È trascorso più di un mese dall'uscita di Elden Ring e forse i dibattiti più accesi si sono già consumati, ma ce n'è uno sempreverde che tiene impegnati i giocatori su forum e post social e che, per altro, troviamo sia appropriato affrontare proprio a distanza di tempo, almeno, abbastanza da aver concesso a chi legge o di aver finito il gioco... o aver gettato la spugna a partita inoltrata. L'avrete capito a questo punto: parliamo di accessibilità e difficoltà. L'ultima opera di FromSoftware, infatti, rispetta in pieno la tradizione dello studio di sviluppo giapponese, risultando essere ostico, complesso e per nulla accessibile.
Alcuni fra i fraintendimenti più comuni nel panorama videoludico sono legati all'accessibilità, dove le opzioni di accessibilità vengono confuse alcune volte con il concetto più ampio di accessibilità, intendendo quanto un titolo è avvicinabile dal pubblico di massa, o peggio ancora, quando l'accessibilità viene confusa con la difficoltà.
Questi tre elementi non sono la stessa cosa, eppure molto spesso vengono usati come sinonimi, come se fossero termini intercambiabili. Parliamo invece di opzioni e componenti ludiche che esercitano sull'esperienza finale del giocatore un'influenza totalmente diversa, e che solo raramente si intersecano. Un gioco, per intenderci, può essere contemporaneamente difficile e accessibile e, viceversa, inserire una easy mode in un gioco non lo rende automaticamente accessibile.
Seguiteci in questo speciale, nel quale parleremo di quanto sia importante distinguere difficoltà da accessibilità e del perché FromSoftware ha perso una grande occasione con Elden Ring.
Disambigua: accessibilità
Partiamo dalla terminologia, che purtroppo ci frega fin troppo spesso. Come dicevamo in apertura il più grande fraintendimento è usare l'accezione "accessibile" in modo improprio. Per accessibilità, che rimanda al termine inglese accesibility, si fa riferimento alle opzioni di accessibilità, attivabili attraverso i menù dei giochi e pensate per supportare i giocatori con disabilità o che necessitano di assistenza.
Convenzionalmente, parliamo di opzioni legate alla sfera audio-visiva (grandezza e contrasto dei sottotitoli, descrizione per non udenti, palette cromatiche e altre alterazioni dell'immagine per sopperire a una vista compromessa), alle quali si aggiungono sempre più spesso opzioni legate alla telecamera, all'aggancio e mira automatica negli shooter e rimappatura dei comandi. Accessibilità però viene usato, in modo non improprio, ma certamente confusionario, come sinonimo del termine inglese "approchable", che non ha una vera traduzione in italiano se non un non troppo corretto "approcciabile / abbordabile". Parliamo quindi della volontà di un titolo di essere chiaro, esplicativo e amichevole, sia nell'interfaccia di gioco che nella sua spiegazione, nei confronti del giocatore.
Volendo fare un paragone con il mondo boardgame, i giochi da tavolo hanno trovato una soluzione efficace per disambiguare tra accessibilità e accessibile, tenendo poi in conto che in questo ambito ludico le opzioni di accessibilità sono parte integrante del design del prodotto e non opzioni accessorie che possono essere attivate a piacimento. Per questo motivo, l'accessibilità rimanda sempre alla sfera di attenzioni legate all'abbattimento delle barriere ludiche, mentre "gateway" è il termine usato per descrivere un gioco introduttivo e "approcciabile" da chiunque. Come accade per i giochi da tavolo, anche nei videogiochi questa caratteristica ne rende certi ideali per giocatori non particolarmente avvezzi al mondo videoludico, diventando titoli di riferimento per neofiti, ma al contempo con una stratificazione tale da soddisfare anche i giocatori più incalliti. Solitamente più un gioco è accessibile, maggiori saranno coloro che potranno giocarlo ma non è detto che questa regola generale valga sempre: un The Last of Us Parte II, re dell'accessibilità, non è per tematiche e contenuti un gioco affrontabile da chiunque, visto il PEGI 18 riportato sulla confezione, che idealmente sconsiglia il prodotto a un pubblico con meno di 18 anni.
