietato sperare, potete provare a ragionarci mettendo in luce i pro e contro di quanto letto o visto nei gameplay, ma la loro risposta predefinita sarà: "tanto sarà una schifezza". Amano pensare che il loro spirito guida sia il tormentato Sephiroth, ma in realtà è quel matto furioso di Kefka: non hanno pietà, vogliono solo mandare SquareEnix in rovina. Anche noi siamo fan di vecchia data della saga, e anche noi abbiamo i nostri team (però è meglio non dire quali). Per "veccia data" si intende anche lasciarsi andare ogni tanto a dichiarazioni pesanti del tipo: "Final Fantasy VII mi ha salvato la vita". Sono cose che si dicono, è vero, ma dopo anni trascorsi a parlarne siamo giunti a una conclusione: se ve lo dice un fan di Final Fantasy, è probabile che sia vero. Vuoi che nel decennio d'oro per PlayStation - quello dei capitoli VII, VIII e IX, per intenderci - molti di noi erano adolescenti e l'adolescenza non è facile per nessuno, figuriamoci per dei piccoli nerd, vuoi che si trattava di giochi così lunghi che se proprio non ti salvavano la vita, di sicuro te la monopolizzavano. Fatto sta che i fan di Final Fantasy hanno un rapporto particolarmente emotivo con la loro saga del cuore. Non è solo questione di nostalgia. È questione che i Final Fantasy avevano davvero qualcosa di speciale e quel qualcosa, in tutti i suoi elementi, parlava forte e chiaro a un certo tipo di persone. È il qualcosa che ci ha fatti commuovere in momenti imbarazzanti di quella porcata di Final Fantasy X-2, o che ci spinge a comprare il vestito di Aeris in Lightning Returns: Final Fantasy XIII, così possiamo vedere almeno una cosa che amiamo in quel gioco. Noi fan di Final Fantasy siamo così, fedeli e un po' ossessivi. Siamo diversi dai fan di qualsiasi altro videogioco, ma non solo: siamo diversi dai videogiocatori in generale.
Prepariamoci a Final Fantasy XV parlando del suo pubblico e di cosa lo rende unico
"I" Final Fantasy, per carità
Prendete un fan di qualsiasi altra saga. Prima dirà di amare i videogiochi, poi dirà di amare in particolar modo quella saga. Il fan di Final Fantasy è diverso: prima dirà di amare Final Fantasy, poi passerà a citare altri videogiochi. Con calma, quando avrà finito di parlarvi dei suoi personaggi preferiti, delle scene che l'hanno fatto piangere, di quanto tempo ha perso coi Chocobo e com'è uscito dai combattimenti più difficili. Cioè, mai.
Un videogiocatore può essere fan di Final Fantasy, ma un fan di Final Fantasy può anche non essere un videogiocatore. È normale con il casual gaming, ma con un rpg il cui tempo di completamento varia tra le quaranta e le cento ore? È già più strano. C'è un modo per smascherare un fan hardcore di Final Fantasy, ed è la lettera "i". Lui non dirà "Final Fantasy", ma dirà "i Final Fantasy". La differenza tra lui e gli altri è riassunta lì. La saga di Final Fantasy è tradizionalmente composta da titoli autoconclusivi. Escludendo i seguiti e contando solo i giochi principali, detti "numerati", ne abbiamo quattordici. Tolti gli online, dodici. Tolti i primi due, a cui non gioca mai nessuno, dieci. Dieci giochi, da cui moltiplicare esponenzialmente personaggi, nemici, ambientazioni, colonne sonore, sistemi di gioco. È un microcosmo. Se un giocatore normale ha la disgrazia di trovarsi insieme a due fan di Final Fantasy e a un certo punto, esausto, se ne andrà per un'ora, quando tornerà loro staranno ancora parlando di Final Fantasy. Ma attenzione, dal loro punto di vista non avranno parlato per un'ora di un solo gioco, ma di dodici. D'altra parte, fateci caso: i Final Fantasy non si paragonano mai agli altri giochi, nemmeno agli altri JRPG; si paragonano soltanto agli altri Final Fantasy. La formula dei Final Fantasy è un insieme di abitudine e sorpresa. Il giocatore sa quali meccaniche di gioco incontrerà, ma finché non inizia non sa come saranno declinate. I giochi in sé non sono complessi, non come altri JRPG, ma possono diventarlo se approfonditi e esplorati. Richiedono una certa dedizione, perché sono lunghi e non intuitivi, ma difficilmente diventano troppo frustranti o difficili. C'è l'emozione, ogni volta, di un gioco diverso, ma con la sicurezza conferita da alcuni elementi famigliari, come oggetti, evocazioni, tecniche speciali. Il risultato è una sequenzialità organica, ma sempre sorprendente. Contrariamente a quanto sembrerebbe dalle critiche alla nuova impostazione dinamica delle battaglie negli ultimi capitoli, a noi non spaventa cambiare stile di gioco. Quello che ci spaventa - e che di conseguenza ci indispone al cambiamento - è l'idea di comprare un gioco che si chiama "Final Fantasy", avviarlo, e scoprire che non è davvero un Final Fantasy.
