Diario del capitano
Qualche tempo fa ho approfittato di un'offerta speciale di Bol.com per portarmi a casa un bello zaino di libri con il 50% di sconto. Tra i vari acquisti - Stagioni diverse di Stephen King, I sommersi e i salvati di Primo Levi, In Patagonia di Bruce Chatwin e infine No Logo di Naomi Klein - una piacevole sorpresa si è rivelato l'ultimo, decisamente no global, ma certo meno violento dei tafferugli genovesi. Un minuto qua e uno là prima di cena, ho letto dell'interessante tesi secondo la quale negli ultimi dieci anni non è l'azienda a vivere, ma il marchio (logo) e il cibo principale del marchio è proprio la pubblicità, in qualunque forma essa si presenti. E qual è la caratteristica della pubblicità finalizzata al potenziamento del marchio? E' che per mantenere il "primo posto" bisogna aumentare l'investimento di anno in anno, per tenere testa ai concorrenti.
Allora mi è venuto in mente il boom del 1998-1999 dei siti internet, quando, finanziati da capitali di ventura senza fine, acquistavano spazi pubblicitari in ogni singolo buco libero del mondo. I cittadini delle metropoli americane, ad esempio, organizzarono delle autentiche petizioni per combattere l'eccessiva presenza di pubblicità di dot.com in giro per la città. E pensare che poco prima, nel 1994, il marchio era stato dato per morto (vi ricordate le pubblicità di Barilla e il Mulino Bianco in cui veniva dichiarato "basta pubblicità e regali, abbassiamo i prezzi e alziamo la qualità"?). Iniziativa lodevole ma defunta ancora prima di iniziare.
Un'altra dichiarazione nel libro che mi è piaciuta molto è il parallelo tra noi consumatori-pubblicità con scarafaggi-insetticida. Con il passar del tempo abbiamo bisogno di maggiori dosi e ingredienti più potenti, perchè altrimenti non fa più effetto. Bello no?