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Casse Premio come gioco d'azzardo? I problemi della politica, il punto di vista di uno psicologo

Cerchiamo di fare chiarezza sulla questione "casse premio" dal punto di vista psicologico, con un occhio alle mosse della politica

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   28/11/2017

Il Natale 2017 sarà ricordato dall'industria videoludica come quello di Star Wars: Battlefront II e della guerra alle microtransazioni nei giochi tripla A venduti a prezzo pieno. Il caso dovrebbe essere noto, ma è giusto riportarlo brevemente: poco prima del lancio di Star Wars: Battlefront II sono emersi dei dettagli sulle sue microtransazioni, effettivamente non obbligatorie per sbloccare tutti i contenuti, ma inevitabilmente studiate per favorire la spesa di soldi da parte di alcuni soggetti più sensibili. In particolare molti hanno puntato il dito contro i tempi necessari per ottenere alcuni personaggi, decisamente eccessivi anche in virtù del loro ruolo nelle partite. Stiamo pensando soprattutto a Darth Vader, il cui sblocco richiedeva circa quaranta ore di gameplay.

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Insomma, secondo alcuni la spinta verso le microtransazioni, che al momento di scrivere questo articolo risultano disattivate e che non sappiamo in che forma torneranno, era davvero forte, resa inoltre particolarmente odiosa dal fatto che spendendo soldi veri non si ottenevano oggetti specifici, ma le famigerate casse premio con bottino casuale, che rendevano ancora più aleatoria l'intera faccenda. È proprio intorno a queste ultime che la polemica è cresciuta ed è infine esplosa, con l'accusa all'intero di sistema di essere progettato per manipolare l'utente, spingendolo verso forme compulsive di acquisto, ovvero di essere una specie di surrogato del gioco d'azzardo. In verità Star Wars: Battlefront II non è il primo videogioco con microtransazioni ad aver ricevuto accuse simili. Già ai tempi del lancio di Overwatch si era discusso timidamente dell'argomento, che era poi tornato prepotentemente alle cronache con il lancio di La Terra di Mezzo: L'Ombra della Guerra. In realtà, considerando solo la fine del 2017, sono molti altri i giochi tripla A che fanno uso di microtransazioni basate sulle casse premio, tra i quali FIFA 18, Need For Speed Payback, Destiny 2 e Call of Duty: WWII, tutti a loro modo accusati dello stesso peccato di Battlefront II, anche se con diverse intensità: i loro sistemi di progressione sarebbero stati tarati per spingere gli utenti ad acquistare casse utili per accelerare la crescita.

Gli interventi della politica

Riportare tutti i fatti che sono seguiti alla polemica non è l'oggetto di questo articolo. Ciò che ci interessa è l'accusa più grave, ossia quella della deliberata implementazione di sistemi rapaci, assimilabili a quelli del gioco d'azzardo, pensati per spingere verso e legare i giocatori alle microtransazioni. All'argomento avevamo già dedicato uno speciale in tempi non sospetti, in cui illustravamo la questione da un punto di vista generale, cercando di evidenziare i rischi insiti nei nuovi modelli economici che si stanno affermando nell'industria dei videogiochi. Qui vogliamo provare ad andare più nello specifico, cercando di farvi comprendere come mai di fronte a certe accuse si sia mossa anche la politica, con prese di posizione importanti, quanto apparentemente contrastanti.

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Ad esempio sappiamo che per le autorità australiane i sistemi basati su casse premio sono assimilabili al gioco d'azzardo, ma che la situazione è complessa da gestire per via delle sue molte sfaccettature, che rendono ardua la stesura di una legge. La gaming commission belga , che aveva fatto notizia per aver messo sotto esame le casse premio di Overwatch e Star Wars: Battlefront II, sta ancora esaminando la questione, con il ministro della cultura che ha affermato di volerla portare in sede europea in caso emergano elementi critici in fase di analisi. Anche negli USA le casse premio sono diventate oggetto di un approfondimento politico, con lo stato delle Hawaii che vuole vederci chiaro e ha accusato Electronic Arts di aver messo su un sistema predatorio e Battlefront II di essere una specie di casinò camuffato. Anche dal Regno Unito è arrivata una presa di posizione importante, da parte della UK Gambling Commission, secondo cui le casse premio non sono gioco d'azzardo, ma si trovano al limite con esso, limite che sono andate vicine a valicare. Chi ha ragione? Considerando insieme tutti i casi,ne emergere di un grosso problema di fondo: le varie commissioni danno i loro pareri prendendo a riferimento le leggi dello stato in cui operano, quindi è normale che ci possano essere valutazioni tanto diverse, che ovviamente finiscono per creare ancora più confusione.

