La storia dei videogiochi si è intrecciata più volte con quella degli altri media, tanto che negli ultimi anni le multinazionali dell'intrattenimento hanno creato delle vere e proprie sinergie per arrivare a vendere non tanto singoli prodotti, quando interi immaginari liofilizzati al pubblico. La voglia di tradurre in videogioco opere provenienti da altri media è comunque connaturata all'industria stessa, che sin dai suoi albori ha sempre guardato a cinema, letteratura, serie TV e quant'alto per trovare ispirazione e successo. Soprattutto agli albori del medium questa tendenza si è tradotta in un profluvio di opere nate dalle fonti più disparate, alcune delle quali difficili anche solo da concettualizzare in chiave videoludica. La tendenza è sopravvissuta anche negli anni successivi, ma si è un po' asciugata sotto la pressione degli aumenti dei costi di produzione e della maggiore focalizzazione del mercato, che hanno reso antieconomiche certe "sperimentazioni". Vale comunque la pena riscoprire i dieci adattamenti videoludici difficili anche solo da immaginare, selezionati in realtà tra tantissimi titoli che avrebbero meritato di finire in questo speciale.
Porky’s – Atari 2600 / Atari 8-bit (1983)
Porky's - Questi pazzi pazzi porcelloni! è probabilmente l'ultimo film da cui chiunque con un minimo di sale in zucca trarrebbe un videogioco, eppure qualcuno pensò bene di cavalcare l'enorme successo dello sboccacciato e volgarotto film canadese per consentire al giocatore di impersonare Edward "Pee Wee" Morris in un action adventure a schermate fisse che riprendeva la trama del film, dandogli l'obiettivo di distruggere la famigerata discoteca Porky's, ma non prima di aver rivissuto la scena della doccia con tanto di ragazza nuda da spiare.
Naturalmente sia la versione per Atari 2600, sia quella per sistemi Atari a 8-bit, non riuscivano a rendere giustizia all'anatomia umana e, soprattutto, non erano molto piacevoli da giocare, per usare un eufemismo. In particolare la seconda versione fu venduta senza uno straccio di manuale, con i giocatori che dovevano capire da soli cosa fare per andare avanti. Un supplizio, insomma, nonostante la relativa brevità del gioco.
My Name Is Uncle Groucho, You Win a Fat Cigar – ZX Spectrum (1983)
"Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me" è forse la più celebre battuta pronunciata da Groucho Marx, il più riconoscibile dei Fratelli Marx, gruppo comico attivo nel mondo del cinema, in particolare negli anni '20 e '30 del secolo scorso. Per trasformarlo nel protagonista di un videogioco, dal titolo My Name Is Uncle Groucho, You Win a Fat Cigar, serviva l'irriverente genialità di Mel Coucher, uno dei padri dell'industria dei videogiochi inglese.
Così eccoci invischiati in una strana avventura che richiedeva di dare comandi via tastiera al vecchio comico, armato naturalmente di sigaro, per scoprire l'identità di un personaggio del mondo dello spettacolo. Strano e difficilissimo, come del resto la maggior parte delle opere di Coucher, non dava alcun aiuto al giocatore, che si trovava nella condizione di dover capire da solo cosa fare... anche come funzionava il gioco stesso, probabilmente perché legato a un concorso a premi sul suo completamento (fatto non rarissimo a quei tempi). Da notare che recentemente My Name Is Uncle Groucho, You Win a Fat Cigar è stato ripubblicato su Steam, dove è acquistabile per pochi euro.
Benny Hill's Madcap Chase – ZX Spectrum (1985)
Benny Hill era un comico molto famoso negli anni '80. Il suo Benny Hill Show arrivò anche in Italia, ottenendo ottimi riscontri da parte del pubblico televisivo. In Inghilterra era diventato una vera e propria istituzione, tanto da riuscire a richiamare una media di 20 milioni di spettatori a settimana. Perché non dedicargli un videogioco, quindi? Ed ecco qua Benny Hill's Madcap Chase, pubblicato da DK'tronics nella sola versione ZX Spectrum, in cui nei panni del buon Benny si devono raccogliere degli oggetti in aree che riprendono dei luoghi iconici di Londra, evitando gli "avversari" tipici di Hill nelle sue comiche: poliziotti, casalinghe infuriate e così via. Non era un capolavoro, ma nemmeno un brutto gioco, soprattutto in virtù dei suoi sprite grossi e ben riconoscibili. Anche il soggetto, che oggi può apparire inusuale, non lo era poi così tanto in un'epoca piena di minatori ubriaconi che dovevano ripulire la loro casa dopo una festa e di meccanici che rimanevano intrappolati nei loro incubi.
