Versione provata: Xbox 360
La vicinanza del recente EA Showcase alla GDC di San Francisco ha voluto dire una certa somiglianza nei contenuti offerti dai giochi proposti in entrambe le occasioni. Alice: Madness Return non è stato da meno e, accanto al livello di cui avevamo parlato qualche settimana or sono approfittandone per introdurre meccaniche e controlli, era disponibile un nuovo schema.
Il platform d'azione sviluppato dalla cinese Spicy Horse di American McGee non necessita di grossi preamboli, proponendosi dieci anni dopo l'originale con un misto di elementi platform e d'azione che non rinnegano il capostipite. Al contempo però, sfrutta alcune soluzioni di design che hanno acquistato sempre più popolarità nel corso delle ultime generazioni. L'impressione generale è che, come anche comprensibile, una grossissima fetta degli sforzi siano andati nella caratterizzazione della variante orrorifico-psicopatica del mondo di Lewis Carrol, senza rischiare eccessivamente nel proporre meccaniche innovative. Il risultato è comunque personale: come altrimenti potrebbe definirsi un titolo che propone livelli con orologi a cucù giganti, carte da gioco killer, nemici armati con set da the e un'innocua ragazzina che gira sola, munita di gatling e pugnale?
Sogno e incubo
La quindicina di minuti di gioco inediti erano posizionati in un momento differente dell'avventura rispetto a quelli del test scorso, come deducibile guardando il martello a forma di testa di cavallo brandito da Alice, ora più massiccio e dotato di alcune rifiniture che ne complicavano l'aspetto. Quattro sono infatti i potenziamenti disponibili per ciascuna arma, acquistabili spendendo i denti lasciati sul terreno dai nemici uccisi o frutto delle classiche interazioni ambientali con casse e simili oggetti. Un coltello più affilato? Nessun problema. Una mitragliatrice gatling più potente o un lanciagranate più devastante? Basta poterselo permettere. L'evoluzione in termini di equipaggiamento era compensata da un altrettanto significativo step per quanto riguarda i nemici: le carte da gioco erano sostituite da esseri verdognoli dotati di un'arma a due mani, un cucchiaino, oppure a una mano però con in aggiunta lo scudo, la forchettina da dolce con il piattino. Insomma lo stile era inconfondibile e lo stesso si può dire per gli ambienti. La prima parte, all'esterno, era un tripudio di piattaforme tra cui muoversi sfruttando dei getti di vapore e con sullo sfondo enormi cucù. Il secondo, all'interno, un insieme di strutture dall'aspetto gotico, ricche anche di meccanismi e rovinate dal passare del tempo oltre che dall'incuria. Lo scontro finale con una teiera munita di arti meccanici simili alle zampe di un ragno, ha confermato la buona direzione presa dal gioco in termini di varietà di situazioni proposte. Per abbattere questo avversario, ad esempio, occorreva sparargli in un determinato punto aiutandosi con il sistema di agganciamento. Altre volte si è dovuto aspettare e quindi schivare l'attacco per mettersi nella condizione di contrattaccare oppure deflettere un colpo con l'ombrello, per poi lanciarsi verso il bersaglio a quel punto stordito.
Tutto il sistema di combattimento basato su due attacchi corpo a corpo di intensità diversa, sui colpi dalla distanza e sulla schivata sotto forma di mini-teletrasporto, non rappresentano nulla di davvero nuovo come detto in apertura, però andrebbero bene se solo fossero accompagnati da una telecamera in grado di funzionare al meglio nelle situazioni più complesse. Purtroppo al momento resta un elemento passibile di diverse migliorie e anche la crescente presenza di piattaforme tra cui muoversi, ha riconfermato questa urgenza. In generale è l'aspetto tecnico che non lascia senza parole, però tutto ciò che non può essere ricondotto all'ambito di quanto funzionale al gameplay, viene equilibrato dallo stile di ambienti e nemici. Più che la violenza in sé, a stupire piacevolmente è la capacità di passare immagini entrate nell'immaginario comune - soprattutto grazie alla trasposizione Disney - sotto una lente che distorce riferimenti, immagini e luoghi. Proprio come nel primo Alice. Nell'insieme quello che ci aspettiamo nei negozi il prossimo giugno è un prodotto solido e forte di un'ambientazione unica, non originale da un punto di vista del gameplay ma rifinito, speriamo, al punto da essere il secondo incontro che da tanti anni aspettavamo. Né più, né meno.
Un americano in Cina
All'EA Showcase era presente anche American McGee in persona. Una figura controversa che, forte di un nome costruito in lunghi anni di lavoro nell'industry, è oramai diverso tempo che cerca di ritrovare la strada del successo. Essendo poche le occasioni buone per incontrarlo, ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda.
Come sei arrivato a fare questo seguito dopo tanti anni?
Il progetto è nato dopo che mi sono trasferito a Shangai e abbiamo capito che eravamo uno studio in grado di mettere in piedi un sequel di questo genere. Ho parlato con EA e siamo riusciti a metterci d'accordo...
Quindi si tratta solo di una questione di opportunità oppure era qualcosa già nella tua testa da diverso tempo?
Beh quando ho finito l'originale Alice, sapevo che c'era la possibilità di farne un secondo capitolo ma ho immediatamente lasciato EA per perseguire altri progetti, con altri publisher. Ho sempre sentito che era qualcosa che avrei rifatto, prima o dopo, ma appunto non è stato possibile fino alla fondazione del nuovo studio. Per questo c'è voluto così tanto.