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Di fatto ogni stato ha le sue leggi in materia di gioco d'azzardo, quindi i presupposti di partenza sono molto differenti. Aggiungiamo anche che spesso il dibattito politico segue strade e interessi che niente hanno a che fare con la materia in esame, che rischia di risultarne adulterata (più o meno a seconda dei casi). Quindi il contributo della politica è sì fondamentale, soprattutto perché è l'unica ad avere accesso al potere legislativo, ma come capirete ci vuole molto tempo e lavoro prima che si arrivi a una determinazione comune (se mai ci si arriverà).

Capire la questione

D'altro canto le meccaniche delle casse premio non sono oggetto di discussione a livello di design: la loro funzione è cristallina, com'è cristallino il fatto che nei videogiochi che le sfruttano siano implementati dei sistemi che spingano il giocatore verso di esse. La verità è che sono due facce della stessa medaglia e hanno bisogno l'una dell'altra per assumere un senso. Continuare a discutere della loro esistenza e dei loro effetti è semplicemente sciocco, così come è fuorviante dare un peso eccessivo alla natura degli acquisti (pay-to-win o non pay-to-win?), che hanno sicuramente un grosso significato per chi vuole godersi un videogame, ma che non intaccano minimamente il problema in sé. Insomma: se le casse premio sono assimilabili al gioco d'azzardo, allora vanno considerate in modo completamente differente rispetto a quanto fatto finora, perché in ballo entrano questioni ben più gravi, che non vanno affrontate con superficialità. Le domande da porsi sono diverse e spesso sfuggono dalla sfera d'interesse dei videogiocatori: se le casse premio sono assimilabili al gioco d'azzardo, possono causare lo stesso tipo di dipendenza?

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Nel caso, andrebbero regolamentate in qualche modo a livello legislativo? Si può pensare a limitare la spesa mensile per singolo utente, così da tutelare i soggetti più esposti? Sono considerabili corretti dei sistemi che fondano il loro successo su quanti acquirenti compulsivi riescono a tirare dentro? Oppure ci troviamo di fronte al bieco sfruttamento di persone spesso a rischio? Di nostro non abbiamo risposte definitive per queste e per altre domande, ma crediamo che sia giusto tentare di approfondire il più possibile l'argomento e dare a voi lettori gli strumenti adatti a comprendere la questione, che va ben oltre il folklore videoludico e si fonda quasi completamente sul funzionamento della mente umana. Quindi, per cercare di fare luce sulle "casse premio", e in particolare su come funzionano a livello psicologico, abbiamo deciso di rivolgersi a qualcuno con le competenze adatte per darci importanti ragguagli sull'argomento, e che conoscesse anche il mondo dei videogiochi. Abbiamo così chiesto un'intervista a Bruno Barbera, psicologo nonché cofondatore e conduttore del podcast a tema videoludico Free Playing e del sito dedicato al mondo dello sviluppo italiano Game Loop, che ci ha gentilmente concesso il suo tempo, dandoci risposte che non esitiamo a definire a tratti illuminanti, soprattutto per chi non è addentro alla materia.

L'intervista a Bruno Barbera

Una delle opposizioni più diffuse a considerare le casse premio alla stregua del gioco d'azzardo riguarda la definizione legale di quest'ultimo, che mira a individuare e colpire dei comportamenti specifici. Secondo noi però così non si centra il punto, perché la definizione legale, che pure è necessaria per regolamentare la materia, non esaurisce il fenomeno e, soprattutto, arriva in una fase successiva, quando cioè lo stesso è stato già ridefinito da altre discipline. Non per niente la legislazione sul gioco d'azzardo è molto fluida ed è cambiata più volte nel corso degli anni, così come la visione del gioco d'azzardo stesso a livello clinico. Ad esempio, parlando della sua dimensione patologica, il DSM-V (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali redatto dall'American Psychiatric Association) ha riclassificato il Gioco d'Azzardo Patologico (GAP) inserendolo nell'area delle dipendenze. Di fatto lo ha incluso nell'insieme che comprende anche l'alcolismo e la tossicodipendenza, sostituendo la definizione di "gioco patologico" con quella di "gioco problematico".