La storia prima di tutto
Che cosa rende tale un Final Fantasy? La storia. È la risposta che otterrete, secca, da qualunque fan. Nel suo bel saggio del 2010, Voglia di vincere, il giornalista Tom Bissel analizza il ruolo generalmente secondario della narrazione nel media videogioco, sottolineando in particolare la povertà di sceneggiatura che impera anche laddove ci sono buone idee. Negli ultimi anni prodotti come The Last of Us e Life is Strange hanno portato a un cambiamento generale della prospettiva, e anche un certo tipo di stampa di settore sembra stare notando che ohibò, in effetti la storia conta. Tom Bissel, che pur è un giocatore esperto e appassionato, menziona Final Fantasy soltanto in modo didascalico, inscrivendolo tra l'altro nel grande calderone dei JRPG. Eppure, la trama è l'unico elemento imprescindibile della saga.
Se manca quella manca il gioco, e non ci sono frame per secondo che tengano. Il fan di Final Fantasy si vuole emozionare. Non è una cosa in più, come per gli altri giocatori, è la cosa fondamentale. È il gioco che deve essere subordinato alla trama, non il contrario. Dategli un sistema di combattimento macchinoso e non intuitivo, lui terrà duro. Ma dategli un protagonista a cui non riesce a affezionarsi, e guardate dopo quanto inizierà a sbuffare. La critica peggiore che sentirete muovere alla trilogia di Final Fantasy XIII è questa: "Non ho provato niente". Ci sono anche le critiche tecniche - il gioco è troppo lineare, i combattimenti sono troppo semplici - sì, ma la cosa più grave è che dopo tre giochi insieme, dei personaggi non ce ne fregava niente. Per un giocatore normale questo sarebbe un difetto, più o meno importante a seconda delle preferenze personali. Per noi, è recedere dal patto. È come pagare per un viaggio straordinario e scendere dal treno a Busto Arsizio. Il fan di Final Fantasy ha un approccio da lettore. A studiarlo da vicino, ha più cose in comune con un appassionato di anime che non con un gamer. Vuole personaggi esteticamente accattivanti, con caratteristiche specifiche e una backstory da esplorare. Vuole che questi personaggi portino ciò che li rende unici alla storia e che la storia mescoli quello che loro offrono per generare qualcosa che all'inizio non poteva immaginare. Vuole che questi personaggi soffrano, mentano, si divertano, si innamorino, perdano qualcosa, guadagnino qualcosa. Vuole arrivare alla fine stanco, pieno dell'avventura che ha vissuto e indeciso se essere felice perché ce l'ha fatta o triste perché è finita. È dai tempi di Final Fantasy VII che sgraniamo gli occhi per la computer grafica, e a ragione. Ma con il livello tecnico raggiunto alle console di settima generazione è sempre più difficile stupirsi del dettaglio nel rendering dei capelli, e sempre più facile invece sentire la mancanza di altro. Quell'altro era la qualità della scrittura. Non erano "i filmati fighi" a fare Final Fantasy, era il "sense of wonder", l'esperienza. E l'esperienza era scandita dalla trama. Il fan di Final Fantasy non si stupisce se un gioco ha una trama appassionante - si arrabbia se non ce l'ha. Volete disinnescare un fan di Final Fantasy? Ditegli: "Mi dispiace, non posso portarti a Zanarkand". Lui andrà a dondolare in un angolo, e voi capirete che cosa intendiamo.
