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Elden Ring: come FromSoftware ha riscritto gli open world

Pur riprendendo canoni di difficoltà vecchia scuola, Elden Ring deve il successo alla sua straordinaria modernità e a come FromSoftware ha riscritto gli open world

SPECIALE di Francesco Serino   —   11/04/2022
Elden Ring
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Come la maggior parte di voi, anche io sono finito tra i gironi infernali di Elden Ring. Quello FromSoftware è capolavoro di razza, in grado di trasmettere emozioni uniche e, finalmente, avventure degne di questo nome.

Evolvendo la formula portata avanti dalla trilogia Dark Souls, Elden Ring dimostra che oggi più che mai i videogiochi hanno bisogno di un percorso di destrutturazione, andrebbero smontati pezzo per pezzo e liberati dai tanti inutili orpelli, aiuti e indicazioni che ne limitano il respiro e la profondità.

Non tutti i giochi devono essere criptici e silenziosi come questo, ma non ce n'è nessuno che non migliorerebbe ispirandosi più o meno a quanto offerto oggi dallo sviluppatore giapponese. Per questo, in questo speciale cercheremo di spiegare come FromSoftare abbia riscritto gli open world per Elden Ring.

Uno sforzo corale

Elden Ring: potrai anche sapere dove andare, ma non sarà mai facile arrivarci...
Elden Ring: potrai anche sapere dove andare, ma non sarà mai facile arrivarci...

Per certi versi è proprio la stessa magia che avvolge Zelda: Breath of The Wild, altr'avventura che riduce ai minimi termini quel che non è strettamente gameplay, lasciandoci liberi di leggere e manipolare il mondo di gioco a modo nostro, con i nostri tempi, utilizzando come bussola nient'altro che la nostra stessa curiosità. Libero da quest log chilometrici, lapalissiane frecce luminose e reminder di ogni tipo, proprio come i suoi illustri predecessori Elden Ring si trasforma in uno sforzo corale che coinvolge tutti i giocatori contemporaneamente. I consigli corrono su Youtube, le digressioni su Twitch, ma le chiacchiere e i confronti tra giocatori sono ovunque: su WhatsApp, Facebook, Instagram, Telegram, Reddit, nella mensa scolastica tra i tavoli degli studenti e probabilmente anche tra quelli dei professori. Come hai battuto quel boss e come sei arrivato su quell'altura? Hai provato a scendere invece che salire e a cosa serve quell'oggetto? Io alzerei un po' la tempra, ma per quella spada magica ti serve anche più intelligenza.

Una sfida di nuova generazione

Elden Ring: il gioco FromSoftware è un rebus da decodificare tutti insieme
Elden Ring: il gioco FromSoftware è un rebus da decodificare tutti insieme

In questo contesto, guardare un'altra persona giocare Elden Ring su Twitch non rovina il tuo gioco, anzi in certi casi ti può insegnare addirittura ad apprezzarlo meglio: al contrario di altre esperienze, nei giochi FromSoftware la sfida rimane intatta. In The Art of Game Design di Jesse Schell, libro fondamentale per iniziare a leggere più approfonditamente il medium videogioco, alcuni passaggi sono dedicati ai puzzle vecchio stile, oramai passati di moda perché in pochi istanti è possibile scoprirne la soluzione via Internet; diventa quindi necessario proporre sfide dove la soluzione da sola non basta, e la difficoltà rimanga perlopiù intatta anche sapendo cosa fare. Ed è esattamente quello che fa Elden Ring, non troppo lontano da quel che propone in alcune parti Zelda Breath of The Wild.

Streaming Generation

La formula dei cosiddetti "Souls", pur riprendendo ed evolvendo canoni di difficoltà vecchio stile, ha raggiunto il successo anche attraverso questa straordinaria affinità con il modernissimo streaming che invece altri generi li ha praticamente spazzati via (citofonare a The Order 1886). Botta di fortuna da parte di FromSoftware? Forse, ma solo in parte. I giochi di Hidetaka Miyazaki hanno sempre incentivato questo scambio d'idee, strategie e opinioni e la riprova ce la forniscono i fantasmi intermittenti degli altri giocatori, i messaggi che potremo leggere e scrivere, votare e disprezzare, all'interno del gioco. Quel che accade oggi fuori da Elden Ring, è una chiara estensione di quello che accade all'interno di Elden Ring.

