Manca appena un mese all'uscita di Detroit: Become Human, ultima fatica di David Cage, capoccia di Quantic Dream e già sceneggiatore di tutti i titoli precedentemente sviluppati dallo studio francese. Dopo aver firmato Heavy Rain e Beyond: Two Souls, Cage ci riprova con un titolo ancora più fantascientifico in cui non è contemplato il game over. Secondo Cage, il famigerato "game over" rappresenta il fallimento di chi ha progettato il gioco, non di chi lo sta giocando. "È come un circolo vizioso", ha spiegato il director in una vecchia intervista pubblicata ai tempi di Beyond: Two Souls. "Ho sempre pensato che fosse un po' come dire: non hai giocato come volevamo che lo facessi, perciò adesso ti puniamo, costringendoti a rigiocare questa parte da capo finché non lo farai come vogliamo noi". Cage sembrerebbe aver applicato la stessa filosofia anche nello sviluppo di Detroit: Become Human, un'esperienza fortemente narrativa in cui il giocatore interpreta essenzialmente tre personaggi principali, consapevole che ogni scelta potrebbe condurre alla loro fine, ma non a quella del gioco in sé e per sé. Forse anche perché stiamo parlando di androidi.
Non è un paese per androidi
La storia di Detroit: Become Human - che Quantic Dream ha affermato durare sulla trentina di ore - ruota intorno a tre androidi che, in qualche modo, hanno sviluppato una coscienza propria. In una futuristica Detroit che probabilmente sarebbe molto piaciuta a Philip K. Dick, Kara è un'androide che cerca di trovare il suo posto in un mondo in cui gli esseri umani sfruttano i sintetici come semplici oggetti; Connor è un modello sofisticato che lavora per la polizia e dà la caccia agli altri androidi che si stanno ribellando alla loro programmazione; Markus è un androide deciso a liberare i suoi simili dal giogo degli esseri umani. Per raccontare questa storia, i ragazzi di Quantic Dream si sono recati personalmente a Detroit e hanno intervistato gli abitanti per comprendere meglio questa complicata città. "La nostra Detroit, tuttavia, è una versione immaginaria di quella che esiste veramente negli Stati Uniti", ha spiegato Cage. "Sono cresciuto guardando i film americani, perciò l'America è diventata lo scenario neutrale delle mie storie. Tuttavia, una volta sul posto mi sono reso conto che c'è una certa differenza tra quel che si vede nei film e quel che è veramente l'America, perciò era importante che assimilassi quel differenza".
Passandosi una mano sul cuore, Cage ha ammesso di essere soltanto un francese che parla di americani. "È bello perché c'è una forma di distacco che aiuta a raccontare le mie storie con occhi diversi, ma al tempo stesso devo assicurarmi di non fraintendere le situazioni di cui voglio parlare". Detroit: Become Human esce in un momento estremamente delicato per la società americana, offrendo ai giocatori possibilità narrative che potrebbero apparire sospette. L'androide Markus può liberare i suoi simili ricorrendo alla violenza oppure a metodi più pacifici, e questo dualismo rimanderebbe a ideologie contrastanti, nell'ambito dei diritti civili, come quelle di Martin Luther King Jr. e Malcolm X. Il gioco raramente esplorerà un'estremità o l'altra, mantenendosi spesso in un'area grigia tra le due, e Cage ha tenuto a ribadire che nelle sue intenzioni non c'è assolutamente quella di diffondere un'opinione implicita o esplicita sui movimenti moderni come il famoso Black Lives Matter. "Detroit: Become Human è pur sempre un gioco. Lo abbiamo sviluppato con passione e crediamo fortemente nella storia che vogliamo raccontare, ma resta pur sempre un racconto di fantasia", ha affermato Cage. "Nel mondo ci sono persone vere che hanno problemi reali e che bisogna rispettare. Siamo al corrente di tutto quello che sta succedendo negli Stati Uniti e ne abbiamo discusso con Jesse Williams perché la sua opinione era molto importante".
Oltre il videogioco
Jesse Williams, per chi non lo sapesse, è un attore di colore che interpreta Markus, nel senso che ha prestato la voce e le fattezze al personaggio, e che è diventato famoso soprattutto per aver interpretato il ruolo del dottor Jackson Avery nella serie TV Grey's Anatomy a partire dalla sesta stagione nel 2009. Il fatto che Markus sia il protagonista della sottotrama più politica di Detroit: Become Human è certamente interessante, soprattutto perché potrebbero scaturire polemiche simili a quella scoppiata all'uscita di Deus Ex: Mankind Divided, quando molti giocatori avevano trovato di cattivo gusto l'espressione "augs lives matter". È chiaro che c'è un sottotesto, insomma, ma Detroit: Become Human è molto più esplicito anche su altri fronti. Abbiamo detto che Cage e i suoi hanno studiato Detroit da vicino per comprenderla meglio, prima di trasformarla nella futuristica città del gioco. "Abbiamo immaginato una Detroit ricca, piena di fabbriche, importante come quando gli americani l'avevano ribattezzata Motor City", ha spiegato Cage. "Nel gioco è diventata Android City, ma questa tecnologia ha un prezzo. Essa cambia la nostra società nel profondo. Finisce sempre che sono i benestanti a trarne un beneficio. I ceti sociali diversi percepiscono la tecnologia in modo diverso".
A questo punto sarebbe soltanto naturale chiedersi come mai non ci sia un protagonista umano, se la storia vuole esplorare l'impatto che questo tipo di tecnologia può avere sulla società. "Se il protagonista fosse stato umano, il suo punto di vista sarebbe stato drasticamente diverso", afferma Cage. "Questa volta volevamo offrire un'esperienza completamente nuova. Vogliamo che i giocatori si pongano domande importanti, e per questo motivo li faremo calare nei panni di individui che si sentono oppressi e che ambiscono a una vita diversa. Poco importa che siano sintetici". Sembra, infatti, che ogni androide protagonista del gioco affronterà un momento decisivo in cui dovrà scegliere se seguire la programmazione originale o abbracciare l'alternativa. "Gli androidi sono discriminati soltanto perché sono artificiali, ma nel profondo sentono di essere qualcosa di più", prosegue Cage. "Questo genera un conflitto che può condurre a situazioni e conseguenze inaspettate". Abbiamo detto che Cage non crede nel game over: se i protagonisti del gioco muoiono, la storia prosegue senza di loro. Si parla di oltre sessantamila variabili che possono influenzare un impianto narrativo senza precedenti per un videogioco. "Non vogliamo ingannare i giocatori facendo credere che abbiano una scelta, anche se poi non è vero. Siamo consapevoli che potrebbero essere in pochi a giocare i nostri titoli, ma sono convinto che i videogiochi siano un medium di tutto rispetto come la letteratura, e che si possa parlare di argomenti scottanti anche tramite essi".