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La domanda che ne deriva è: i processi psicologici che regolano il sistema delle casse premio sono tecnicamente assimilabili a quelli delle altre dipendenze da gioco? Ovviamente ci interessa sapere se esiste una somiglianza tale da rendere sensata la tesi dell'accusa. Saranno poi successivi studi a dimostrare o meno la sua fondatezza e sarà la politica a dover legiferare sulla materia.
Per rispondere molto brevemente: a livello teorico e a grandi linee sì, ma poi a livello politico/sociale e meccanico ci sono differenze piccole e grandi che rendono le due realtà distinte. Gioco d'azzardo e casse premio sono sicuramente accomunate dal meccanismo psicologico del rinforzo variabile, ossia dalla vincita di premi (in denaro o in item di gioco) in maniera variabile. A livello politico/sociale, la definizione di legge del gioco d'azzardo in Italia prevede che ci sia la possibilità di vincere premi di valore tramite attività caratterizzate puramente o in maniera prevalente da aleatorietà. Da questo punto di vista, probabilmente (parlo da totale ignorante in materia giuridica) le casse premio non si possono far coincidere pienamente col gioco d'azzardo, in quanto si inseriscono in attività (ovvero i videogiochi) in cui la componente aleatoria è (almeno nominalmente) completamente secondaria. È probabilmente per questo motivo che anche figurine e trading card non sono mai state associate al gioco d'azzardo, nonostante ci siano stati tentativi in tal senso: se è vero che c'è tutto un mercato secondario che si focalizza solo sulle uscite più rare e sul loro valore, è anche vero che, anche qui almeno nominalmente, chi compra figurine e trading card lo fa primariamente per collezionarle e/o per giocarci, e non per il valore economico dell'eventuale carta rara.

Perché le casse premio sono psicologicamente più insidiose delle microtransazioni che esplicitano l'oggetto che si sta acquistando? Ossia: perché rischiano di generare dipendenza nell'utente?
Sia nel caso delle microtransazioni "lisce" sia delle casse premio entrano in gioco i meccanismi psicologici di rinforzo, che detta per sommi capi sono quei meccanismi per cui se vedo che facendo una determinata azione ottengo una determinata ricompensa, assocerò le due cose e quindi tenderò a fare quell'azione ogni volta che voglio ottenere quella ricompensa. In altre parole, la ricompensa "rinforza" l'azione. Se ottengo la ricompensa ogni volta che compio l'azione (ad esempio, ogni volta che pago per un gioco, ottengo il gioco), siamo in presenza di un rinforzo costante. Il problema col rinforzo costante è che basta poco per annullarne gli effetti: se vedo che pagando per un gioco il gioco non mi arriva, non importa se per anni e anni quello store è stato affidabile: mi basterà quell'unico contrattempo per farmi cominciare a pensare di cambiare store.

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E ora sapete perché basta mezza magagna in qualsiasi realtà affermata e affidabile per scatenare gli shitstorm più epocali da parte dell'utenza. Se invece la ricompensa la ottengo una volta sì, e diverse volte no, siamo in presenza di un rinforzo variabile. Il rinforzo variabile ha il vantaggio di essere più difficilmente scardinabile: se dopo tanti "ritenta, sarai più fortunato" al gratta & vinci mi capita il biglietto che mi fa vincere una bella sommetta, continuerò a insistere fino a vincere la prossima sommetta, nonostante nel computo totale le perdite saranno molto maggiori delle vincite. E ora sapete perché la ragazza che vi piace sta col tipo che la tratta sempre male "e però a volte fa certe cose che mi fanno dimenticare tutto il resto!". A grandi linee, le ricompense costanti si possono ricollegare alle microtransazioni "classiche", mentre quelle variabili alle casse premio.

Quali meccanismi vengono utilizzati in titoli come Overwatch, Star Wars: Battlefront II o La Terra di Mezzo: L'Ombra della Guerra per spingere l'utente verso le microtransazioni? Ossia: sono frutto di tecniche che spingono i giocatori più deboli a spendere soldi, oppure un'affermazione simile è solo complottismo di bassa lega?
Partiamo da una premessa: se voglio invogliare un giocatore a spendere i suoi soldi in microtransazioni o casse premio, come saprò quali metodi lo invoglieranno di più a farlo, e quali meno? Un tempo, quando ancora internet non era così pervasiva e non era così facile ottenere i dati personali degli utenti, si ricorreva a focus group, ricerche di mercato, beta testing e così via: tutte tecniche ancora in uso, ma a cui si è affiancato lo strumento, estremamente più potente e preciso, dell'a/b testing "in vivo".

