Sono lontani i tempi in cui David Cage girava come una pallina da flipper impazzita per gli studi dei publisher londinesi alla ricerca di qualcuno che lo notasse: in quel vagare convulso portava con sé un portatile, contenente una demo di Omikron: The Nomad Soul. "Sembra strano dirlo ma è così che ho mostrato a Eidos Interactive il progetto. A loro è piaciuto, hanno stanziato un budget astronomico e io mi sono ritrovato in meno di un mese a fondare un team di sviluppo". Questo è l'inizio della carriera di David Cage e del suo studio di sviluppo, Quantic Dream.
Un aneddoto che ha raccontato durante il panel tenutosi all'inaugurazione di Video Game Zone, la nuova area permanente dedicata ai videogiochi all'interno del Museo Nazionale del Cinema di Torino.
Abbiamo avuto modo di seguire l'excursus dello sviluppatore all'interno del suo intervento, avendo poi l'occasione di approfondire alcuni temi in un'intervista a David Cage in persona... non prima però di aver ironizzato sul recente successo di Valorie Curry, la Kara di Detroit: Become Human, oggi alla ribalta per il ruolo in The Boys con la sua Firecracker. "Oh si!" esclama Cage, "due personaggi così diversi".
Costruire il linguaggio
Il bello della narrativa videoludica è che non esiste un modo univoco e codificato per proporla al pubblico. Quella dello storytelling è un'arte e nell'evoluzione del medium abbiamo visto tanti modi per raccontare una storia. Basti pensare alla narrativa emergente dei giochi di ruolo, la narrazione ambientale degli immersive sim; persino i grandi giochi competitivi online sopperiscono alla mancanza di storia integrandola con easter egg, linee di dialogo automatiche tra personaggi e cortometraggi.
Quantic Dream ha da sempre scelto una strada lastricata di copioni cinematografici e performance attoriali di grande spicco. Il costante successo dello studio ha portato nel tempo ad un massiccio investimento tecnologico, e qualche anno fa vi abbiamo raccontato di quando siamo volati a Parigi per visitare dal vivo gli studi dello sviluppatore francese.
"Non fatevi ingannare dall'aspetto tecnologico, perché quello non è l'elemento chiave delle nostre produzioni" dice Cage. La spesa economica sostenuta da Quantic Dream non è di certo irrilevante, tanto che lo sviluppatore per ogni gioco cambia motore di sviluppo, adeguandolo alle esigenze del titolo in produzione. "Poter avere una tecnologia proprietaria, uno studio per il motion capture e tutte le infrastrutture a sostegno -pensate ad esempio la quantità di dati che immagazziniamo dopo ore di registrazioni MoCap- è un traguardo importante, ma ci sono voluti anni di gestione dei fondi e sacrifici".
"Nel momento in cui arrivi ad avere una tua comfort zone di sviluppo, conosci il terreno in cui ti muovi, puoi man mano alzare l'asticella del risultato e spingerti un po' oltre, ma è vero anche che arrivi a gestire tutto con tanti anni di esperienza. Credo sia importantissimo che ad oggi esistano strumenti democratici e di facile accesso agli sviluppatori indipendenti".
A quel punto, pensiamo noi, si tratta solo di tirare fuori una buona storia. Cosa fa davvero la differenza? "Rispetto al cinema, il videogioco è giovane e poggia le sue basi su un linguaggio non ancora del tutto codificato. Credo perciò che la sfida più grande sia quella di costruire la grammatica, e lo si può fare prendendo in prestito elementi di sintassi da diversi altri media. Ovviamente il tutto va riadattato alla dimensione interattiva della narrazione, perché non si tratta di raccontare una storia per il pubblico, ma concedere loro gli strumenti per creare la propria storia".
