Un prete condannato a morte. Una terra piagata dalla malattia e da creature demoniache. Sangue e violenza in una grafica volutamente rétro per un FPS che omaggia il passato senza perdere sé stesso. Sono questi gli ingredienti principali di Graven, sparatutto in prima persona ispirato a Hexen (in particolare a Hexen II) e sviluppato da Slipgate Ironworks, recentemente all'opera su Ghostrunner: un gioco che non potrebbe essere più agli antipodi rispetto al percorso di vendetta e giustizia intrapreso dal cyber ninja Jack, tanto nella grafica quanto nelle atmosfere, ma il suo potenziale lo aiuta a distinguersi di per sé, senza aggrapparsi a quelle glorie passate da cui trae ispirazione.
Ci siamo lasciati avvolgere per qualche ora dai toni lugubri che l'ambientazione dark fantasy si porta appresso, redimendo con le maniere forti un luogo ormai senza speranza mentre cerchiamo risposte su nostra figlia. Dobbiamo ammettere che, nonostante le buonissime premesse e alcuni aspetti molto validi, Graven è un gioco che ancora necessita di parecchie rifiniture: se dovesse essere sfuggito ai vostri radar, però, il nostro provato di Graven è l'occasione giusta per imparare a conoscerlo meglio.
Benvenuti a Cruxfirth
Non sarebbe un dark fantasy se non ci fosse un po' di tragedia alla base della nostra avventura: in un video introduttivo molto ben realizzato e raccontato attraverso illustrazioni, Graven spiega che il protagonista è un prete condannato all'esilio: la sua colpa è aver ucciso un altro prete per salvare la figlia, scelta per essere utilizzata come sacrificio.
Mandato, in buona sostanza, a morire in un deserto del quale non si conosce la fine, l'uomo cede all'insolazione, alla fame e alla sete. Tuttavia quando si sveglia si ritrova a bordo di una barca mentre percorre una misteriosa palude. Non possiamo negare che la situazione sembra richiamare il momento in cui Caronte traghetta le anime nell'aldilà (il traghettatore in fondo non manca, però è piuttosto ciarliero), quindi potremmo di fatto essere morti; per il momento il gioco ruota attorno a questo dubbio - d'altronde, com'è possibile essere passati dal deserto sconfinato a un paesaggio che, a prescindere dalla miseria che vi si respira, non potrebbe essere più all'opposto?
Il nostro accompagnatore ci lascia al molo di una cittadina, rimanendo enigmatico sulla situazione ma lasciandoci un bastone e un libro di incantesimi per intraprendere l'unica via possibile: quella dell'eroe che cercherà di distruggere il male annidato a Cruxfirth, cercando inoltre risposte su cosa gli sia davvero accaduto.
Se c'è un aspetto che colpisce di Graven è proprio l'estetica. La cittadina, se così la si può definire, dove inizia il nostro viaggio è quanto di più angosciante possiamo pensare: circondata da paludi, è caduta vittima di un'epidemia che ha trasformato gran parte degli abitanti in non morti obbligando chi ancora resiste a una devastante sopravvivenza. Ovunque si guardi, ci sono pile di corpi che testimoniano la gravità della situazione e dalle poche case ancora occupate si levano lamenti cupi, mentre tutto attorno a Cruxfirth è caduto in rovina diventando dimora di non morti, mostri e ovviamente altri cadaveri a fare da arredo.
Basta un'occhiata per capire che Graven incarna il dark fantasy, offrendo una convincente atmosfera macabra, malsana e disperata; il tutto accentuato dalla grafica volutamente rétro, impreziosita però da effetti di luce più moderni. La disperazione che il gioco trasuda, al punto da farvela sentire addosso come una patina vischiosa e soffocante, è tra i suoi più grandi pregi.
Un FPS con qualche aggiunta qui e lì
Graven è, come già anticipato, un FPS. Va detto che ora come ora viene posta maggiore enfasi sul combattimento corpo a corpo, ma non preoccupatevi, le armi a lunga gittata hanno comunque la loro parte nell'economia del gioco - è solo che a volte è più pratico tranciare arti e teste armati di spada, tutto qui. A dispetto di qualche leggero elemento GdR, come la gestione dell'inventario, il diario in cui si tiene traccia delle missioni e qualche dialogo piuttosto rudimentale, il suo genere principale è chiaramente lo sparatutto in prima persona. Molto interessante il fatto che Cruxfirth sia il nostro hub principale, da cui partire e al quale tornare nel nostro andirivieni: in un accenno di metroidvania, non è raro dover tornare a luoghi visitati in precedenza per scoprire nuove aree o passaggi ora accessibili grazie ai poteri acquisiti altrove.
