Che fine hanno fatto... è una rubrica a cadenza regolare che cerca di riportare alla luce quei franchise che per un motivo o per un altro sono caduti un po' nel dimenticatoio, raccontandone la storia, con la speranza di rivederli prima o poi sui nostri schermi.
Intrigante, innovativo e visionario, sono solo alcuni degli aggettivi che potrebbero servire per descrivere Killer 7, il gioco di Suda51 che nel lontano 2005 uscì, dopo una serie di ritardi, rincorse e false speranze, su GameCube e PlayStation 2, diventando nel giro di qualche tempo, nonostante i difetti, un gioco di culto. In attesa magari di vederne il porting su Nintendo Switch, come auspicato dallo stesso autore, e magari un sequel, come invece desiderato da molti fan, vediamo di ricordare insieme questo piccolo gioiello e il perché, a parte tutto, è così amato dal suo pubblico.
Sette volte me
Per spiegare adeguatamente un gioco come Killer 7 è importante fare prima di tutto la conoscenza dei personaggi coinvolti nel gioco e della visionaria quanto fole trama sullo sfondo. Il protagonista principale dell'avventura è Harman Smith, un ex killer sessantacinquenne disabile che vive in un presente alternativo, dove il terrorismo su scala globale ha spinto il mondo sul baratro della paranoia e dell'autoritarismo, al punto da portare le quattro potenze più importanti del globo a creare un'agenzia per sradicare il fenomeno a scapito della libertà di movimento e di comunicazione dei cittadini.
Ma questo sembra non bastare per fermare i piani de "La Mano di Dio", che non è Maradona ma un'organizzazione criminale così potente da essere capace, da sola, di rovesciare i governi. Tra la popolazione ignara si diffonde una strana malattia che causa estrema aggressività. Quando a farne le spese sono i suoi affetti più cari, Harman decide di mettere fine all'impresa, e alla vita, dell'intero gruppo criminale e del suo capo, Kun Ran.
Ma come può un vecchio disabile, sia pure addestrato come killer in gioventù, sfidare da solo una tale organizzazione? Semplice: l'anziano soffre di una strana sindrome, quella da personalità multiple. Harman ne ha sette, ciascuna delle quali si manifesta addirittura fisicamente, oltre che con pensieri e parole, prendendo possesso del corpo dell'anziano che di volta in volta viene quindi tramutato in quello di ciascuna delle identità al momento posseduta.
Tra genio e follia
Folle, vero? Il Goichi Suda (Suda51) più ispirato di sempre alla direzione di un gioco in cel shading unico, visionario, in grado di stravolgere il genere degli sparatutto in prima persona. Certo, i difetti tecnici a conti fatti non mancavano, vedi per esempio i fastidiosi quanto lunghi caricamenti su PlayStation 2, oltre alla ristrettezza e alla rigidità di comandi che limitavano una certa liberta di movimento. Ma tutto, per molti fan, finiva in secondo piano dietro alle trovate geniali (o folli) degli sviluppatori.
Nel suo insieme il gioco funzionava: nel proporre qualcosa di originale, unico, particolare, corroborato da un comparto grafico con uno stile post moderno, colorato e fumettoso, dove si poteva intravvedere un po' del dark comics americano nel tratto asciutto e nervoso di personaggi e fondali, di Sin City nell'atmosfera che si respirava, e tanto Tarantino nell'esaltazione visiva della violenza esagerata e del sangue che scorreva a fiotti nelle cut scene.
E poi l'impronta caratteristica di Goichi Suda. Perché Killer 7 è un di quei titoli che più di ogni altro rispecchia la personalità dell'artista. Come ebbe modo di spiegare in una vecchia intervista rilasciata al nostro Simone Tagliaferri, Suda ha sempre guardato al ruolo di director come a una professione. Di conseguenza, anche se ha fatto moltissimi giochi, disse che non sempre era stato libero di fare ciò che voleva. Spesso, infatti, ha ovviamente dovuto eseguire gli ordini dei publisher e realizzare i prodotti che gli erano stati richiesti.
Ogni tanto, però, per periodi di tempo limitati, ha avuto anche la libertà di fare ciò che voleva. E da questo punto di vista, Killer 7 rappresenta probabilmente uno di questi casi. E chissà oggi, con la tecnologia a disposizione, cosa tirerebbe fuori se avesse la possibilità di farci un sequel. Ogni volta che il fondatore e CEO di Grasshopper Manufacture torna in Europa, dice di venire continuamente tempestato dai fan che gli richiedono a gran voce proprio un seguito del gioco. Speriamo che Capcom prima o poi li ascolti.