The Dallas Quest – C64, Apple II, Atari 8-bit, TRS-80 Color Computer (1984)
Non ci crederete mai, ma negli anni '80 a qualcuno venne l'idea di tirare fuori un gioco ufficiale della soap opera Dallas. Del resto stiamo parlando di una serie dal successo colossale, che il 21 novembre 1980 aveva incatenato davanti alla televisione 90 milioni di telespettatori, curiosi di sapere chi avesse sparato a J.R., uno dei protagonisti, nonché la figura più riconoscile del cast. Cosa farne però? Incaricato dell'impresa da Datasoft, il buon James Garon decise di tirarne fuori un'avventura testuale in cui il giocatore interpretava un investigatore privato con lo scopo di aiutare Sue Ellen, una delle protagoniste della soap, a raggiungere l'indipendenza economica per liberarsi dal giogo del marito (J.R.). Fin qui sembrava più o meno tutto normale, ma in realtà l'avventura in sé era decisamente sopra le righe, tra mucche impazzite da calmare a colpi di musica classica e avvoltoi da distrarre usando una scimmia assoldata con del tabacco da masticare. Naturalmente gli indizi a disposizione del giocatore erano scarsissimi e l'unico modo di andare avanti era spesso quello di procedere per tentativi. Un po' come la vita vera, insomma.
Motörhead – Amiga (1992)
Ogni volta che si parla di speed metal c'è un nome che viene subito in mente: Motörhead (ma non diteglielo, che non hanno mai amato la definizione). Quando nel 1992 fu lanciato il videogioco ufficiale con protagonista Lemmy, storico leader della band, purtroppo morto nel 2015, molti si dissero: "perché no?" In fondo non era la prima volta che un gruppo musicale veniva ridotto in pixel. In questo caso però non si scelse di farne un arcade adventure o un'esperienza interattiva (pensate a Frankie Goes to Hollywood), ma lo studio di sviluppo Kaitsu Software optò per battere uno dei generi più popolari dell'epoca, quello dei picchiaduro a scorrimento. Così Lemmy fu trasformato in un emulo dei fratelli Lee dei Double Dragono, o di Cody e Haggar dei Final Fight, e fu mandato in giro a picchiare discotecari usando la sua chitarra elettrica. Non ne uscì fuori un capolavoro ma ehi, si picchiavano i truzzi, e oltretutto Lemmy poteva fonderli sputandogli del catarro radioattivo addosso.
Tubular Bells – C64 (1986)
Tubular Bells è sicuramente l'opera più famosa della leggenda del progressive rock Mike Oldfield, capace di vendere diciassette milioni di copie nonostante la sua natura fortemente sperimentale. Nel 1986 l'editore CRL decise di farne un videogioco, omonimo del disco, con la collaborazione di Oldfield stesso. Ne venne fuori un'opera che di ludico aveva ben poco e che si presentava più che altro come un'esperienza multimediale, quando ancora questa parola non era entrata nell'uso comune delle masse. Essenzialmente il giocatore poteva riascoltare le tracce di Tubular Bells rifatte con il SID (il chip audio del C64), manipolando la grafica che appariva sullo schermo. All'epoca non fu accolto benissimo, ma a suo modo fu un titolo che fece storia, essendo il primo su licenza del suo genere.