Puoi spiegarcelo?
Mettiamo che voglia decidere se un pulsante "compra!" rosso generi più vendite rispetto a un pulsante blu. Grazie all'always online, posso diramare una patch, o dare istruzioni da remoto al mio gioco, perché metà dei miei utenti vedano il pulsante rosso, e l'altra metà il pulsante blu, e vedere quale delle due soluzioni (la soluzione "a" e la soluzione "b") funziona meglio grazie ai dati che il gioco restituirà ai miei server tramite internet. Grazie a questo sistema si possono regolare con precisione infinitesimale tutti quegli aspetti legati al condizionamento dell'utente per spingerlo all'acquisto: ogni quanto tempo devo inviargli notifiche perché torni a giocare evitando di scocciarlo troppo e spingere a disattivarle? Qual è il miglior drop rate perché la gente continui a spendere invece di mollare le microtransazioni?

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Quanto posso spingere col grinding per invogliare l'utenza a liberarsene tramite una microtransazione, senza che la cosa diventi frustrante al punto da farla abbandonare? Se poi riesco a incrociare le informazioni sull'utilizzo del gioco (ovvero la telemetria del prodotto) con i dati presi dai social network (ovviamente anonimizzati per non incorrere in problemi con la privacy), o anche semplicemente inseriti in maniera volontaria dall'utente tramite questionari o simili, apriti cielo: potrò sapere che ad esempio gli utenti del paese X sopportano meno il grinding e sono disposti a spendere fino a Y nelle microtransazioni, mentre in altri casi potrò spingere di più o di meno, a seconda. Questa tipologia di test e di dati sarebbero stati fino a pochi anni fa il sogno bagnato di qualsiasi ricercatore operante nell'ambito delle scienze sociali, e oggi sono a disposizione più o meno di tutti, anche grazie agli strumenti gratuiti forniti da realtà come Google e Facebook, che permettono anche all'ultimo dei webmaster di profilare la propria utenza e fare a/b testing col proprio sito, se ne ha la voglia e le capacità.

Ma andando più nello specifico?
Andando più nello specifico, ci sono sicuramente miriadi di sistemi con cui i videogiochi tentano di favorire il "recurring spending" dei propri utenti. Me ne vengono in mente principalmente due: da un lato il cosiddetto condizionamento secondario, ossia l'associazione di stimoli secondari a un rinforzo primario, e dall'altro le pressioni di tipo sociale. Per quanto riguarda il condizionamento secondario, mi spiego con un esempio: se all'inizio per me l'unboxing di una cassa premio avrà valore solo per l'item raro che avrò ottenuto, dopo un po' di unboxing (quanti? telemetria!) comincerò a dare all'unboxing stesso un valore intrinseco. Per questo l'unboxing delle casse premio è sempre associato a lucine colorate (di che colore? a/b testing!) che ne aumentano l'appeal e lo rendono un vero e proprio rituale.

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Così, anche quando a forza di casse premio avrò ottenuto il personaggio che mi interessava, potenziato al massimo e con tutti i perk che mi interessano, comunque il condizionamento secondario mi spingerà a continuare a comprare casse premio, sapendo già che otterrò oggetti che tutto sommato non mi interessano, perché ormai ho associato una sensazione positiva all'unboxing stesso. Anche qui c'è un parallelo col mondo del gambling, in cui il giocatore (patologico o meno) torna a giocare anche per le lucine della slot machine, o per il rito del grattar via la patina argentata dai gratta & vinci, e così via. Un meccanismo correlato è quello di dare al giocatore set di item da completare: l'oggetto X non mi serve, ma lo cerco lo stesso per completare l'armatura Y. Per quanto riguarda le pressioni sociali, ultimamente sono emerse indiscrezioni secondo le quali nel matchmaking si potrebbe finire apposta insieme a gente più forte e che abbia effettuato acquisti in game, in modo che i principianti la prendano a modello e siano invogliati a fare altrettanti acquisti, oppure pare anche che talvolta si dia ai principianti dei vantaggi "invisibili" in modo da fargli assaporare subito l'ebrezza della vittoria, e convincerli così a rimanere in-game ed esposti a tutte le varie tecniche che il gioco userà per fargli spendere del denaro. Tecniche che partono - e qui concludo - proprio dall'illudere al massimo il giocatore di non star spendendo o di confonderlo sul quanto spende, tramite l'utilizzo di valute virtuali dal cambio poco chiaro rispetto a quelle reali, acquistabili spesso in pacchetti di cui poi rimane quel tanto di resto che quasi quasi basta per comprarci un altro oggetto ma serve comunque comprare un altro pacchetto per arrivare alla cifra necessaria, pacchetto che a sua volta finirà con un residuo che "quasi basta ma no", e così via. E ovviamente il tutto moltiplicato per due, dato che spesso ci sono almeno due valute virtuali, di cui una collegata più direttamente al grinding, e un'altra reperibile in maniera esclusiva (o quasi) tramite microtransazioni (o magari tramite casse premio, le varianti sono infinite!).

