I detrattori dei videogiochi non smetteranno mai d'esistere, è un dato di fatto. Che sia il servizio di un telegiornale nazionale o la sconnessa lamentela di un genitore disinformato, da sempre i videogiochi non hanno avuto vita facile nel settore dell'intrattenimento. La questione più sentita è sempre stata il loro potenziale dannoso su vari livelli: educativo, mentale e fisico. A questi si aggiunge anche la dipendenza che i videogiochi sono in grado di generare, un aspetto apparentemente così preoccupante da spingere l'organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization) ad includere nel report 2018 delle patologie esistenti, più precisamente la International Classification of Diseases (ICD), due disturbi legati ai videogiochi. Davvero i videogiochi possono essere paragonati a una malattia?
Gaming disorder
Nella bozza preliminare dell'ICD vengono menzionati due differenti disturbi. Il primo è il più generico: hazardous gaming (letteralmente "gioco pericoloso"), si riferisce a "uno schema di gioco, sia online che offline, che incrementa i rischi di danni fisici e mentali per un individuo o per chi gli è vicino. L'aumento del rischio", continua la descrizione "può dipendere dalla frequenza di gioco, dalle ore spese in queste attività, il trascurare altre occupazioni o priorità in favore di queste, dai comportamenti associati al contesto di gioco, da avverse conseguenze del gioco o una combinazione di queste". State attenti a non giocare troppe ore a PlayerUnknown's Battlegrounds o potreste rischiare di avvertire un'irrefrenabile voglia di prendere a padellate la gente!
La seconda malattia citata nella bozza dell'ICD è il gaming disorder, una patologia assimilabile a un disordine comportamentale legato alla dipendenza da videogiochi. "Lo schema comportamentale è di gravità sufficiente da causare una significativa compromissione dell'ambito personale, familiare, sociale, educativo o di altri importanti aspetti. Questo schema può presentarsi continuativamente o ad episodi." La descrizione poi si conclude aggiungendo che questi atteggiamenti dettati dall'abuso di videogiochi possono essere diagnosticati dopo almeno 12 mesi dall'insorgenza dei sintomi, a meno che questi non siano particolarmente acuti e in quel caso la diagnosi può essere formalizzata dopo meno tempo. Un'ottima notizia per tutti quei funzionari negligenti della sanità pubblica e privata, che potranno finalmente addossare ufficialmente la colpa rincuorando quegli altrettanto negligenti genitori che non vedevano l'ora di sentirsi dire "i problemi di suo figlio dipendono dai videogiochi". Una notizia un po' meno felice per il mondo della scienza che certo non trascura importanti problemi sulla salute ma nemmeno se la sente di fomentare allarmismi privi di fondamento scientifico.
Ne è un esempio la lettera aperta scritta da 28 ricercatori che chiedono all'OMS e alla American Psychiatric Association (APA) di rivedere le loro posizioni. In primo luogo viene portato alla luce la totale mancanza di trasparenza sui criteri diagnostici del gaming disorder, cioè se sia effettivamente una nuova patologia che può essere riconosciuta con chiarezza o la semplice espressione di un disturbo diverso e/o già riconosciuto, che può appunto sfociare in una dipendenza. Secondariamente viene criticato il metodo di ricerca sul gaming disorder visto che quello utilizzato sembra essere costruito al fine di ottenere uno specifico risultato. Abbiamo citato anche l'American Psychiatric Association perché la loro definizione è molto meno lusinghiera di quella data dall'OMS visto che l'APA ha, erroneamente, paragonato la dipendenza da videogiochi a quella data da sostanze come alcool e droga. Stando a questo ragionamento se nella frase "Di solito uso sempre un po' di XXX per rilassarmi dopo una giornata stressante" sostituiamo XXX con "eroina" o "Call of Duty" è la stessa cosa. Le due patologie apparentemente simili hanno quindi accezioni diverse: quella dell'APA è in tutto e per tutto paragonabile alla dipendenza da sostanze o comportamenti (dipendenza da sesso o shopping) mentre quella dell'OMS è riconducibile a una serie di atteggiamenti più o meno gravi legati all'interferenza dei videogiochi nella vita quotidiana.
Sotto pressione
Che i videogiochi abbiano recentemente scoperto il fianco alla questioni di abuso con il dibattito loot box uguale gioco d'azzardo può essere vero, ma è vero anche che arrivare alla dipendenza cronica da gioco d'azzardo è una problematica non più legata all'aspetto ludico, nel senso che può anche partire da un divertimento innocuo ma se sfocia in comportamento patologico e compulsivo è chiaro che la causa scatenante risiede in problematiche ben più serie. Perfino l'Unicef si è espressa in modo contrario alle dichiarazioni dell'OMS all'interno del suo report su bambini e mondo digitale, asserendo che "l'uso imprudente del termine dipendenza minimizza le reali conseguenze del comportamento per coloro che sono seriamente colpiti, mentre esalta il rischio di danno per coloro che a volte si impegnano in un uso della tecnologia digitale eccessivo ma non dannoso."
Perché l'OMS ce l'ha tanto con i videogiochi e con il mondo virtuale ? Il problema pare non essere solo prettamente medico, anzi. Stando ad alcune dichiarazioni di funzionari dell'OMS stessa, pare che l'organizzazione abbia ricevuto importanti pressioni politiche da alcuni paesi asiatici: non sono stati divulgati i nomi degli stati che hanno esercitato tali pressioni ma dovendo tirare ad indovinare c'è sicuramente lo zampino di Cina e Corea del Sud. In questi due paesi il controllo sui comportamenti dei giovanissimi in relazione al mondo virtuale è totalmente sfuggito di mano a gran parte dei genitori, tanto da costringere governo e autorità a intervenire. Ne sono un esempio i campi dove la dipendenza dei ragazzi cinesi da internet e videogiochi viene curata letteralmente in modo militare, o la Shutdown Law coreana del 2011 creata per vietare l'accesso ai minori di 16 anni a videogiochi e servizi online da mezzanotte alle sei del mattino. Se il gaming disorder venisse quindi inserito nella lista delle malattie riconosciute dall'OMS gli stati asiatici in difficoltà potrebbero impugnare questo provvedimento a loro favore; una teoria estrema ma non così difficile da credere specialmente rivolgendo lo sguardo verso una super potenza come la Cina, paese dove il governo ha da sempre avuto un approccio censorio nei confronti dei media... se poi lo dice anche l'OMS tanto meglio, no?
Attenzione però perché potremmo correre alcuni rischi anche noi: va infatti ricordato che una volta riconosciuta una determinata patologia questa non solo può essere ufficialmente diagnosticata a livello medico ma trattata a tutti gli effetti come una malattia, coinvolgendo prescrizioni di medicinali, terapie e arrivare persino ad atti giuridici. Non possiamo quindi che unirci in un moto di solidarietà alla dichiarazione dell'Entertainment Software Association, voce dell'industria statunitense che raccoglie numerose personalità del mondo dei videogiochi: "L'organizzazione Mondiale della Sanità sa che il buon senso e la ricerca oggettiva dimostrano che i videogiochi non generano dipendenza. Etichettando ufficialmente in questo modo i videogiochi banalizza incautamente i veri problemi di salute mentale come depressione e disordini derivanti dall'ansia, che meritano un trattamento e l'attenzione seria da parte della comunità medica. Incoraggiamo fortemente l'OMS ad intervenire sulla direzione della sua proposta."