Missione dopo missione, scaveremo sempre più a fondo negli orrori di questa terra, agevolandoci il percorso grazie a un level design molto ben strutturato che attraverso scorciatoie e passaggi interconnessi rende il tutto un'unica grande mappa. Non avere inoltre l'indicatore dell'obiettivo, ma solo le osservazioni nel diario come indizio verso dove andare e cosa fare, è un altro punto a favore dell'esperienza: ne emerge un'esplorazione più genuina, con una mappa che si costruisce a mano a mano e richiede uno sforzo di memoria per ricordarsi dove andare quando si tratta di tornare sui nostri passi in cerca della prossima meta. Tra atmosfere e level design siamo a ottimi livelli, peccato che il gameplay faccia un po' lo sgambetto a questi due elementi, non presentandosi per adesso molto brillante. C'è margine per migliorare.
Game design ancora acerbo
La sorpresa maggiore è stata scoprire che il gioco non mette in scena meccaniche, o concetti, in grado di intrecciarsi con gli altri: ciascuno lavora per conto proprio ed è presentato in modo così semplicistico che il coinvolgimento di cui abbiamo parlato a inizio articolo è retto, principalmente, da estetica e level design. Vogliamo andare avanti per saperne di più, scoprire un nuovo segreto o vedere con i nostri occhi fin dove si spinge la miseria di Cruxfirth e dei suoi dintorni, ma nel farlo ci sentiamo raramente in pericolo: passati i primissimi minuti per prendere la mano, i nemici risultano lentissimi e scontati quando si tratta di non morti, prevedibili nel caso di alcune creature a quattro zampe non meglio definibili (tranne quando saltano coprendo una distanza esageratamente ridicola, come lo è la loro animazione in quel frangente), appena appena fastidiosi quelli volanti che sputano acido.
Persino prima di trovare o comprare la spada, armati solo del nostro fido bastone e di una balestra da polso facevamo stragi senza troppo sforzo. Una volta impugnato del solido ferro, non c'è stata mostruosità che non sia stata fatta a pezzi senza la minima fatica, persino quando si arriva ad affrontare scheletri guerrieri e un'altra tipologia di nemici difficile da inquadrare, una sorta di vampiro assassino con la passione per le armi da lancio. Nessuno ha mai rappresentato una vera sfida.
Arrivati a questo punto, uno si chiede a cosa possa servire la magia. Fosse anche solo per divertimento l'avremmo usata volentieri, a prescindere dalla sua effettiva utilità contro nemici poco coinvolgenti, il problema è che l'unica per ora a disposizione non è offensiva: pur imparando un incantesimo di fuoco, questo si limita a essere utile per accendere qualche falò e occasionalmente sfruttare i barili esplosivi per distruggere i dintorni, raccogliendo più facilmente il bottino. Non è mai capitato che potessimo sfruttarlo in battaglia, perché non parliamo di una magia a lungo raggio bensì di una semplice fiammella che, appunto, o fa da innesco o accende una fonte di luce nei paraggi. L'uso sinergico di incantesimi e ambiente per sconfiggere le creature con un pizzico di ingegno, com'è stato promesso dagli sviluppatori, non è al momento pervenuto e la magia è ridotta davvero all'osso: speriamo che il lungo periodo di Early Access porti i cambiamenti necessari affinché il combattimento si senta più partecipativo, non un semplice menar fendenti senza preoccuparsi troppo di essere uccisi.
A proposito di morire, un altro aspetto che pesa in negativo sul gameplay è il sistema di salvataggio: strutturato a checkpoint distribuiti con una certa generosità, ci permette il respawn in loco, ma lascia la situazione esattamente com'era alla nostra morte. Nemici uccisi, oggetti raccolti e in generale qualunque progresso fatto viene mantenuto; non è, insomma, prevista alcuna penalizzazione di sorta.
Se questa scelta ha senso per la modalità cooperativa che Graven promette di avere in futuro, è assolutamente illogica per quanto riguarda il single player: così facendo viene a mancare non solo il senso di sfida, anche il concetto stesso di rischio/ricompensa e, da ultimo, non viene valorizzato un approccio cauto e ragionato come quello che abbiamo mantenuto noi tutto il tempo. A cosa serve curarsi o usare il minimo di strategia per affrontare i nemici, se morendo non veniamo puniti in nessun modo?
Ecco quindi che Graven perde mordente nel momento in cui, con un comparto grafico e un level design assolutamente ben pensati, scivola lì dove avrebbe dovuto intrigare di più: se persino la morte è una formalità, qual è il senso di vagare in queste terre maledette e, teoricamente, pericolose?
Allo stato attuale, Graven è un gioco che non sembra aver chiaro cosa voglia fare: se l'estetica e il level design promettono, o quantomeno danno l'idea di un gioco coinvolgente per atmosfere e complesso nella struttura, il gameplay effettivo tradisce queste aspettative. Le sue meccaniche sono sia semplicistiche sia mal congegnate, creando un'esperienza insipida e poco interessante: siamo di fronte per ora a un potenziale sprecato ma la strada è ancora lunga, ci sono tutti i margini perché alla fine ne esca un gioco davvero meritevole di essere il seguito spirituale di Hexen.
CERTEZZE
- Atmosfera dark fantasy azzeccatissima
- Level design ben strutturato e funzionale
DUBBI
- Gameplay insipido, semplicistico e poco coinvolgente
- Il sistema di salvataggio toglie qualunque senso di sfida