Un linguaggio trasversale
Final Fantasy non è un caso speciale, la trama è il perno attorno cui ruotano quasi tutti i JRPG: solo nell'età dell'oro della PlayStation uscirono capolavori come Suikoden II e Xenogears. Quello che Final Fantasy fece meglio degli altri, però, fu trovare un linguaggio capace di farsi ascoltare con la stessa efficacia da giocatori completamente diversi: orientali e occidentali, esperti e novellini, appassionati di RPG e gente che non li avrebbe toccati nemmeno con il controller di un altro. Persino le giocatrici, scoraggiate da generazioni di machismo, iniziarono a conoscersi e scambiarsi tra loro consigli e opinioni. Il segreto stava tutto nella narrativa, che era quella del romanzo, ma con un'estetica ibrida pop tra Oriente e Occidente, una rilettura manga "stilosa" di un immaginario che riconosciamo. Fino a Final Fantasy VI le ambientazioni erano state medievali fantasy, eppure è stato il salto a quelle moderne - futuristiche, ma mai troppo - ispirate all'Europa e all'America, a definire l'immagine di ciò che oggi identifichiamo come "Final Fantasy".
Quella dell'immagine non è una questione secondaria, non soltanto perché serve a vendere un prodotto. Non lo è perché, più degli altri colleghi giocatori, il fan di Final Fantasy ha l'attitudine al collezionismo. Non parliamo di Collector's Edition, attenzione; quelle sono recentissime e non così centrali. Parliamo di gioielli, portachiavi, action figure, statuine, diorami. Con l'introduzione dei modelli 3D in proporzioni reali, e il loro aspetto tra il manga e il realistico, i protagonisti di Final Fantasy VII furono i primi personaggi di videogiochi a vantare una serie sterminata di riproduzioni in resina e vinile, tendenza che aveva iniziato a prendere in Giappone nel campo dell'animazione verso la fine degli anni '80. Oggi è la cosa più comune del mondo trovare una statuina di Ezio Auditore o Bayonetta, ma basta scrivere "Final Fantasy" su eBay, o aprire il catalogo online dello shop SquareEnix, per rendersi conto che stiamo parlando di proporzioni diverse. Resident Evil è popolare, è longevo, i suoi fan appartengono a spanne alla stessa generazione che è cresciuta coi Final Fantasy per Playstation, ma loro non spenderebbero suon di centoni per comprare duecento varianti di figure di Jill Valentine, mentre noi lo faremmo - e lo facciamo - per Tifa Lockheart. La prima differenza è che noi siamo matti. La seconda è che noi, con quei personaggi, abbiamo un rapporto speciale. Square ha imparato in fretta e bene la lezione. Da Final Fantasy VIII in poi, non c'è design dei personaggi che non sembri la risposta alla domanda: "Ci comprerei una action figure?" E subito dopo: "Ci farei un cosplay?" Non a caso l'unico titolo in grado di tenere testa al merchandise legato a Final Fantasy sembrerebbe Kingdom Hearts, il fratellino nato dalla relazione di Squaresoft con Disney prima del matrimonio con Enix. Nessuno si sta lamentando, chiariamoci, le pettinature e le armi bizzarre sono parte del motivo per cui amiamo Final Fantasy. Il problema è che dopo la fusione del 2003, la rinominata Square Enix sembra essersi lasciata sopraffare dall'immagine, dimenticando la sostanza. Sotto il tripudio di ali, cinture, capelli colorati e faccini carini, che cos'è rimasto? Sappiamo cosa sembriamo dall'esterno, noi vecchi fan di Final Fantasy. Siamo sciupati, incattiviti, seduti fuori dai portoni sulle seggiole di plastica come gli anziani di paese, a lamentarci dei corridoi di Final Fantasy XIII e a dire che quando c'era Sakaguchi i treni arrivavano in orario, anche quelli dirottati dai SeeD. Ma eravamo romantici, sognatori, emotivi. Eravamo anche dei bravi giocatori, dai. SquareEnix, siamo onesti, esiste un limite al numero delle conversioni e dei remake che possiamo comprare solo perché ti amavamo. Facciamo che sta volta ci regali un Final Fantasy degno di noi?