C'è una comune tendenza all'avvicinamento reciproco nelle produzioni cinematografiche e videoludiche degli ultimi anni, particolarmente visibile nel genere d'azione. È una cosa che va al di là della scelta dei soggetti e delle formule narrative, andando a sconfinare nel linguaggio utilizzato, in scelte estetiche e forme di comunicazione sempre più comuni visibili anche in film non propriamente ispirati a videogiochi ma semplicemente action, come il nuovo John Wick 2. D'altra parte la contaminazione è inevitabile quando i due media, all'interno dello stesso genere, vanno a pescare su un pubblico che è sostanzialmente identico, seguendo iter produttivi equivalenti e puntando su un gusto in larga parte coincidente.
A partire da queste premesse, i risultati non possono che essere simili, e spesso l'ibridazione rafforza l'effetto positivo sul pubblico, che apprezza questi punti di contatto come una sorta di certificazione dell'appartenenza del prodotto a un sistema culturale popolare, noto e radicato nella comunità di spettatori/videogiocatori. Tutto bene fin qui, il problema è che i due mezzi di comunicazione tendono a funzionare secondo sistemi di regole fondamentalmente diversi, data la linea di demarcazione ontologica rappresentata dalla presenza o meno dell'interattività. Pertanto viene fuori che la contaminazione, per essere veramente proficua, dovrebbe forse limitarsi al prendere in prestito alcuni elementi del linguaggio meno profondi, principalmente di ordine estetico, pena una perdita di identità che fa inesorabilmente scadere il prodotto, da una parte o dall'altra. Questo è in effetti quello che succede ai videogiochi che vogliono essere a tutti costi dei film prima di tutto, o ai film che vogliono cercare di essere più vicini possibile ai videogiochi, e la generale sfortuna degli adattamenti cinematografici dei brand videoludici più famosi è abbastanza significativa di questo problema fondamentale. Tuttavia è innegabile che dalla contaminazione, come spesso accade, possa emergere anche un arricchimento, soprattutto negli elementi formali del linguaggio.
Avete notato che cinema e videogioco si assomigliano sempre di più, soprattutto nel genere d'azione?
Un corteggiamento a distanza
Nella preistoria videoludica, quando la tecnica embrionale impediva ancora qualsiasi realistico contatto tra le due forme espressive, l'unico punto di collegamento poteva essere concettuale, e i soggetti presi in considerazione riguardavano soprattutto i temi dell'alterità dei mondi, delle possibilità di esperienze alternative o del rapporto con l'avatar nell'universo digitale che appariva ancora decisamente alieno.
Negli anni '80, Tron guardava al videogioco con gli occhi sognanti della fantascienza classica, alla ricerca di potenzialità ancora sopite in quel magico mondo digitale di luci fluorescenti, mentre Giochi Stellari (The Last Starfighter) cercava di costruire un film sulla trama di un videogioco, come una sorta di tie-in al contrario. Entrambi i casi erano il risultato di una sincera fascinazione per il soggetto, ma i primi esperimenti sono riconducibili alla visione puramente fantascientifica del mondo virtuale come calderone di storie possibili, senza alcuna possibilità di avvicinamento ulteriore. Non poteva essere altrimenti, visto che le soluzioni comunicative ancora grezze adottate dai videogiochi non avevano possibili traduzioni in linguaggi diversi. Le cose sono iniziate a cambiare quando il progresso tecnologico e l'arricchimento della produzione con il rafforzamento del sistema dei generi hanno portato alla costruzione di prodotti più profondi e stratificati, a storie più complesse raccontate attraverso tagli narrativi differenti e scritture sempre più curate, fino alla comparsa di elementi propriamente cinematografici come la regia e la sceneggiatura. Da qui in poi il videogioco ha prima cercato di inseguire il cinema e le sue soluzioni espressive, diventando successivamente una fonte d'ispirazione e un prezioso bagaglio di soluzioni ed esperienze a cui attingere per il mondo dei film, soprattutto per quanto riguarda il genere d'azione.
Superare il complesso di inferiorità
L'inseguimento delle formule cinematografiche da parte dei videogiochi è stato a lungo caratterizzato da una sorta di complesso di inferiorità da parte di un medium che ha faticato non poco per scrollarsi di dosso l'etichetta di semplice giochino elettronico, senza mai riuscirci del tutto. D'altra parte il confronto con il cinema si porta dietro la lunga questione irrisolta sulla valenza artistica del videogioco, che certo non può essere affrontata in poche righe ma va considerata alla base del dislivello nella percezione dei due mezzi di comunicazione da parte di critica e pubblico.