Luna Park

Zelda Breath of the Wild: l'accoglienza unanime all'ultimo Zelda e le sue vendite stellari confermano che il gameplay vince sempre sulla tecnica
Zelda Breath of the Wild: l'accoglienza unanime all'ultimo Zelda e le sue vendite stellari confermano che il gameplay vince sempre sulla tecnica

Scherzando, ma non del tutto, Elden Ring potrebbe essere definito il primo gioco della serie "Post Sabaku no Maiku", in grado di andare oltre quel pubblico di hardcore gamer, sovrapponibile a quello del popolare divulgatore, che lo ha supportato fino a oggi. Elden Ring non è un gioco per masochisti, come spesso venivano tacciati di essere i precedenti "Souls", ma un'avventura per chi cerca esperienze più viscerali e impegnative di quelle solitamente proposte negli ultimi dieci anni, contraddistinti da una ricerca spasmodica all'accessibilità che ha finito per cancellare i tratti unici e preziosi di un videogioco. Nessuno vuole rinnegare le esperienze più cinematografiche e standardizzate, ma i numeri fatti registrare da Elden Ring oggi, e Breath of the Wild ieri, ci dicono che c'è un'enorme fascia di pubblico oramai saturo di questi grandi e coloratissimi Luna Park.

La giostra delle missioni

Disneyland: i videogiochi devono un bel po' di riconoscenza al mitico Walt Disney
Disneyland: i videogiochi devono un bel po' di riconoscenza al mitico Walt Disney

Scott Roger, un veterano dell'industria dei videogiochi che ha lavorato per chiunque e in dozzine di ruoli diversi, intitolò la sua lezione tenuta alla Game Developers Conference del 2013 "Tutto quel che so sul level design, lo so grazie a Disneyland". Ma Rogers non è l'unico visto che tutti i videogiochi, e non solo gli open world da classifica, sono costruiti come un parco a tema, da cui riprendono anche la suddivisione in biomi. Sia chiaro, non c'è davvero nulla di sbagliato nel prendere ispirazione dalle perfette dinamiche che regolano quel che accade nei migliori parchi dei divertimenti del mondo, ma portato all'estremo tale approccio richiede ingenti investimenti per un minutaggio di gameplay piuttosto risibile. Inoltre, e questo è il problema più grave, la scelta più estrema ma sempre più comune implica che anche le missioni siamo strutturate come attrazioni, limitandone lo scopo e la rigiocabilità.

Questa deriva venne accolta inizialmente in modo trionfale dal pubblico, è proprio con questi ingredienti che World of Warcraft rivoluzionò gli MMO proiettandoli in un futuro dove però, ironicamente, l'aspetto più avveniristico del genere, l'impianto da odierno metaverso, venne meno, in favore di missioni sempre più strutturate e accessibilità sempre più invasiva.

Sconfiggere i nemici, non il gioco

Demon's Souls: la magia del primo 'Souls' è rimasta intatta, ma il gameplay mostra tutti i suoi anni
Demon's Souls: la magia del primo "Souls" è rimasta intatta, ma il gameplay mostra tutti i suoi anni

L'accessibilità è una parte importante di un videogame e FromSoftware deve ancora migliorare molto da questo punto di vista, ciò non ha però nulla a che vedere con il gameplay di un gioco che può benissimo continuare a essere enigmatico quanto vuole, a patto che dia al pubblico gli strumenti per venirne a capo. L'utente deve combattere con il ricco bestiario offerto dal gioco e non direttamente con il gioco, cosa che invece accade anche in Elden Ring. FromSoftware non ha avuto comunque paura di eliminare dal suo ultimo gioco alcune tipiche caratteristiche della serie oramai logore: anche se alcuni veterani non lo ammetteranno mai, non aveva davvero più senso, di conseguenza nemmeno era più divertente, ripetere lunghissime porzioni di livello solo per affrontare di nuovo lo stesso boss. Era una logica controproducente che demotivava la stragrande maggioranza di chi acquistava il prodotto, mettendo a dura prova non le abilità ma la pazienza del giocatore.