Viz - Amiga, Amstrad CPC, Atari ST, C64, MS-DOS, ZX Spectrum (1991/92)
Alla fine degli anni '70 Chris Donald, assistito dal fratello Simon e dall'amico Jim Brownlow, lanciarono nel Regno Unito la rivista a fumetti per adulti Viz, considerata vicinissima alla cultura punk dell'epoca. Era caratterizzata da uno stile irriverente e sregolato, che faceva satira un po' su tutto. Il primo numero fu stampato in poche decine di esemplari, ma il successo portò i numeri successivi a tirature enormi, tanto che Viz sopravvive ancora oggi. Le sue pagine erano popolate da personaggi completamente sopra le righe, come i tre protagonisti del gioco ufficiale sviluppato da Probe Software e pubblicato agli inizi degli anni '90 su di una moltitudine di sistemi. Chi vincerà la gara di corsa sportiva divisa in cinque tappe tra Johnny Fartpants, i cui peti hanno una potenza devastante, Buster Gonad, i cui testicoli sono così grossi che non può tenerli nei pantaloni e deve trasportarli con una carriola, e Biffa Bacon, un grande amante delle risse nei pub? Il gioco in sé era ben fatto, ma non certo un capolavoro memorabile. Comunque sia, gonfiare palloncini con i peti o vedere Gonad correre abbracciando i suoi testicoli era un'esperienza che lasciava il segno.
Dante’s Inferno – C64 (1986), quindi PS3, Xbox 360, PSP (2010)
Denton Designs non era nuova a impelagarsi in progetti strani. Nel 1985 aveva lanciato un gioco dedicato alla band Frankie Goes to Hollywood, che aveva ottenuto il plauso della critica e del pubblico e nel 1986 fu la volta di tirare fuori un arcade adventure tratto nientemeno che dalla Divina Commedia di Dante. Nei panni di una versione pixellosa del Sommo Poeta, il giocatore doveva ingegnarsi per attraversare l'inferno, evitando i dannati e risolvendo puzzle, fino a riveder le stelle dopo aver superato Lucifero. Il gioco in sé era difficile, non disprezzabile, ma anche molto breve (sapendo tutto quello che si doveva fare lo si poteva finire in meno di dieci minuti).
Si chiamava semplicemente Dante's Inferno, titolo che curiosamente sarà ripreso anche da una seconda riduzione dedicata alla più importante opera della letteratura italiana, pubblicato nel 2010 da Electronic Arts e sviluppato da Visceral Games. In questo caso il gioco aveva solo un vago sapore dell'opera originale, con Dante che era stato trasformato in un clone del Kratos prima maniera. La storia lo vede recarsi all'inferno per massacrare i diavoli in cerca di Beatrice e di vendetta.
M*A*S*H - Atari 2600, Atari 8-bit, ColecoVision, Intellivision, TI-99/4A, VIC-20 (1983)
"Davvero hanno fatto un gioco su M*A*S*H?" ci siamo detti mentre compivamo ricerche per scrivere questo speciale, increduli di fronte alla copertina del gioco ufficiale tratto dallo storico capolavoro cinematografico di Robert Altman, a sua volta tratto da un romanzo di Richard Hooker. In realtà il tentativo di trasformarlo in pixel si spiega per il grande successo avuto dalla pellicola originale (80 milioni di dollari incassati in tutto il mondo per 5 milioni spesi per produrlo), nonché per quello del telefilm susseguente. Il gioco in sé era concettualmente molto semplice: diviso in due parti, nella prima richiedeva di andare a recuperare dei feriti a bordo di un elicottero, mentre nella seconda di eseguire degli interventi chirurgici per rimuovere schegge e pallottole dai loro corpi. Non era eccezionale, ma il solo fatto che qualcuno lo abbia fatto lo rende meritevole di menzione.
Lies of P – PC, Xbox Series X/S, PS5 (2023)
Lies of P è il titolo più recente del gruppo e risponde alla domanda: cosa ne farebbero della storia di Pinocchio degli sviluppatori coreani? La risposta è un clone di Dark Souls dalle atmosfere prettamente dark, ma straripante di elementi steam punk, pieno di boss giganteschi e risvolti inaspettati. Tranquilli, non vi anticipiamo se dicendo le bugie il naso del protagonista si allunga oppure no. Giocandoci, da una parte è davvero difficile riconoscerci l'opera di Collodi, ma dall'altra fa venire in mente che forse è questo il modo migliore di approcciarsi ai classici che si vogliono trasformare in videogiochi, ossia reinterpretandone in modo libero e creativo i temi, dissacrando il dissacrabile, ma sempre mostrando quel rispetto implicito che è essenziale per non perdere completamente il contatto con la fonte d'ispirazione originale.