All'interno di questo discorso, si inserisce anche la difficoltà, elemento difficilmente standardizzabile all'interno di un videogioco poiché composta da numerose variabili. In una visione tradizionalista, quando si parla di difficoltà si fa riferimento alle classiche modalità di gioco; facile, intermedio, difficile (e spesso oltre il difficile), sono diciture immediate per creare una prima offerta volta a indirizzare il giocatore. A differenziare le diverse modalità è la modifica di determinati parametri su scala matematica come danni inflitti, punti salute recuperati dal giocatore, fino a variare aspetti più raffinati come l'intelligenza artificiale dei nemici. Non sempre però la difficoltà percepita dai giocatori risiede in questi semplici elementi: talvolta a rendere difficile un gioco è un'interfaccia dei menù poco chiara, un sistema di progressione narrativa non lineare, una mappa di gioco nella quale vengono dati pochi punti di riferimento. Ed è a questo punto della conversazione, quando le argomentazioni talvolta scricchiolano, che viene tirato in ballo un jolly fin troppo abusato: la libertà autoriale dello sviluppatore. È vero che molti degli elementi presenti in Elden Ring, e i suoi predecessori, sono frutto di una precisa visione artistica, ma non tutto può essere "scusato" dall'autorialità.
Autorialità e accessibilità
A tal proposito si sono esposti nelle settimane passate alcuni sviluppatori appartenenti a diversi studi. Su Twitter hanno sottolineato che se il loro team avesse prodotto un gioco come Elden Ring, il pubblico non sarebbe stato affatto clemente; ma, dato che stiamo parlando di FromSoftware, nelle valutazioni di Elden Ring sono stati fatti due pesi e due misure, sia da pubblico che critica. Partendo dal presupposto che esporsi pubblicamente in questi termini non mette in splendida luce gli "accusatori", non si può negare che su alcune delle osservazioni fatte, appellarsi all'autorialità non regge. In particolare il tweet di Ahmed Salama, ex DICE e ora UX Director in Ubisoft, pone l'accento sulla sua area di competenza, ovvero l'UX (User Experience), cioè il design delle componenti visive che permettono al gioco di "dialogare" con l'utente finale. Parliamo d'interfaccia di gioco, menù dell'inventario, opzioni e così via.
Su questo punto in particolare, Salama non ha tutti i torti ed è difficile nascondersi dietro a un dito: il menù di gioco di Elden Ring è obsoleto. Visivamente ridondante, graficamente poco accattivante e particolarmente scomodo da navigare; un piccolo miglioramento è stato introdotto grazie ad alcune legende richiamabili a schermo e un punto di menù che raccoglie tutti i suggerimenti di gioco, svolta epocale per un Souls di FromSoftware, la regola basilare di un qualsiasi altro prodotto. E come l'interfaccia, altre problematiche irrisolte vanno ad allungare questa lista, come la gestione di telecamera e puntamento totalmente selvaggia, le icone di stato spesso incomprensibili o i nemici che riescono a colpire il giocatore attraverso muri e altri impedimenti fisici... e viceversa.
È però l'assenza delle più basilari opzioni di accessibilità a rendere Elden Ring passibile di critica. Non solo l'ultima creatura di FromSoftware è poco incline all'essere user friendly, ma è manchevole delle più semplici opzioni di accessibilità, che nulla hanno a che vedere con l'autorialità artistica, come la dimensione dei sottotitoli, lo sfondo di contrasto degli stessi o la mappatura personalizzata dei comandi. E questo ovviamente è male. È altrettanto vero però che sarebbe inesatto generalizzare in materia di accessibilità: come detto, infatti, ci sono un certo numero di opzioni necessarie e valevoli per qualsiasi gioco, uno standard minimo ed essenziale che tutti i giochi devono implementare e altre di difficile integrazione.
Lo sviluppatore giapponese non è il solo a scontrarsi con questa criticità e spesso la complessità di un gioco è proporzionale alla quantità di opzioni di accessibilità che è possibile includere. Il mercato odierno in effetti dimostra come più un titolo risulta complesso più l'accessibilità viene trascurata. Riprendendo l'esempio di The Last of Us Parte 2, che rappresenta lo standard massimo dell'accessibilità nel mercato tripla A, abbiamo di fronte un titolo certamente rifinito ma dall'esperienza di gioco estremamente lineare: le meccaniche di gioco di The Last of Us Parte 2 non sono particolarmente complesse, l'esperienza di gioco è molto controllata, inoltre gli sviluppatori hanno più volte dichiarato che alcune impostazioni di accessibilità sono state pensate e aggiunte durante lo sviluppo del titolo e non implementate a posteriori. È legittimo quindi che non tutte le esigenze possano essere soddisfatte, e che, proprio in virtù di quella libertà autoriale menzionata prima, vengano prese delle difficili scelte dal team di sviluppo. Ci sono studi che sono riusciti a gestire bene la sfida, come Insomniac Games con Marvel's Spider-Man, e altri che hanno voltato le spalle all'accessibilità per preservare la propria visione.