Idee che invecchiano

L'open world di Elden Ring serve proprio a fornire un'alternativa a quelle caratteristiche dei Souls che nel frattempo si stavano rivelando una zavorra, così la grande mappa offerta è stata sfruttata per moltiplicare quelli che un tempi venivano chiamati falò, affiancati ora a delle statue che funzionano esattamente come checkpoint momentanei. Diversamente, negli interni di alcune location chiave è possibile ritrovare un ritmo più classico fatto di tentativi, strade sbagliate e nemici che ti dilaniano a un passo dalla scorciatoia. Ma l'aspetto più importante di questo nuovo open world è la libertà offerta ai giocatori, e alle innumerevoli alternative a uno scontro ancora troppo difficile. In Bloodborne se non riuscivi a battere un boss non potevi fare nient'altro che riprovarci, andando magari a farmare un po' di anime, in Elden Ring puoi occuparti di altro, magari anche di zone più difficili eppure più nelle tue corde o meglio, di quelle della tua build, del tuo personaggio.

Scegli la tua sfida

Elden RIng: l'ermetismo di Elden Ring non è un aspetto fondamentale del suo successo. Una trama più ricca non lo danneggerebbe, ma darcene una spetta ad altri giochi
Elden RIng: l'ermetismo di Elden Ring non è un aspetto fondamentale del suo successo. Una trama più ricca non lo danneggerebbe, ma darcene una spetta ad altri giochi

In Elden Ring hai sempre un'alternativa, e probabilmente per l' intera avventura non avrai mai bisogno di un farming fine a se stesso, quindi slegato da nuovi interessanti contenuti, nuove eccitante scoperte.

L'effetto sorpresa è continuo, addirittura estenuante visto che ogni zona introduce nuovi nemici e nuove trappole. Anche se alcuni elementi si ripetono, ma con una logica e non certo per risparmiare tempo e soldi, le variabili che verranno introdotte a ogni incontro/scontro sono sempre sufficienti a tenerti sulle spine, a farti dubitare di te e del tuo alter-ego.

Il risultato di quanto descritto in questi oramai settemila e passa caratteri, è un gioco che ti fa sentire il peso dell'avventura anche quando non ci sono di mezzo nemici, un gioco dove anche un innocuo sentiero mai battuto prima ti fa provare emozioni da fine livello. Ce n'è uno di sentiero, lunghissimo, che si inerpica al fianco del primo castello e che permette di raggiungere prima del tempo la zona più a nord, dove abbiamo provato emozioni uniche, indimenticabili.

Per l'intero tragitto nessun nemico, ma una sequela infinita di messaggi lasciati dai giocatori che promettevano morte e tesori a ogni passo. Una tensione, resa più pungente dalla penuria di pozioni curative, culminata poi in un grande successo personale e nuove lande magiche da visitare.

Sopravvivere senza quest

Horizon Forbidden West: è normale che ci siano utenti che preferiscano open world più rilassanti e prevedibili, ma anche giochi come Horizon beneficerebbero di una struttura più asciutta e gameplay oriented
Horizon Forbidden West: è normale che ci siano utenti che preferiscano open world più rilassanti e prevedibili, ma anche giochi come Horizon beneficerebbero di una struttura più asciutta e gameplay oriented

Se l'esplorazione stessa può darti emozioni tanto vivide, cominci a chiederti se c'è davvero questo bisogno di missioni classiche sparse in ogni dove. Domanda retorica perché la risposta è scontata, ed è un no, non ne abbiamo bisogno, ma che non vuol dire non volerne nemmeno una: le missioni piacciono a tutti, ma non possono essere l'unico elemento che spinga all'esplorazione, sempre se questa è presente. Perché chiamare esplorazione il semplice fatto di rendere visibile la mappa, camminandoci dentro la prima volta, sarebbe quantomeno azzardato. Non a caso oramai ti riempiono di gadget per saettare da un punto all'altro della mappa sempre più velocemente, e lo fanno perché sono ben coscienti che lo spostamento in sé, in moltissimi giochi, non ha più nessun peso ludico.

