La carriera di Shigeru Miyamoto può essere scissa in varie fasi. Quella generale d'introduzione all'azienda sotto il maestro - così definito da Shigeru in persona - Gunpei Yokoi, seguita dalla rapida ascesa nel team di Yokoi stesso (R&D1) attraverso la deflagrazione di Donkey Kong. Ci riferiamo all'arcade originale (1981), che in un certo senso è stato il Big Bang (posto che di Big Bang si possa ancora parlare) di ciò che intendiamo oggi quando pronunciamo e leggiamo Nintendo.
Da lì è stato organizzato - grazie alla fiducia di Hiroshi Yamauchi, il presidente dell'epoca - un team apposito per le sue creazioni, R&D4, di cui Miyamoto sarebbe presto divenuto capo, e questa è l'era della cosmogonia dell'universo Nintendo, nonché delle opere dirette in prima persona, sempre aiutato dal triangolo d'oro dell'azienda, composto dal braccio destro Tezuka e dal programmatore Nakago. Durante questa fase, per citare i più famosi, nascono Super Mario Bros. (settembre 1985) e The Legend of Zelda (febbraio 1986).
La carriera di Miyamoto
In era SNES Miyamoto diventa producer, quindi tende a supervisionare ogni singola opera generata da R&D4, che nel frattempo cambia nome in EAD: all'interno dell'azienda c'è ancora molta rivalità tra i team interni, situazione che sarebbe perdurata fino alla nascita di Nintendo 64, in cui sostanzialmente ad occuparsi della console, e delle creazioni tridimensionali, è soltanto la divisione di Miyamoto - con le altre, eredi dirette di Yokoi, a focalizzarsi sui portatili. In questa fase Shigeru ritorna per due volte a dirigere progetti personalmente, vista l'importanza assoluta degli stessi: Super Mario 64 e The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Il ruolo di producer - coinvolto da vicino nello sviluppo - perdura per tutta l'era GameCube, e tende a sfumarsi all'inizio di quella Wii, in cui si allontana sempre di più dal plasmare di propria mano i videogiochi, divenendo supervisore. Ha ancora delle intuizioni che portano alla genesi di nuove opere, come Wii Fit, ma non le scolpisce più in prima persona.
In epoca Wii U Miyamoto, che ormai si sente sicuro di aver cementificato un "metodo", e si fida di coloro che ha designato come eredi (Koizumi e Aonuma in particolare), lavora a stretto contatto coi giovani. L'esempio più lampante è Splatoon, in cui accoglie Tsubasa Sakaguchi e compagnia: li guida, da "vecchio maestro" e leggenda vivente qual è, nella creazione del fortunato shooter Nintendo. A questo punto succede un evento disgraziato: muore Satoru Iwata. Miyamoto è costretto ad abbandonare il suoi lavori coi giovani per accollarsi maggiori responsabilità dirigenziali e manageriali. Dopo l'assestamento, in cui fa da perno al transitorio presidente Kimishima, e durante e dopo l'arrivo di Furukawa, Miyamoto va ad occuparsi di un nuovo territorio: esportare i suoi mondi, e quelli Nintendo, fuori dall'universo natio, verso il cinema e i parchi d'intrattenimento, assicurandosi che non ne venga snaturata l'essenza. Super Mario Bros. Il Film è qui a dimostrarne il sempiterno ruolo di Re Mida.
In questa carriera piuttosto lineare, di graduale mutazione e avanzamento di ruolo - tipicamente nipponico - ci sono due eccezioni. Due saghe che, pur non più da direttore, ha creato e supervisionato da vicino nel tempo. La prima è Star Fox, ideato in era SNES, che in un certo senso è anche considerabile - nell'episodio di Star Fox Zero - il "suo" (per ora) ultimo gioco. La seconda, e scusate il lungo preambolo, è proprio Pikmin.
La genesi di Pikmin
Escludendo le saghe che esulano dal gaming tradizionale, come Wii Fit e Wii Music, Pikmin è l'ultima serie ideata da Shigeru Miyamoto. Leggenda vuole che, qualche anno prima di iniziare il concreto sviluppo di Project Dolphin, poi divenuto GameCube, il maestro nipponico stesse rilassandosi nel proprio giardino, magari dondolandosi sull'amaca, quando vide passare, spaparanzato a pancia in giù, un'ordinata fila di operose formiche, intente a trasportare qualcosa. Ora, non essendo Shigeru Miyamoto, la maggior parte di noi non farebbe altro che ammirare la natura (probabilmente nemmeno quello), e i pochi a cui questa visione avrebbe scaturito un'idea originale difficilmente avrebbero avuto il potere di concretizzarla. Invece lui è Shigeru Miyamoto, ideatore di Donkey Kong, Mario e Zelda, e osservando quelle formiche ha un'epifania: a differenza di molti, lui è il principale creativo di una delle più importanti aziende di una milionaria industria internazionale, ha appena diretto due capolavori che hanno gettato le basi del gaming tridimensionale, e di solito la gente tende - chissà perché - ad assecondarne le pulsioni creative.