Deathloop, ultima fatica di Arkane Lyon, risulta drammaticamente carente di opzioni di accessibilità e anche in questo caso vale il discorso fatto per Elden Ring. Se alcune lacune sono imperdonabili, punto e basta, altre vanno pesantemente in conflitto con scelte di design fatte dal team, come la gestione delle fonti sonore. Diversi giocatori disabili hanno lamentato un impianto audio molto poco accessibile in Deathloop, in particolare i dialoghi, ascoltabili soltanto se molto vicini alla fonte sonora e perfettamente direzionati verso la sorgente. Questa è assolutamente una scelta di design, dalla quale si evince la volontà dello sviluppatore di costringere il giocatore a rimanere molto vicino e concentrato sul bersaglio per carpire informazioni utili. Non nascondiamo che talvolta è spiacevole, quasi doloroso, constatare come giochi splendidi come Deathloop o Elden Ring non potranno essere giocati da alcuni per via di queste scelte di design, volte a preservare la visione piuttosto che privilegiare l'accessibilità... ma c'è una cosa che gli sviluppatori potrebbero fare per bilanciare l'esperienza di gioco.
Perché non posso giocare?
Appurato che non tutte le opzioni di accessibilità possono essere inserite all'interno di un gioco, vuoi per una questione di design, vuoi per processi interni di sviluppo, questo non esclude la possibilità di agire a posteriori, includendo dei semplici aiuti come facilitazioni o suggerimenti. Ed è qui che la difesa della libertà autoriale diventa particolarmente aggressiva, partorendo frasi del tipo "il gioco non è stato pensato così" oppure "è il giocatore che deve essere flessibile, non il gioco", fino ad arrivare a uscite davvero sconvenienti come "Basta imparare a giocare". Easy mode, god mode e altri parametri di gioco pesantemente rinforzati sembrano quasi un insulto per i cultori dei Souls, pensiero che ha creato nel tempo una sacca di resistenza (probabilmente più piccola di quanto appare, ma che sembra gigante visto il clamore generato) composta da giocatori che hanno tramutato il loro apprezzamento verso il livello di sfida proposto da FromSoftware in una sorta di classismo ludico. In questo bizzarro mondo esistono i giocatori capaci, meritevoli di accedere a ciò che i Miyazaki & Co. hanno creato, e quelli incapaci, che, grande disonore, rimangono bloccati perché non riescono a fronteggiare un nemico o un boss. "Git gud" (slang che arriva da "get good", "migliora"), motto che caratterizza da tempo i giochi di FromSoftware, ha mutato la sua accezione positiva e di incoraggiamento in una presa in giro con cui sbeffeggiare tutti i giocatori non degni di partecipare a questo (a quanto pare esclusivo) circolo degli eletti.
Riusciamo chiaramente a comprendere la difesa, quella fatta in termini e toni civili, di coloro che vedono nell'aggiunta di aiuti consistenti all'interno di Elden Ring una mutazione aliena del DNA FromSoftware, però al tempo stesso fatichiamo a capire come un'opzione aggiunta a posteriori, attivabile a discrezione del giocatore, possa sminuire la libertà autoriale dello sviluppatore. Del resto, ribaltando la prospettiva, ci sono giocatori che si auto impongono regole assurde per finire un Souls Like, come non usare armature, non aumentare il livello di esperienza del personaggio o non incrementare i danni delle armi; è una scelta che va a soddisfare un'esigenza specifica e non intacca l'esperienza altrui. Se possiamo immaginarla e realizzarla con una difficoltà "a salire", come mai non il contrario? Perché è vero che la soddisfazione e la gioia che Elden Ring è capace di regalare è davvero impagabile, impossibile da raggiungere se non si alza un po' il livello dell'asticella, però decidere a che livello posizionare l'asticella e assumerlo come livello assoluto non è né geniale né autoriale, è discriminatorio.