Come l'arrampicata d'altronde... ci arrampichiamo ore e ore in questi open world, ma cosa rischiamo davvero? Cosa abbiamo in cambio, che tipo di gratificazione è quella che arriva dallo spingere una leva in una direzione? In Elden Ring non c'è nemmeno l'animazione della scalata, eppure in più di un'occasione la verticalità può giocare un ruolo fondamentale, e ben più emozionante e risolutivo di tutte le vette presenti in Forbidden West, che rimane un gioco a suo modo eccezionale anche se soprattutto per i motivi sbagliati.

Massima spesa, minimo rendimento

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Gli open world Sony, diversi da quelli Ubisoft a cui oramai interessa relativamente l'eccellenza, provano a offrire le stesse emozioni di Elden Ring e Breath of The Wild, lavorando sempre meno sul gameplay e sempre più sull'aspetto più cinematografico. Senza discutere della qualità di questi giochi, dal punto di visto produttivo è chiaro che i PlayStation Studios spendono tantissimo per minuto d'intrattenimento offerto perché dipendono soprattutto dalla grafica, dai dialoghi, da un'ambientazione che deve essere sempre e comunque accompagnata da quei livelli cinematografici indispensabili per riempire un gameplay che, oltre al combat system, non introduce cambiamenti sostanziali da fin troppi anni, limitandosi a raffinare una formula sempre più snella, veloce, edulcorata. Perfetta per un tipo di pubblico che non vuole altro che quello, ma assolutamente da non scambiare come la forma più alta di videogioco, perché vorrebbe dire limitare quel che un videogioco può arrivare a offrire.

Gigantismo pericoloso

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Oggi Elden Ring, ieri Zelda Breath of the Wild, GTA, a modo suo Death Stranding e tanti altri in passato, ognuno con il suo peculiare approccio, hanno sfruttato le loro rispettive mappe di gioco per essere liberi di fare quel che non avrebbero potuto realizzare diversamente; mentre per altri, oramai, l'open world sempre e comunque si è chiaramente trasformato in una prigione, uno schema da ripetere in altre tonalità. E lo schema è sempre più meccanico, prevedibile, e spesso e volentieri riempito solo per un terzo di vero gameplay.

Assassin's Creed Valhalla è meraviglioso le prime venti ore di gioco, effettivamente lo sono tutti gli open world ed è per questo che ti fregano sempre, ci speri ogni volta e invece. E invece Valhalla, come la stragrande maggioranza degli open world, a un certo punto smette di crescere, si vede chiaramente che dal punto di vista ludico ha già detto tutto e quel che rimane da fare è quel che hai già fatto già abbastanza. Vai avanti per la trama, forse, ma questa finta immensità è solo uno dei grandi inganni per tenere in piedi un sistema già da tempo messo in discussione, persino dagli stessi protagonisti e non solo da qualche pazzo su Multiplayer.it.

La chimera del gioco per tutti

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E ora vediamo cosa accadrà con il nuovo, e appena annunciato, Tomb Raider. È da quando la serie è finita tra le mani di Square Enix che viene commesso lo stesso errore, e ogni volta dobbiamo sorbirci le lamentele sulle vendite dei dirigenti, come i borbottii dei fan che danno la colpa a gente a caso per il mancato supporto. Tomb Raider è un'altra vittima dell'open world obbligatorio: non solo non ne avrebbe bisogno, ma ne realizza la più pallida delle imitazioni. Vuoi fare un open world di Tomb Raider? Nessun problema ma prima di tutto restituiamo un'anima al gioco di Toby Guard, smettiamola di fare cinema che con quei dialoghi lontano non si arriva, e torniamo ad esplorare tombe, magari enormi e interconnesse, anche open world ma tombe, da decodificare, da temere, da esplorare davvero e non fatte per correrci dentro. Dove ogni chilometro è una conquista, ogni stanza una sorpresa, e la longevità è data dall'intensità della scalata e non dalle chiacchiere delle guide alpine. E se qualcuno non arriva in cima? Avrà comunque vissuto un'avventura irripetibile, invece che la solita passeggiata standard, come se comprando un gioco dobbiate automaticamente avere il diritto di finirlo, completarlo al 200%.

È proprio cosi che e morto il senso dell'avventura. Ma qualcosa sta cambiando...