I gesti sono una parte fondamentale delle interazioni comunicative che svolgiamo quotidianamente. I nostri movimenti, spesso, dicono più di quanto non riescano le parole, anche perché molti sono universalmente riconosciuti. Non è un caso se, quando ci si trova in un paese lontano dalle proprie conoscenze culturali, lo scambio di informazioni con individualità "altre" avvenga principalmente attraverso gesti impacciati e timidamente accennati (a causa della scarsa fiducia riguardo la possibile comprensione delle proprie necessità mediante il solo linguaggio del corpo).
Tuttavia, come riportato da Albert Mehrabian (uno dei primi studiosi a essersi interessato ai messaggi verbali e non verbali messi in atto durante gli atti comunicativi), ciò che recepiamo o decodifichiamo quando notiamo che i tre elementi fondanti della comunicazione (linguaggio del corpo, voce e parole) non coincidono deriva per il 7% dai termini utilizzati, mentre per il 93% dal misto tra tono della voce e movimenti.
La cinesica (la scienza che studia proprio questi gesti) è, quindi, rilevante tanto (se non più) degli altri quattro codici che compongono la comunicazione interpersonale (ovvero linguistici, paralinguistici, prossemici e aptici). L'universalità e il fascino che lega alcuni gesti a culture anche molto distanti tra loro trova radici in un passato remoto, in parte dimenticato o, meglio, dissoltosi nel vasto oceano umano che ha avuto origine dai popoli proto-indoeuropei. Così, riusciamo a trovare un'importanza attribuita al legame tra parole e movimenti che supera barriere socio-culturali a prima vista inconciliabili (basti pensare alla congiunzione delle mani e alla ripetizione di sequenze verbali codificate, processi associabili a diversi riti religiosi sparsi per il mondo).
Quest'oggi vogliamo soffermarci proprio sull'importanza spirituale e "mistica" attribuita a tali gesti, mostrando come la loro importanza sia riuscita ad arrivare anche all'interno del mondo videoludico. In particolare, andremo a esaminare più da vicino il kuji kiri, l'arte dei gesti presente in Ghostwire Tokyo.
La storia del kuji kiri
La pratica del kuji kiri, pur essendo oggi associata a una tradizione di matrice giapponese, trova le sue radici (come molti degli influssi pervenuti alla formazione delle culture orientali) in India. Il posizionamento delle mani (mudra) di matrice buddista è stato poi assorbito dal Qi Gong sul territorio cinese. Questo incontro ha dato il via a una mescolanza tra i mudra indiani e alcune formule della magia rituale taoista, che hanno portato alla creazione dei kuji in (il sistema che lega determinati mudra a dei mantra composti da nove sillabe o caratteri, i kuji) e dei relativi kuji kiri (ovvero i "tagli" dei nove caratteri).
Sul limitare dell'anno mille, tali pratiche raggiunsero anche le coste del Giappone grazie al famoso monaco Kukai, fondatore della scuola del buddismo Shingon. Da qui si crearono due linee di pensiero differenti, quella dei Mikkyo kuji (seguita dai seguaci della scuola Shingon), di tipo religioso, e quella dei Ninja kuji (attuato sia nel contesto del ninjutsu, sia nella tradizione bushi), di tipo militare. I primi erano dedicati al debellamento dell'ignoranza e delle illusioni in modo tale da riuscire a trovare la propria realizzazione e la conseguente via verso l'illuminazione; i secondi, invece, si credeva portassero giovamento sul campo di battaglia, ad esempio bloccando l'attacco di un nemico.
Il kuji kiri e Ghostwire Tokyo
La pratica del kuji kiri si svolge mediante nove "tagli" (cinque orizzontali e quattro verticali per gli uomini; quattro orizzontali e cinque verticali per le donne) nell'aria o sul palmo della mano con un dito, oppure su un foglio di carta utilizzando un pennello. Tralasciando gli ultimi due casi, questi tagli seguono un ordine ben preciso (secondo un testo dal titolo Dai Marishi-Ten hiju/大摩利子天秘授), dettato da nove gesti e altrettante sillabe: rin, toh, retsu, zen (tagli orizzontali) e pyo, sha, jin, zai (tagli verticali). Riprendendo dal sistema Mikkyo dello Shingon<, generalmente tale pratica è associata, oltre che alla tradizionale sconfitta dell'ignoranza scaturita dall'illusione (Maya) tramite la "Spada della Saggezza", anche a un rito di protezione dalle influenze demoniache, spesso attuato usufruendo di testi o immagini così da andare ad agire direttamente su ciò che si vuole proteggere (o da cui si vuole essere protetti).
Niente di più calzante, quindi, per un videogioco ambientato in una Tokyo colpita da una misteriosa calamità soprannaturale che ha portato spiriti di ogni tipo a vagare per le strade della città.
Il team di Ghostwire Tokyo ha deciso di rendere centrale l'utilizzo dei kuji, facendo incontrare la tradizione spirituale con la frenesia di un gioco d'azione. Ispirandosi proprio alla pratica del kuji kiri, il Combat Director Shinichiro Hara (colui a cui dobbiamo le "Glory Kill" del reboot di Doom) e la sua squadra tecnica hanno espanso tali gesti in modo tale da creare un sistema di combattimento basato sulle combo, capace sia di soddisfare le reattive necessità del giocatore, sia di apparire spettacolare, andando ad aggiungere tutta una serie di effetti visivi contestuali.
Volevamo che il giocatore si sentisse come un [...] esorcista ninja tecnologicamente avanzato che sconfigge un'infinità di spiriti malvagi. Per fare ciò, abbiamo scelto di utilizzare come arma primaria intricati e deliberati gesti delle mani, invece di semplici pistole. Al contrario di queste ultime, i nostri gesti ci hanno permesso di introdurre molta più dinamicità e personalità nelle azioni del giocatore, in quanto le sue mani sono estensioni organiche di quelle del personaggio. Questo sistema è peculiare di Ghostwire Tokyo. È "il karate incontra la magia". Spesso, gli incantatori hanno la reputazione di non essere fisicamente forti. Non è il caso di Ghostwire. In Ghostwire, evochi magie con movimenti di arti marziali.
Andando a richiamare i kuji nel loro insieme più vasto, facendo riferimento anche alla valenza attribuita alle mani (la sinistra è ricettiva, mentre la destra è emissiva), il team di Ghostwire Tokyo ha evidentemente dato molta rilevanza all'adattamento di tali pratiche alle meccaniche della loro opera videoludica. Non sappiamo ancora quale sarà il risultato di questo miscuglio tra tradizione e modernità, ma fa comunque piacere vedere come il mondo dei videogiochi cerchi costantemente un dialogo che vada a interpellare non solo le nuove generazioni della società di riferimento, ma anche un più vasto panorama interculturale.
Ghostwire Tokyo uscirà su PS5 e PC il prossimo 25 marzo. Siete ansiosi di provare il nuovo titolo di Tango Gameworks o non è proprio nelle vostre corde? Fatecelo sapere nei commenti.