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Tornando all'argomento generale, ci sono consigli su come approcciarsi alla materia senza rimanerne scottati? Come si fa a capire se si è dipendenti da qualcosa o meno?
In genere la definizione di addiction (dipendenza ndr) prevede che una persona attui un comportamento volto a ottenere un reward (ricompensa) ignorando le conseguenze negative che le sue azioni possano avere per sé e per gli altri. A seconda dei criteri di riferimento che si adottano si può andare più nello specifico: nel DSM-V, riferimento de facto per la diagnosi psicologica, c'è un set di criteri "provvisori" (nel senso che sono solo una proposta che viene suggerita in attesa di ulteriori studi) per identificare la "Internet Gaming Addiction" (traduzione mia):

Uso ripetitivo di giochi basati su internet, spesso con altri giocatori, che porta a problemi significativi nel funzionamento della persona. Cinque o più dei seguenti sintomi devono essere rilevati nel corso di un anno:
Preoccupazione o ossessione nei confronti dei giochi basati su internet.
Sintomi di astinenza quando non li si gioca.
Formarsi di una tolleranza progressiva, e del bisogno di spendere più tempo con i giochi.
Il soggetto ha cercato di fermare o limitare il suo consumo di giochi, ma non c'è riuscito.
Il soggetto ha sperimentato una perdita d'interesse in altre attività e hobby.
Il soggetto ha continuato ad abusare dei giochi basati su internet pur sapendo quanto influenzassero negativamente la sua vita.
Il soggetto ha mentito ad altri riguardo al suo giocare su internet.
Il soggetto usa i giochi basati su internet per dar sollievo ad ansie e sensi di colpa: sono una via di fuga.
Il soggetto ha perso o messo a rischio opportunità e relazioni a causa del suo giocare su internet.

Come evitare di cadere in queste situazioni? Sicuramente non è questo il luogo dove entrare nel merito, ma al tempo stesso sono validi tutta una serie di "consigli della nonna" quali il disinstallare i giochi nei confronti dei quali si sta instaurando una dipendenza, l'usare carte prepagate di un tot per evitare di eccedere con le spese, ed in generale mettere quanta più distanza possibile tra sé e il gioco "problematico". A livello politico altri paesi sono già intervenuti: ad esempio in Cina è obbligatorio rendere noti i drop rate dei vari item, e in Giappone ci sono limiti di spesa mensile per i minorenni. In Occidente al momento il dibattito è piuttosto spinoso, e personalmente ritengo che forse questo paragone continuo con il gioco d'azzardo rischi di stimolare solo polemiche infinite sul perché e il percome casse premio e compagnia cantante debbano (o non debbano) essere considerate gioco d'azzardo, laddove forse sarebbe più produttivo considerare il mondo delle microtransazioni come una realtà con le sue specificità, da regolamentare a parte e in maniera distinta rispetto al mondo del gambling.

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Se da un lato cioè alcuni meccanismi di condizionamento psicologico sono comuni tra gambling e microtransazioni (e pacchetti di figurine e trading card e tessera dei punti del supermercato), dall'altro i videogiochi con recurring spending hanno dalla loro una serie di specificità importanti, di meccanismi che gli permettono di manipolare l'utente in maniera nuova e diversa (non penso che ad esempio nei casinò online si venga accoppiati a utenti che vincono di più perché hanno comprato l'item "super carte da poker", anche se non frequentando l'ambiente non lo escludo) stratificando e inframezzando tecniche classiche e meno classiche di condizionamento e di spinta all'acquisto all'interno del quadro più generale e tradizionale del design dei videogiochi. Gli studi a riguardo sono ancora pochi, e la mia speranza è che al di là delle polemiche e degli attriti si lavori per definire meglio il problema, e nel frattempo si pensi a misure "di buon senso" (magari ispirandosi a quelle già messe in atto da altri paesi) per cercare di arginare i possibili effetti nocivi di questo sistema di monetizzazione.