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Quando la realtà fa più paura del videogioco

Cinque racconti da brivido tratti da storie vere che hanno ispirato i videogiochi

SPECIALE di Massimo Reina   —   31/10/2017

Il maestro del brivido Stephen King sostiene da sempre che "non c'è niente di più spaventoso della realtà". Non a caso in molti dei suoi racconti l'orrore non viene da mondi sconosciuti o generato da creature di fantasia, ma da esseri umani in carne e ossa, molto più pericolosi e spaventosi di zombi, vampiri, lupi mannari e alieni. Ma anche quando la loro presenza è contemplata, questi si sviluppano nella quotidianità della vita dei suoi protagonisti. In fondo basta guardare i telegiornali per rendersi conto della brutalità, dell'orrore, della crudeltà che anima l'essere umano, e di come la paura si annidi in contesti purtroppo spesso all'apparenza sicuri e "normali". A volte alcuni tragici eventi reali finiscono per ispirare racconti, film e videogiochi, e noi per questo Halloween abbiamo pensato di selezionare cinque casi reali, o presunti tali, che hanno in qualche modo ispirato gli autori di altrettanti videogame: realtà e finzione che si mescolano, con la prima che spesso supera la seconda.

Quando la realtà fa più paura del videogioco

Project Zero

Una delle migliori serie del genere survival, almeno secondo noi, è Project Zero di Tecmo. Come certamente saprete racconta la tipica storia di fantasmi giapponesi, di quelle capaci di far venire più di un brivido lungo la schiena e di far rizzare i peli del corpo. La storia del primo episodio, per esempio, ruota attorno alla giovane studentessa Miku, entrata nel vecchio e fatiscente Palazzo Himuro alla ricerca del fratello Mafuyu, scomparso al suo interno mentre cercava l'amico Junsei Takamine, un misterioso scrittore di romanzi horror a sua volte disperso insieme al suo editore Koji Ogata e alla sua assistente Tomoe Hirasaka, studiosa del paranormale. La sensazione opprimente di attraversare una magione maledetta, il gioco di luci e ombre, il senso di sporcizia di ambienti abbandonati da tempo, gli spettri, tutto è ricreato in maniera ottimale per incutere un senso di inquietudine e insicurezza ad ogni passo.

Quando la realtà fa più paura del videogioco

Ebbene, l'edificio e altri elementi di questo capitolo, ma anche del secondo videogioco, sarebbero ispirati a un luogo reale e a fatti considerati veri da molti giapponesi. La Himuro Mansion, infatti, secondo diverse testimonianze esisterebbe davvero e si troverebbe a pochi chilometri da Tokyo, tra la boscaglia. Si dice che l'edificio, conosciuto anche col nome Himikyru Mansion, sia infestato da molti spiriti e che la sua fama sinistra sia dovuta a una strage avvenuta più di ottant'anni fa nel contesto di un misterioso rito andato male. Da allora chi dice di essersi imbattuto nella casa e di esserci entrato, sostiene di aver visto impronte di mani insanguinate sulle pareti, spiriti che vagano nei suoi locali e lamenti che provengono da vari angoli dell'edificio. In realtà di prove di questo tragico evento non vi è traccia, e la stessa dimora viene identificata indifferentemente in uno dei diversi edifici abbandonati che si possono incontrare nei boschi vicino alla capitale giapponese.

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Kholat

Kholat, è un'avventura con visuale in soggettiva di tipo investigativo, dove di fatto più che combattere bisogna raccogliere indizi, esplorare e indagare sulla misteriosa sparizione e poi sulla morte di un gruppo di alpinisti sulle fredde ed innevate montagne degli Urali. Di fatto si tratta di un tipo di esperienza di gioco simile a quella di titoli quali Dear Esther. Durante l'avventura si avverte una discreta tensione, anche se in generale il ritmo non è così intenso da mantenerla costante, e l'utente viene aiutato a immedesimarsi negli eventi grazie anche a un comparto grafico davvero notevole, che sfrutta bene l'Unreal Engine 4 restituendo una grande ricchezza di dettagli e colori. Anche questo videogioco trae ispirazione da fatti realmente accaduti. Anzi, rispetto alla Himura Mansion, che sembra appartenere più al mondo delle leggende urbane che al nostro, questo è vero al 100%. Il titolo prende spunto dall'incidente del passo Djatlov, un tragico quanto misterioso evento verificatosi nella notte del 2 febbraio 1959 proprio su quelle montagne.