Il peso dell’adattamento
Ovviamente Monsieur Cage si è presentato a Torino con la bocca cucita circa il prossimo gioco in cantiere in casa Quantic Dream, quello Star Wars Eclipse su cui gravano le aspettative di centinaio di migliaia di fan. "Abbiamo sempre lavorato a storie originali e mai prodotto sequel, se non qualche esperimento narrativo collaterale per testare i motori grafici (qui Cage si riferisce a The Casting e Kara, prodotti rispettivamente prima di Heavy Rain e Detroit: Become Human, ndr).
Stavolta lavoriamo su una proprietà intellettuale su licenza, anzi, la proprietà intellettuale su licenza per eccellenza. Non si può descrivere l'emozione del poter imprimere una parte di te all'interno di un franchise come Star Wars, del poter inventare la tua storia, i tuoi personaggi, le tue civiltà".
Quindi, visto che lo sviluppatore francese era letteralmente senza parole, abbiamo provato un po' a sparigliare le carte in tavola e ribaltare il punto di vista. Perché quello che i recenti successi di produzioni televisive come The Last of Us e Fallout ci dicono, è che non importa se un videogioco viene adattato con una trasposizione 1:1 o viene creata una linea narrativa inedita canonica: il pubblico ha fame di belle storie, e i videogiochi ne hanno create a bizzeffe in questi anni. E se invece di lavorare ad una proprietà intellettuale cinematografica, fosse stata una grande etichetta hollywoodiana a chiedere i diritti a Quantic Dream per un adattamento televisivo?
"Credo che non sarebbe così semplice!" interviene Cage. "Alcuni dei nostri giochi si concentrano più sull'interazione con l'ambiente e l'esplorazione, altri più sulla ramificazione della trama". È il caso di Fahrenheit: Indigo Prophecy, che propose, in modo inedito per i tempi, scene di vita quotidiana, tanto che i publisher inizialmente, nonostante la pubblicazione di Omikron, non compresero che tipo di gioco fosse ("non si salta, non si spara, non si guida... nessuno capiva che tipo di avventura avessimo creato!" dice Cage nel panel). "Sicuramente nel nostro portfolio ci sono titoli più facili da adattare di altri, ma dipende tutto da quale storia si vuole raccontare". Effettivamente, ripensando alle nostre avventure con le storie di Quantic Dream, sarebbe strano vedere una serie tv di Detroit: Become Human con un finale diverso da quello che abbiamo giocato. Tutti abbiamo guidato la rivoluzione degli androidi in modo pacifico... vero?
Siamo le scelte che facciamo
In modo totalmente inaspettato, c'è stato un momento della conferenza che ci ha fortemente colpito e che abbiamo avuto modo di approfondire con lo stesso Cage, nel momento forse più filosofico e intimo dell'intervista. "Scrivere storie interattive è un po' come scrivere la vita: noi siamo il risultato delle scelte che facciamo". Un'affermazione dai toni quasi teatrali ma che dice molto di Cage, come persona e come artista. Quella dello sviluppatore è un visione della vita che non lascia spazio a casualismo o fatalismo ma solo alla causalità: tutto quello che facciamo genera una conseguenza, ad un'azione corrisponde una reazione.
E i giochi di Quantic Dream funzionano esattamente in questo modo, sono storie che prendono forma in base alle scelte. C'è quindi un tratto autobiografico nelle opere dello sviluppatore francese, nel fatto che il giocatore è sempre chiamato a fare una scelta? "Mi piace sicuramente innescare indirettamente certi dialoghi con il pubblico, ma il punto non è mai la risposta, perché non ne esiste una giusta o sbagliata. Si può scegliere l'opzione A, B o C, o anche di far scadere il quick time event e non fare nulla... anche scegliere di non scegliere è pur sempre una scelta. Ma per ognuna di queste esiste sempre una conseguenza, e alla fine della giornata quello che ci qualifica è quello che facciamo concretamente. Saresti davvero disposto a commettere un crimine per la persona che ami? Per proteggere un ideale? Uccideresti un innocente per salvare tuo figlio? Fallo, racconta chi sei attraverso le tue scelte. Io penso che la vita funzioni realmente così: ti fa delle domande, prendi delle decisioni e ne affronti le conseguenze".