Eppure i compromessi esistono e, come spesso accade, è stato il mercato indipendente a mostrarcelo. Celeste è stato un titolo ampiamente elogiato per il suo livello sostenuto di difficoltà e contemporaneamente per la sua visione inclusiva; Supergiant non ha lesinato a difficoltà quando ha sviluppato Hades ma al tempo stesso non ha esitato nell'inserire una God Mode che va ad incrementare la resistenza di Zagreus a ogni sua morte, e il recente Tunic, posa la pietra tombale sul discorso. Come vi avevamo raccontato in un'intervista fatta al creatore Andrew Shouldice, lo sviluppatore ci ha raccontato di persona come per lui non esista gioia più grande del poter esultare per una vittoria sudatissima, e come il senso di avventura e sfida fossero il cuore pulsante di Tunic.
In quanto creatore del gioco Shouldice ha avuto il pieno controllo e diritto di decidere quanto il gioco dovesse essere impegnativo, ma al tempo stesso non poteva conoscere in anticipo le esigenze di tutti i giocatori, né tanto meno, aggiungiamo noi, permettersi di creare un impianto di accessibilità tale da soddisfare tutte le esigenze, visto che Tunic è stato sviluppato da una manciata di persone. Per Shouldice quindi l'obiettivo è sempre stato permettere a tutti di godersi il viaggio, di vivere il mondo di Tunic e d'impegnarsi nell'esplorazione, ma senza avere la presunzione di settare un livello unico di difficoltà, perché non tutti siamo uguali. Tunic quindi aggiunge due semplici opzioni accessorie: punti vita infiniti e stamina infiniti, attivabili e disattivabili a piacimento senza necessità di riavviare la partita.
Molti non riescono a prefigurarsi la problematica e i risvolti che questa ha, perché l'accessibilità nei videogiochi è qualcosa d'intangibile, eppure ha lo stesso impatto di qualcosa di concreto, come una barriera architettonica. Pensate a Elden Ring come un bellissimo palazzo, una costruzione meravigliosa e imponente con una facciata perfettamente progettata e un'imponente rampa di scalini per raggiungere l'ingresso, che rappresentano la difficoltà del gioco. La maggior parte delle persone percorrerà la scala e visiterà il palazzo, ma non tutti potranno o vorranno usare le scale. È vero che percorrere la lunga scalinata è la giusta fatica per godersi poi la bellezza sulla sommità (e per altro fare le scale è anche più salutare), ma la bravura di un architetto sta nel trovare il giusto compromesso tra le necessità del pubblico e la sua visione. Se la scalinata è stata infatti pensata in un certo modo, è legittimo che l'architetto voglia mantenerne aspetto e struttura, senza doverne cambiare tutto l'impianto introducendo una serie di rampe che andrebbero a snaturare l'essenza della costruzione. Allora perché non mettere un ascensore sull'entrata laterale? È nascosto e nessuno lo vede, chi vuole percorrere la scala è libero di farlo e la sua esperienza verrà totalmente preservata; nel frattempo però chi non può usare le scale, o chi l'ha trovato troppo impegnativo e a un certo punto è tornato indietro, arriverà comunque in cima, e godrà delle stesse bellezze che il palazzo ha da offrire. All'architetto non dovrebbe interessare il perché una persona sceglie le scale o l'ascensore, deve solo metterlo a disposizione del pubblico, trovando il giusto compromesso. E questo vale tanto per FromSoftware che per tutti gli altri team di sviluppo.
Accessibilità? Non me lo posso permettere
Come detto, prevedere una revisione dell'accessibilità a posteriori non è una cosa impossibile, e non serve nemmeno un team iper specializzato per farlo visto che sono accortezze che troviamo in giochi sviluppati da tante persone quante sono le dita di una mano (standard e non Cariana). Supponiamo quindi, perché non possiamo averne certezza, che la totale assenza di accessibilità di Elden Ring derivi da una mancata sensibilità dello sviluppatore. Una supposizione che deriva anzitutto dalle già menzionate opzioni di accessibilità basilari, non pervenute in Elden Ring. Per stringere ai minimi termini la cosa: se non ti viene in mente nemmeno di inserire la dimensione e contrasto dei sottotitoli nel tuo gioco (che per altro è stato localizzato solo attraverso i sottotitoli perché doppiato esclusivamente in inglese) allora è chiaro come l'accessibilità non sia il tuo focus primario, nemmeno lontanamente.
