Il primo The Evil Within è un gioco ben lontano dalla perfezione, ma è riuscito comunque a imporsi sul mercato posizionandosi all'interno di una strana congiuntura astrale, durante la quale i Survival Horror classici erano praticamente spariti in favore di giochi in prima persona e la serie Resident Evil risultava ormai snaturata da anni di orrori concettuali perpetrati da una Capcom allo sbando. L'arrivo di un seguito era pertanto prevedibile; ciò che non si poteva pronosticare era l'abbandono della posizione di director da parte del geniale Shinji Mikami, creatore della serie Resident Evil e forza trainante dell'intero progetto. Noi a Colonia siamo riusciti a chiacchierare proprio con Mikami, che - nonostante un look degno del peggior turista tedesco sulle spiagge di Riccione e una totale assenza di energia vitale - ci ha regalato più di una informazione interessante. Il Nostro è infatti chiaramente al lavoro su qualcos'altro, convinto della capacità del suo team di creare titoli dalla forte sensibilità nipponica, ma il fatto che in The Evil Within 2 ricopra solo il ruolo di producer non significa che il titolo non sia più che promettente. D'altronde lo abbiamo provato per quasi un'ora durante la fiera, e vi assicuriamo che ci ha riservato più di qualche sorpresa.
Di nuovo l'orrore
Difficile parlare della trama di The Evil Within 2 senza anticipare qualcosa a chi non ha giocato il predecessore: le vicende sono strettamente correlate, cronologicamente il gioco si pone poco dopo il finale del primo capitolo, e tutto gira attorno ancora allo STEM e alle sue capacità. Il protagonista, Sebastian (non è cambiato dal primo titolo), è infatti stavolta alla ricerca di sua figlia Lily, scomparsa in circostanze misteriose. Difficile dire con precisione quali vicende diano il via al tutto, poiché noi siamo partiti a giocare dal secondo capitolo, schivando del tutto il prologo; l'obiettivo finale è però chiaro fin da subito, così come evidente è il mantenimento di una direzione artistica simile a quella già vista in passato. Basta però superare le prime fasi per rendersi conto che in questo seguito di cambiamenti ce ne sono stati una miriade: dopo qualche minuto estremamente lineare in cui siamo dovuti fuggire da un'orrida mostruosità dai molti arti, infatti, Sebastian si è trovato all'interno di un villaggio completamente esplorabile.
La scelta trasforma enormemente l'esperienza di gioco, amplificando con forza l'elemento survival del "survival horror": gli unici punti d'interesse delle quest sono lontani e distaccati dall'esplorazione libera, mentre indicatori precisi di zone dove l'alter ego del giocatore ha la certezza di divenire più forte sono del tutto assenti. Non mancano, invece, edifici sparsi e strade popolate esclusivamente da "zombie" (anche se i non morti barcollanti di The Evil Within sono in realtà più coriacei, rapidi e pericolosi di quelli a cui siamo abituati), gli spaventi abbondano in egual misura e la ricerca di materiali, equipaggiamento e zone sicure risulta indispensabile per avanzare degnamente. Si parte infatti con ben poche abilità, ma Sebastian può sfruttare alcuni edifici inattaccabili per salvare, costruire oggetti, potenziare armi e creare munizioni, senza contare il ritorno del mondo onirico all'interno della sua mente, ove può - tramite una particolarissima "sedia" - sfruttare la gelatina verde ottenuta uccidendo i mostri per migliorare le sue caratteristiche fisiche, dal danno alla resistenza ai colpi.
Tensione costante
Bisogna proprio dirlo, la trovata è notevole, perché realmente ben gestita. La tensione degli horror lineari sfrutta sempre un misto di orrore visivo e spaventi improvvisi, ma in una mappa estesa la tensione si taglia con il coltello, rafforzata da un gran numero di nemici sparsi per le strade, dalla necessità di usare lo stealth per la scarsità di munizioni nel gioco, e da alcuni momenti di grande infamia degli sviluppatori che vi faranno saltare dalla sedia se non siete abituati a titoli di questo genere. Un esempio banale? Gli zombie sono particolarmente bravi a nascondersi, e dei componenti luccicanti sotto una macchina possono nascondere nemici fastidiosi (che nel nostro caso peraltro ha pensato bene di attrarre un'intera orda nelle vicinanze). Tracce di sangue, budella e cadaveri sparsi, e una lunga serie di trucchetti da manuale vengono poi sfruttati con una discreta costanza per eliminare in toto il senso di sicurezza.
Le migliorie comunque non risiedono tutte nella mappa aperta, poiché The Evil Within 2 è un gioco con meccaniche più rifinite, un sistema di sviluppo sensibilmente più elaborato e un comparto tecnico ritoccato a dovere. Le debolezze grafiche ancora ci sono, e si notano sia una certa legnosità nelle espressioni facciali che un secco pop in sulla distanza; l'art direction tuttavia resta lodevolissima, l'atmosfera è angosciante e oppressiva, e persino lo shooting ci è parso più preciso e godibile rispetto al capitolo precedente. Per la cronaca, se siete preoccupati per la difficoltà, sappiate che il gioco è rimasto ostico come pochi: non può esserci terrore vero se i nemici cadono come mosche.
Grazie a un gameplay più incentrato su esplorazione ed elementi survival, a un livello di sfida piuttosto elevato e alla tensione costante che è riuscito a regalarci, The Evil Within 2 è rapidamente passato dallo status di "seguito rischioso" a quello di "gioco attesissimo". Ci è bastato provarlo per un'oretta per volerne di più, e siamo davvero curiosi di vedere in che direzione il nuovo director ha deciso di portare le spaventose avventure di Sebastian Castellanos.
CERTEZZE
- Elementi survival più marcati
- Migliorie tecniche sensibili
- Mappe più estese e liberamente esplorabili, ma comunque ricche di tensione
DUBBI
- Qualche magagna tecnica rimane
- La complessa trama continuerà a dovere?