Quando la realtà fa più paura del videogioco

Igor Djatlov e i suoi otto compagni escursionisti, che volevano tentare di raggiungere il monte Otorten, in uno dei percorsi considerati tra i più difficili da affrontare in quel periodo dell'anno, furono ritrovati morti in circostanze rimaste ancora oggi inspiegabili. La tenda nella quale i ragazzi si accamparono d'urgenza a causa del peggioramento delle condizioni meteo, per esempio, era strappata dall'interno e le impronte trovate fecero pensare ad una fuga improvvisa e incontrollata. Due dei cinque cadaveri rinvenuti nei dintorni erano addirittura nudi, a parte la biancheria intima. Cosa aveva spinto degli esperti escursionisti a scappare così precipitosamente da non pensare nemmeno di vestirsi? I corpi degli altri quattro membri della spedizione vennero ritrovati solo due mesi dopo, a distanze differenti dalla tenda: su di loro non c'erano segni di aggressione fisica, ma fratture e lesioni interne paragonabili a quelle provocate da un forte impatto. Uno di loro era priva della lingua, di una parte della mascella e senza gli occhi: infine sui loro vestiti fu rilevata un'inspiegabile concentrazione di radioattività e alle confuse autorità locali del tempo, non rimase altro da fare che chiudere le indagini registrando i fatti come causati da "un'irresistibile forza sconosciuta".

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The Town of Light

Un'altra avventura simile strutturalmente a titoli quali Dear Esther, con visuale in soggettiva, senza combattimenti, mostri o altri elementi tipici del genere horror, è The Town of Light. D'altronde, come abbiamo scritto nella sua recensione, il titolo non vuole "spaventare" il videogiocatore con creature deformi nate da qualche esperimento genetico andato a male o con esseri sovrannaturali. Anche perché di mostri ben peggiori di zombi o mutanti ne è pieno il mondo, e sono reali come quella parte di medici e infermieri che anziché lenire le sofferenze dei malati, finivano per acuirle con trattamenti disumani, terapie più simili a torture e atti violenti. E poi, a dirla tutta, probabilmente il prodotto non vuole nemmeno terrorizzare l'utente, almeno nell'accezione più comune del termine, quanto piuttosto creare in lui un certo disagio e farlo riflettere su tematiche e situazioni "pesanti" con un viaggio dentro i ricordi che diventa metafora di un intero sistema.

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La storia del gioco, pur seguendo le vicende di un personaggio inventato, è ambientata nell'ex ospedale psichiatrico di Volterra, un luogo realmente esistito e che nella sua storia di casi analoghi a quelli narrati nel videogioco ne ha visti purtroppo parecchi. Fondato nel 1887 e rimasto attivo fino all'entrata in vigore della legge n. 180 nel 1978 che portò alla chiusura dei manicomi e a una nuova regolamentazione del trattamento sanitario obbligatorio, negli anni era talmente cresciuto da "ospitare" oltre cinquemila internati. Questi erano trattati spesso in maniera disumana e violenta stando a molte testimonianze di ex pazienti e membri del personale. Un vero e proprio girone dantesco, al cui interno veniva letteralmente "seppellito" anche chi magari matto non era, ma era considerato sgradito alla società per motivi politici o per una particolare condotta. Lasciato sparire lì, "nel silenzio, dimenticato da tutti, a un certo punto anche da se stesso, dal proprio Io, sepolto dalla solitudine, dalle botte, dall'annullamento della personalità, dai sedativi, dagli elettroshock".