GameCube esce nel settembre 2001, assieme a Luigi's Mansion e Wave Race: Blue Storm; tuttavia il gioco di lancio più atteso è previsto in Giappone per l'ottobre 2001, e si chiama proprio Pikmin. Presentato e divulgato come "creazione di Miyamoto", diretto in realtà da Abe e Hino, ma dal maestro personalmente prodotto e supervisionato (più di ogni altra creazione aziendale del periodo), Pikmin esce venendo lodato per l'originalità, la commistione tipicamente miyamotiana tra action e generi che action non erano (in questo caso gli strategici), ma... non va ad aggiungersi a Donkey Kong, Mario e Zelda come alcuni avevano sperato. Se le saghe appena citate hanno definito Nintendo stessa, e sono divenute incredibili successi commerciali (e di critica), lo stesso non accade a Pikmin. Se The Legend of Zelda è la Basilica di San Pietro, Pikmin è l'Anello del Pescatore. L'anello personale del Papa, in cui è inciso il suo nome: nel nostro caso, e perdonateci la similitudine foste credenti, il nome è quello di Miyamoto.
Pikmin, dal 2001 in poi
Nintendo annuncia il successore, sempre su GameCube, in arrivo nel 2004; chi inizialmente immaginava che potesse divenire uno dei pilastri commerciali dell'azienda, torna a sperarci. Si imputano i vincoli del primo capitolo ai limitati tempi di sviluppo, e un successore così prossimo può voler dire solo una cosa: Miyamoto vuole esaltare la sua ultima creazione. Effettivamente Pikmin 2 espande il predecessore in modo notevole: rimane il limite del tramonto durante l'esplorazione, ma quello generale del tempo per concludere l'avventura viene rimosso. Ci sono stavolta due protagonisti, le aree divengono più grandi e variegate, cresce il numero di Pikmin disponibili, delle caverne generate proceduralmente arricchiscono l'offerta: in generale sono tutti concordi che il capitolo sia migliore del predecessore - tuttora è l'unico della serie ad avere raggiunto il 90 su Metacritic, nonostante gli altri non siano lontani - ma diviene anche evidente, al contempo, che Pikmin "Basilica di San Pietro" non sarà mai. E, soprattutto, che Miyamoto non l'ha mai considerato tale.
Pikmin è una piccola gemma preziosa che varia e approfondisce l'offerta Nintendo: non sarà mai un'opera che spinge masse di utenti a comprare la console, o che venderà dieci milioni di copie. È un titolo raffinato e meccanicamente complesso, in cui è fondamentale il multitasking e la contemplazione è più importante della catarsi, nonostante non manchino momenti scioccanti come la morte dei pikmin stessi. È un brand di prestigio, uno dei titoli più artistici Nintendo proprio per le sue evocazioni bucoliche, accompagnate da belligeranti combattimenti che coinvolgono esseri minuscoli e fragili. Nel terzo episodio, datato 2013 (a nove anni dal predecessore), vengono anche trattate con lodevole sensibilità tematiche importanti e contemporanee, come quella dell'ambientalismo e dell'esplorazione spaziale. Per quanto concerne quest'articolo, tuttavia, il punto è proprio questo: c'è stato un terzo episodio, nonostante le vendite non eccelse dei primi due.
Pikmin è un brand particolare. Per vendite è medio, perché - escluso il recente Pikmin 3 Deluxe - non ha mai superato i due milioni. Anzi, a volte a un milione non c'è nemmeno arrivato. Allo stesso tempo è un videogioco complesso e visivamente ricercato, non certo a basso budget. Non è scontato che un'azienda come Nintendo, abituata a spendere tanto e ricavare ancora di più, lo porti avanti; la nostra impressione, non corroborata da alcuna dichiarazione ufficiale, è che l'esistenza stessa di Pikmin - successivamente al secondo episodio - debba molto al legame personale di Shigeru Miyamoto con questa serie. In certi casi è vero anche il contrario: brand che vendono di più, ma che non coinvolgono direttamente il maestro, spesso sono stati messi da parte o non hanno ricevuto l'attenzione dei team interni (Metroid, creato con Retro Studios e MercurySteam, o Wario, assente da anni, per citare i più noti). Sicuramente Pikmin, come dicevamo in precedenza, ha senso di esistere anche a livello di mero prestigio: si tratta di un'opera estremamente particolare ed evocativa, e proprio il prestigio aziendale a lungo termine è tanto importante quanto le vendite. Tuttavia niente ci toglie di mente l'idea che, non fosse stato per Miyamoto, Pikmin - oltre a non essere nato - avrebbe potuto arrestarsi dopo il secondo episodio. In altre società sarebbe sicuramente stato così. Dopo il ruolo di producer esiste quello di general producer, quello di supervisore, quello di executive producer, progressivamente più lontani (nell'ordine) dallo scolpire con mano un'opera: nel 2013 Miyamoto era già lontano (da tempo) dal toccare da vicino un videogioco, eppure in Pikmin 3 ci "mise la faccia", e nei crediti apparve come general producer. Nelle Nintendo Direct non compare mai: sono Koizumi e Takahashi a presentare i nuovi titoli, proprio perché sono loro ad occuparsi ormai della direzione creativa della società. Nelle uniche circostanze in cui Miyamoto è apparso nelle recenti Direct si parlava di Super Mario Bros. Il Film, oppure del parco di divertimenti tematico. Solo una volta si è mostrato per parlare di un gioco, e quel gioco è Pikmin 4.
Quelle formichine sono transitate nel punto giusto al momento giusto, e noi siamo loro grati.