A proposito del passare degli anni: questo seguito verrà rilasciato su console e PC, a differenza del primo che uscì unicamente su piattaforma Windows. Vi siete fatti influenzare nel processo creativo da questo cambiamento, oltre che dalle nuove tendenze, oppure siete rimasti fedeli all'originale?
Da un punto di vista tecnologico, soprattutto, siamo ovviamente stati in grado di realizzare un mondo ancora più vibrante, lavorando al contempo su dettagli come il movimento dei capelli o del vestito di Alice. Dieci anni sono un'eternità. Il nostro desiderio, però, è andato nella direzione di confermare il feeling di un tempo: c'era qualcosa di buono e riuscito nel misto di azione, fasi platform e puzzle che volevamo a tutti i costi replicare ancora una volta. E lo stesso vale per la componente narrativa e quella artistica. Per le rifiniture e certi elementi specifici del gameplay, comunque, ci siamo rifatti a quanto chiesto dalla nostra audience: i combattimenti ad esempio sono rapidi e frenetici come in passato, adatti a tutti, ma volendo possono anche essere frutto di un certo studio necessario a completare i livelli alle difficoltà più elevate. E lo stesso vale per la varietà di situazioni proposte dai nemici e dai loro pattern di attacco.
Cambiando invece argomento, la tua scelta di sviluppare in Cina è piuttosto radicale. Come ti sei trovato nella tua esperienza fino a questo momento? Quali differenze hai notato tra i due approcci?
Ci sono delle differenze ovviamente, che affondano le loro radici in un'enorme lontananza culturale, geografica e linguistica. Quando si parla di sviluppare dei giochi però, ci sono certe aspettative che vanno soddisfatte. Quindi nel costruire un team capace di produrre ad alti livelli abbiamo adottato strumenti e tecniche che sono universali, validi in Cina così come altrove. Noi abbiamo puntato moltissimo sulla creazione di un ambiente di lavoro positivo, sulla qualità della vita di chi opera con noi, riuscendo a evitare tutti i principali motivi di attrito sia culturali che in termini di sviluppo.
Cosa manca ancora all'ambiente dello sviluppo cinese rispetto a quello occidentale? Cos'ha invece di superiore?
Quello che manca credo siano principalmente le opportunità: per molto tempo la Cina è stata considerata unicamente come un luogo buono per fare l'outsourcing di parte del proprio lavoro. Questo vuol dire che ci sono diversi sviluppatori molto capaci che però si sono sempre occupati di realizzare solo piccole parti di opere più grandi, quindi gli manca la visione d'insieme o la possibilità di farsela. Il nostro è il primo caso di uno sviluppatore cinese che porta a termine dall'inizio alla fine un titolo tripla A su console e lo accompagna sino nei negozi. Il vantaggio è lo stesso, solo visto da un altro punto di vista, con tanti anni per allenarsi lavorando su prodotti di alto livello e quell'esperienza che può ora essere riutilizzata per progetti indipendenti.
Quindi consideri la tua una scelta definitiva, sarà anche in futuro la tua casa e il tuo ambiente di lavoro...
Sono oramai da sette anni sul posto, i primi due a Hong Kong e gli ultimi cinque a Shangai, la considero casa mia. E appena finiremo Alice potrò tornare a lavorare su uno dei motivi principali per cui sono venuto in Cina, ovvero i giochi online che sono nel Paese qualcosa di veramente importante e seguito. Alice è stata una piacevole, enorme divagazione sul piano originale.
I free to play e in generale i prodotti online sono ciò per cui nel mondo gli sviluppatori cinesi sono più famosi. Pensi che il genere possa crescere ancora? Al punto da sbarcare su console?
Sono sicuramente dotati di grande futuro e per questo ci punteremo moltissimo: saremo completamente incentrati sul modello free to play con le microtransazioni. Per quanto riguarda le piattaforme però, noi staremo su PC e mobile. In futuro potrebbero arrivare le stesse esperienze, o simili, anche su console ma c'è bisogno di tempo perché quel pubblico ha bisogno di adattarsi all'idea. Mercati come il Sud America, l'Europa e l'Asia hanno invece su PC e mobile un'utenza già ora molto ricettiva in tal senso.
Saranno degli MMO quelli che farete o qualcosa di differente?
No, saranno dei titoli adatti anche all'utenza casual ma di qualità, da rilasciare sul mercato in 6-8 mesi in piccoli pacchetti che, in base al successo ottenuto, potremo poi espandere ulteriormente o meno.
Come mai non vedi futuro nel mercato dei titoli tripla A per il tuo team?
Potremmo farlo ma preferiamo concentrarci su qualcosa di più piccolo, rapido. Avere cento persone per due anni sullo stesso gioco è bello, ci rende orgogliosi, però fare soldi in questa fascia di mercato è complicato. E penso ad aspetti come la pirateria o il mercato dell'usato. Mercati come la Corea e la Cina ci offrono possibilità più allettanti e su quelle ci concentreremo.
Ok, grazie mille e in bocca al lupo per i prossimi progetti.
Grazie.
CERTEZZE
- Ottimo stile
- Sembra esserci una buona varietà di situazioni
- Un ritorno atteso
DUBBI
- Telecamera da migliorare
- Meccaniche fortemente derivative
- Longevità