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Grand Theft Auto V

Grand Theft Auto V è un titolo immenso, dov'è possibile fare mille cose. Tra le tante attività, si può perfino indagare su un omicidio e "incontrare" un fantasma: l'indagine riguarda l'assassinio di Leonora Johnson, aspirante diva di Vinewood degli anni '50, il cui corpo venne ritrovato abbandonato decadi addietro ai fatti del gioco. I piedi e le mani mozzate, il volto e il seno martoriato da segni di tortura fatta con coltello e sigarette accese. Una morte orribile, un caso irrisolto che pian piano si dipana sotto agli occhi del videogiocatore seguendo una determinata pista e una serie di indizi specifici. Il fantasma, invece, è un easter egg del gioco, ed è quello di un'altra donna, uccisa altrettanto brutalmente presumibilmente dal marito. Il suo nome era Jolene Cranley Evans, ed era la moglie del candidato alla carica di Governatore di San Andreas, John Cranley. Il suo spirito appare alle 23.00 di ogni notte sul Monte Gordo, per poi sparire a mezzanotte esatta lasciando su una roccia una macchia di sangue.

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Entrambi gli eventi, più il primo che il secondo a dire il vero, sono ispirati a un fatto di cronaca realmente accaduto. Il nome di Elizabeth Ann Short suonerà probabilmente nuovo a gran parte dei nostri lettori, ma se scriviamo la Dalia Nera (o Black Dahlia), allora tutto forse apparirà loro più chiaro. Perché è proprio con questo soprannome che la giovane è diventata famosa nella storia, purtroppo come vittima di un noto caso irrisolto di omicidio negli Stati Uniti d'America avvenuto verso la fine degli anni '40. Un caso che ha ispirato numerosi film, fumetti e opere di intrattenimento, e gli stessi videogiochi, come abbiamo visto. Perché la giovane Elizabeth, aspirante attrice, venne massacrata proprio come i personaggi sopra citati, seviziata, tagliata in due pezzi e abbandonata sul ciglio di una strada in un quartiere allora in costruzione.

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Psychonauts

Uno dei più spaventosi racconti horror dei videogiochi, è per assurdo legato a uno dei platform avventurosi più belli in assoluto del recente passato, partorito dalla geniale mente di Tim Schafer. Nel gioco era possibile vestire i panni di uno psiconauta, vale a dire un individuo in grado di entrare nelle menti delle persone per esplorarne fisicamente ogni anfratto, come dei veri e propri astronauti del cervello. Penetrando quindi nella mente di un personaggio chiamato Milla Vodello, il protagonista, Raz, poteva sfruttare un glitch o una particolare abilità per accedere a una camera nascosta che gli sviluppatori avevano tolto dal gioco finale, ma non eliminato del tutto. E lì venire a conoscenza di un evento tragico del passato di Milla legato all'incendio di un orfanatrofio dove lavorava e alla conseguente morte dei suoi piccoli occupanti. La stanza segreta mostrava infatti una gabbia rovente, popolata da esseri con gli occhi vuoti che chiedevano aiuto, e conteneva una cassaforte all'interno della quale si trovava un album dov'erano disegnate le immagini disturbanti della tragedia.

Quando la realtà fa più paura del videogioco

La storia raccontata nel gioco è purtroppo vera e sarebbe ispirata ad una leggenda famosa negli Stati Uniti, quella del Gore Orphanage, che si rifà a sua volta a fatti realmente accaduti nei primi del '900. Il mito nasce infatti dalla combinazione di fatti realmente accaduti in Ohio in periodi diversi tra loro, come l'incendio (senza vittime) del Light of Hope Orphanage di Lorain County nel 1910, e quello con morti nel 1908 della Lake View School di Collinwood. In quest'ultimo caso, nel corso di un terrificante incendio perirono in effetti 172 studenti, due insegnanti ed un soccorritore. Le fiamme iniziarono a divampare quando una trave del soffitto prese fuoco da una conduttura, cadde e bloccò le vie di fuga principali. Porte e pavimenti in legno perfettamente oliati contribuirono poi a far diffondere velocemente l'incendio. Nel panico alcune vittime finirono bloccate e bruciarono vive sulla tromba delle scale, che agì quasi come una ciminiera, mentre altri si gettarono dalle finestre del secondo e del terzo piano. Una immane tragedia, ben più spaventosa di tanti racconti di fantasia.

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