Inutile girarci troppo intorno: il 2019 verrà ricordato innanzitutto come l'anno di Death Stranding. Checché se ne dica, l'ultima opera di Hideo Kojima ha generato dibattiti a non finire e ha infiammato il confronto tra appassionati sui social: per un verso i più convinti sostenitori delle scelte autoriali dettate dal designer nipponico, per l'altro chi non è riuscito ad apprezzarne le caratteristiche, vuoi per ragioni narrative ed estetiche vuoi per considerazioni squisitamente interattive.
Che il complesso viaggio nei panni di Sam Porter Bridges fosse destinato ad essere divisivo come pochi altri nella storia di questo medium era nell'aria da tempo, ben prima del suo debutto su PS4, tuttavia la conferma è puntualmente arrivata una volta che è stato possibile immergersi a capofitto nell'articolato immaginario plasmato da Kojima-san di concerto con il resto del suo team. Un po' per i ritmi di gioco e un po' per le caratteristiche della storia, del singolare contesto open world e dei personaggi, Death Stranding è un'esperienza interattiva che non cerca di procacciarsi il favore dell'utenza nel suo insieme. In un certo senso si è trattato di un esperimento, una voce fuori dal coro nel panorama conservatore delle produzioni tripla A contemporanee. Una sorta di tentativo di eliminare gli abituali punti di riferimento su cui fanno abitualmente leva i videogiochi più conosciuti di oggi, sondando dinamiche che a ben vedere pochi altri autori si sarebbero potuti permettere il lusso di seguire. Ad ogni buon conto Death Stranding richiede un attento lavoro di approfondimento, di studio e sedimentazione per poter essere completamente assimilato dal fruitore una volta riposto il pad nel cassetto.
Nonostante le inevitabili voci contrastanti che hanno delineato i giudizi della stampa internazionale, il gioco è riuscito a raccogliere la maggior quantità di perfect score tra i titoli usciti sul mercato nel corso dell'anno. Questo semplice dato statistico, unitamente a ciò che abbiamo detto poco fa, gli ha così permesso di entrare di diritto nel novero dei candidati alla palma di Gioco dell'Anno.
Death Stranding: il gioco delle connessioni
Il racconto di Death Stranding parte lentamente, come è lecito aspettarsi considerando le premesse narrative delineate nella prima fase dell'avventura. L'impervio viaggio di Sam nasce dalla necessità di rimettere in connessione una società pericolosamente frantumata da eventi che ne hanno sconvolto le fondamenta nel profondo. In un contesto instabile, nel quale i sopravvissuti sono costretti loro malgrado a vivere isolati a causa dell'imperversare delle Creature Arenate, il Movimento Ricostruzionista si pone come obiettivo di riportare i territori un tempo appartenuti agli Stati Uniti d'America sotto un'unica bandiera. Così nasce il complesso incarico del giocatore, ovvero attraversare l'intero Paese, da una costa all'altra, con il fine ultimo di ricollegare gli individui tra loro e farli entrare a fare parte delle UCA (le United Cities of America).
Seppur in maniera più velata rispetto a quanto avveniva in Metal Gear, anche in Death Stranding non mancano riferimenti alla politica e alla società contemporanea. Mentre nella saga che ha reso Kojima celebre a livello planetario il tema portante era il rapporto dell'uomo con la guerra, in questo caso l'autore nipponico ha preferito indagare la condizione dell'individuo, rimarcando in qualche modo l'isolamento e la solitudine che sono sempre più palpabili nella società occidentale, in palese contrasto con la socialità (quella effettiva e non semplicemente virtuale) che ha sempre delineato l'essere umano nelle epoche storiche precedenti all'avvento di internet.
Death Stranding è dunque anche un'opera dagli evidenti risvolti sociologici, dove si coglie una palese critica dell'individualismo sempre più spinto che caratterizza la società globale contemporanea. È soprattutto alla luce di questa chiave di lettura che risulta complesso analizzare questo racconto attraverso le caratteristiche del videogioco tout court, ed è proprio quest'ultima considerazione a rappresentare un inevitabile scoglio per chi si aspetta che un videogioco si preoccupi principalmente di veicolare divertimento spicciolo anziché cercare di trasmettere un messaggio filtrato dal pragmatismo dell'immedesimazione interattiva.
Contrariamente a quanto accade altrove, la ripetitività degli incarichi portati a termine da Sam durante la sua lunga traversata possiede un'innegabile coerenza. Le singole consegne potrebbero di per sé sembrare insignificanti, ma vengono rese interessanti da fruire proprio in virtù della non convenzionalità di tante piccole e grandi situazioni che si vivono vestendo i panni del personaggio interpretato magistralmente da Norman Reedus. Ad avviso di chi vi scrive si tratta di un elemento di imprescindibile importanza, che non si può non tenere in conto nel giudicare l'opera. È anche per questo che, come è avvenuto poche altre volte nella storia di questo settore, la soggettività finisce per prendere inevitabilmente il sopravvento su tutta un'altra serie di valutazioni, atteso che per idee e potenza dell'immaginario offerto Death Stranding merita indubbiamente di essere ricordato.
Viene da chiedersi se vedremo mai un sequel, o per meglio dire se ci sia davvero bisogno di portare avanti una storia che propone un epilogo soddisfacente e sufficientemente conclusivo. Interpellato al riguardo, Hideo Kojima non ha escluso a priori l'eventualità di dedicarsi a un secondo episodio in futuro. Ciò nondimeno le voci di corridoio circolate nell'ultimo periodo sembrano suggerire la volontà del designer asiatico di dedicarsi a un'inedita esperienza horror ispirata da P.T.. Chi vivrà vedrà, intanto però Kojima Productions continua a lavorare per affinare ulteriormente i contenuti di Death Stranding: proprio nei prossimi giorni è atteso il rilascio di un nuovo aggiornamento di natura tecnica, volto a correggere una serie di imperfezioni che sono emerse al lancio dell'opera su PS4.