La narrazione è stata spesso filmica, dalle semplici scritte alle immagini statiche fino alle sequenze animate, mentre l'irruzione del linguaggio cinematografico si è avuta soprattutto con il passaggio al 3D e l'inizio di un vero studio sulla gestione della telecamera virtuale e della messa in scena. Le inquadrature fisse di Alone in the Dark e Resident Evil richiamano le attente pianificazioni di Hitchcock, mentre i piani-sequenza di Silent Hill rievocano le inquietudini di Lynch, ad esempio. La tecnica cinematografica penetra nel mondo dei videogiochi e questi la reinterpretano a modo loro, arricchendola di funzionalità specifiche sul fronte del gameplay: il bullet time di Max Payne o la manipolazione dinamica del tempo in Quantum Break, la violenza estetizzante di certi "stylish action" come Devil May Cry troverà applicazioni nel passaggio inverso ai film, e non è un caso se Stranglehold, vero e proprio punto d'incontro tra i due mondi in quanto seguito ufficiale del film Hard Boiled in forma di videogioco diretto da John Woo, è in effetti un action sparatutto dalla forte impronta "stilosa". Personaggi e dialoghi sopra le righe di Suda51 o Swery ritagliano sprazzi di autorialità alternativa anche in questo ambito e su questo argomento è impossibile non citare Hideo Kojima, che ha fatto del contatto tra cinema e videogioco la sua cifra stilistica. In Metal Gear Solid la struttura ludica si piega alle esigenze narrative diventando meta-videogioco per mettere in atto prima di tutto una rigorosa sceneggiatura. Su questo fronte possiamo aspettarci ulteriori passi in avanti con il suo nuovo progetto Death Stranding, grazie anche al diretto coinvolgimento di attori di livello per dare vita ai personaggi digitali, altra tendenza ibrida ormai in voga da tempo in ambito videoludico come dimostrano gli ultimi Call of Duty, le produzioni di David Cage e il poliziesco L.A. Noire.
Sprazzi videoludici
Dall'alto della sua tradizione, il cinema è molto più discreto nei suoi omaggi, e le aperture al videogioco emergono quasi di soppiatto, come impressioni che si fanno strada nello spettatore. Ovviamente non parliamo qui dei tie-in e dunque di soggetti che si trasferiscono da un mondo all'altro, ma di suggestioni stilistiche ed elementi tecnici e linguistici che passano, forse anche in maniera inconscia, nella costruzione dei film.
Ne sono esempio le numerose pellicole d'azione che risultano strutturate come un videogioco o ne riprendono alcuni elementi fondanti, pur senza farlo in maniera esplicita. La progressione costante del protagonista costretto ad affrontare sfide sempre maggiori è un topos frequente, da L'Implacabile a John Wick, passando per la struttura "a livelli" di film come Sucker Punch, 300, Kill Bill e The Raid, tanto per fare qualche esempio. La reiterazione viene illustrata in maniera particolare da Edge of Tomorrow, che mette in scena una vera e propria interpretazione del respawn videoludico, o il trial and error provato e riprovato da Lola Corre. Al di là delle citazioni grafiche più esplicite di Scott Pilgrim vs. the World, è facile trovare riferimenti agli action nelle sequenze violente e dinamiche del già citato Kill Bill o nei piani sequenza di Old Boy. Anche la soggettiva è ormai considerata una caratteristica tipica del linguaggio videoludico, nonostante abbia ovviamente antiche radici cinematografiche: la sua applicazione fa scattare ormai un'associazione mentale con le esperienze di gioco in prima persona difficile da sradicare, e non c'è dubbio che i registi abbiano iniziato a sfruttare questo effetto in maniera volontaria. Se nel film di Doom la sua presenza è praticamente un omaggio obbligato, le sequenze in soggettiva del nuovo Spider-Man sono sicuramente una strizzata d'occhio al pubblico (più o meno) giovane e videogiocante a cui si rivolge il film, fino ad arrivare alle estreme conseguenze di Hardcore, studiato proprio per essere la trasposizione cinematografica di un videogioco in prima persona. Il corteggiamento è dunque reciproco, anche se parte da presupposti diversi: le contaminazioni filmiche nel videogioco si riferiscono anche ad una ricerca di legittimazione della propria essenza di medium narrativo, mentre i riferimenti videoludici nel cinema sembrano soprattutto espedienti tecnici o trasposizioni di canoni estetici che si sono dimostrati estremamente funzionali in ambito interattivo.