Ad influenzare il tutto poi c'è la granitica filosofia di Hidetaka Miyazaki, che poco dopo l'uscita del gioco si è scusato con i giocatori particolarmente frustrati dalla difficoltà di Elden Ring. La filosofia di Miyazaki non differisce molto da quella di Shouldice, ed è evidente come lo sviluppatore giapponese sia stato d'ispirazione al papà di Tunic, con la differenza che il secondo è riuscito a fare un passo in più nell'evoluzione del suo pensiero. Miyazaki ha dichiarato che il desiderio suo e del team è che "le persone percepiscano che la vittoria è un'impresa realizzabile", la difficoltà è "ciò che dà significato all'esperienza" e che FromSoftware non vuole abbandonare perché parte della sua identità. Una dichiarazione legittima, ma nostro avviso altrettanto arrogante, perché univoca e indiscutibile. Se FromSoftware non è disposta a fare marcia indietro sul fronte difficoltà, significa che probabilmente non è interessata a mettersi in discussione e affrontare quelle che sono le sensibilità del mercato contemporaneo. C'è chi è cresciuto a pane e arcade, sopravvivendo alla frustrazione di giochi mangia monetine ma è pur vero che la sensibilità della società cambia, e così anche le riflessioni che ruotano attorno ai prodotti d'intrattenimento.
Il fatto che Elden Ring sia stato forgiato a partire da una visione vecchia almeno dieci anni (facendo il conto a partire solo da Dark Souls), come può essere esclusivamente un vanto? Siamo tutti molto colpiti dalla resilienza del team ma tutte le cose prima o poi finiscono per puzzare di naftalina, anche le idee. E stupisce davvero molto questa linea dura, viste le incredibili meraviglie che il team ha tirato fuori in questo decennio: come possono le menti dietro a gioielli come Dark Souls, Bloodborne e lo stesso Elden Ring essere al contempo così reazionari su un elemento che, per altro, andrebbe ad ampliare il bacino di acquirenti anziché restringerlo?
La risposta probabilmente risiede nella natura e posizione che FromSoftware occupa nel mercato. Elden Ring rappresenta un momento di svolta per lo sviluppatore giapponese: è stato il momento dell'open world, del crafting, della monta e del personaggio che salta. Una finestra ottima per dichiarare al mondo di aver anche solo minimamente ripensato la loro filosofia, una finestra ovviamente mancata. La nomea di "quelli che fanno i giochi difficili" è ormai così impressa su FromSoftware da risultare probabilmente l'unica via percorribile, e un cambio di visione potrebbe rappresentare quasi un danno d'immagine. Inoltre, è probabile che lo sviluppatore non abbia nemmeno bisogno di ampliare il suo bacino d'utenza visto che ha, negli anni, fidelizzato così bene la sua fanbase da non sentire l'esigenza di aprirsi a nuovi giocatori, se non attraendoli, come nel caso di Elden Ring, con novità in termini di design ma non di accessibilità verso l'utente finale. Questa è probabilmente la differenza più grande tra lo sviluppatore giapponese e tutti gli altri team di sviluppo indie citati prima, dove l'accessibilità può fare la differenza per un titolo piccolo, ma non sposta minimamente l'ago della bilancia per FromSoftware, anzi, come detto, rischia paradossalmente di danneggiarlo.
Ciò che lascia più amareggiati è che la totale mancanza di sensibilità di FromSoftware sia ampiamente condivisa da pubblico e critica. Elden Ring ha collezionato una quantità impressionante di recensioni che rasentano l'eccellenza: raramente però giocatori e giornalisti che ne hanno tessuto le lodi si sono sbilanciati sul fattore accessibilità. Troviamo assolutamente legittimo che l'accessibilità possa non condizionare il voto finale di un titolo, e sarebbe molto ipocrita da parte di chi scrive contestare tali considerazioni, poiché in larga parte condivise (con novanta ore sulle spalle e il dispiacere di essere arrivati alla fine, dire che Elden Ring non sia piaciuto sarebbe davvero molto audace, ndr.), però mettere in discussione la visione di FromSoftware non rende né eretici né svaluta il lavoro fatto dallo sviluppatore. Ci vuole solo un po' più di sensibilità, vedremo se con il tempo Miyazaki cambierà idea e noi davvero lo speriamo perché, anche se non tutti possiamo goderci il viaggio alla stesso modo, nessuno meriterebbe di essere escluso dai meravigliosi mondi di FromSoftware.