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Intervista con Davide Soliani - La Bustina di Lakitu

Abbiamo intervistato Davide Soliani, il direttore di Mario + Rabbids Kingdom Battle, parlando di come si diventa game designer, e di come si arriva a collaborare con Nintendo

RUBRICA di Alessandro Bacchetta   —   11/08/2018
Mario + Rabbids: Kingdom Battle
Mario + Rabbids: Kingdom Battle
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È impossibile sovrastimare l'importanza che Davide Soliani, classe 1972, ha avuto per l'industria di videogiochi italiana. Mario + Rabbids Kingdom Battle ha segnato un prima e un dopo. È il titolo più venduto su Switch tra quelli non pubblicati da Nintendo, ha una media pari a 85 su Metacritic, è stato premiato Miglior Gioco di Strategia ai Game Awards 2017. Il DLC da poco pubblicato, Donkey Kong Adventure, è stato altrettanto apprezzato. L'intervista è molto lunga, quindi è inutile sintetizzarla nell'introduzione o ripeterne i contenuti: tuttavia ci preme sottolineare che, quando Davide ha iniziato a immaginarsi come game designer, in Italia non c'erano strutture che potessero concretizzare questa ambizione. Adesso, nel 2018, non solo stanno nascendo vari studi indie, ma Ubisoft Milano è una realtà di caratura internazionale. Quando Davide è diventato una figura nota a livello globale, cioè durante la presentazione all'E3 2017 di Mario + Rabbids Kingdom Battle, quando si è commosso di fronte a tutti, ci siamo emozionati un po' anche noi, che lo conosciamo da anni. Miyamoto stava introducendo alla platea il suo videogioco, che per protagonista aveva nientemeno che Super Mario. Ma, come si è soliti dire, quella è stata solamente la punta dell'iceberg - è stato il momento in cui il ghiaccio ha superato la superficie del mare, e ha fatto capolino dall'acqua. In questa intervista abbiamo parlato di tutto quello che è successo prima, di come si diventa game designer, di come si arriva a collaborare con Nintendo, l'amore di una vita: abbiamo provato a esplicitare quanta fatica, quanta pervicacia e quanta passione siano necessarie. Quando sarete arrivati alla fine del pezzo, vi consigliamo di aprire Youtube e riguardare quella presentazione: forse avrete più informazioni per comprendere la catarsi di quell'attimo. Buona lettura.

L'intervista

Ciao Davide, benvenuto su Multiplayer.it. In quest'intervista vorremmo parlare principalmente del percorso che ti ha portato alla creazione di Mario + Rabbids Kingdom Battle, partendo da molto lontano. Qual è il tuo primo ricordo vivido legato a un videogioco?
Il primissimo? Oddio. Potrei utilizzare una cronologia sbagliata, ma per certo ho tre ricordi molto chiari. Uno è legato a Pitstop, che giocavo con un amico su Commodore 64. Il secondo è a casa di un altro mio amico, ed è connesso a Defender of the Crown su Amiga, che era bellissimo. Il terzo ricordo è collegato ai coin-op, Space Invanders e Donkey Kong, che, pensandoci meglio, venivano prima di Commodore 64 e Amiga, quindi sono proprio loro i primi due.

Ricordiamo che tu, prima di fare videogiochi, sei stato un critico vi-
Lo facevo per scherzo, per goliardia...
Però immaginiamo che ci sia stato un momento in cui tu abbia deciso di scriverne, o comunque di trattare i videogiochi più seriamente. C'è stato un gioco da adolescente che ti ha spinto a compiere questo passo, oppure è avvenuto gradualmente?
Scrivere di videogiochi non è mai stato veramente il mio desiderio, perché tendenzialmente sono una persona ombrosa e chiusa...
Ma non è vero!
(ride) Mi piaceva molto giocarli. Penso che il gioco che mi abbia fatto pensare, "cavolo, mi piacerebbe veramente farli", sia stato Super Mario 64. Ve lo ricordate il livello con la neve, in cui scivolavi giù, e in fondo c'era un ponticello spezzato? Rimanevi lì fermo, e ti teletrasportava altrove. Io guardavo quel ponticello con la telecamera, la ruotavo, mi chiedevo cosa ci fosse oltre, cosa ci fosse lì dietro. Oggi ho una concezione totalmente diversa di "quello che c'è là dietro", però all'epoca immaginavo che il mondo continuasse... e lì ero veramente, veramente deciso di creare videogiochi. Però in Italia non c'era pressoché niente che mi facesse pensare che un giorno sarebbe potuto diventare un lavoro vero, se non abbandonando il paese. Un altro momento importante in questo senso è stato sul tram, da casa mia verso la stazione centrale, quando ho visto un ragazzino giocare col Game Boy, e rideva come un pazzo - non so a cosa stesse giocando, probabilmente qualche Pokémon. E lì mi sono immaginato quanto sarebbe stato bello essere l'autore di un videogioco, di un qualcosa che fa ridere così un ragazzino. Questo concetto mi è sempre rimasto impresso, ma in quel periodo non pensavo che il mio desiderio si sarebbe realizzato. All'epoca del 3DO saltai sul treno immediatamente, ormai ero appassionatissimo di videogiochi, soprattutto di quelli che arrivavano direttamente dal Giappone. Lo pagai un milione e 700.000 lire, coi giochi che costavano 150.000 lire di importazione (ride). Li avevo praticamente tutti. Mi ero talmente fissato con Tetsujin che feci una specie di guida con tutte le mappe su carta millimetrata, coi punti di salvataggio, a grandezza vera, con un'unità di misura arbitraria ma coerente con le dimensioni del gioco, ed ero preciso. Venne fuori un malloppo di mappe disegnate, che inviai a Game Power, dove all'epoca c'era Giorgio Baratto, che mi richiamò per conoscermi di persona. Da lì in poi iniziai a scrivere per Game Power. Quello è stato il mio primo contatto coi videogiochi quasi come professione; dico "quasi" non perché non la consideri una professione, ma perché non era quello che volevo fare, e non riuscivo nemmeno a prendermi seriamente. C'era gente che scriveva molto bene, io scrivevo da appassionato: una linea di confine che è stata sempre chiara nella mia testa. Sapevo che non sarei mai stato un grande "parlatore" di videogiochi.

Intervista con Davide Soliani - La Bustina di Lakitu

Quanti anni avevi?
Quando iniziai a farli ventiquattro - senza capire esattamente quello che facevo - quando iniziai a scriverne circa ventuno. La mia prima recensione fu Soccer Kid per 3DO (ride). Poi da lì la storia si è ingigantita, su Game Power scrivevo trentasette pagine al mese, e non solo... ma qui è meglio non rivelare dettagli. Comunque non è mai stato un lavoro. All'epoca ero in una società di bar, e guadagnavo veramente bene, ma sostanzialmente non me ne fregava niente. Tanto che quando Ubisoft mi propose di lavorare per loro, e mi comunicarono il salario, ovvero molto meno della metà di quanto prendevo dalla società di bar...
Ubisoft ti ha chiesto di lavorare per loro, e non il contrario? Abbiamo capito bene?
No, mi sono presentato io. Praticamente ero allo Studio Vit, quando Claudio Tradardi, durante la pausa pranzo, mi disse che Ubisoft avrebbe aperto uno studio a Milano. Lì decisi di provarci. Feci un'analisi riguardante il ritmo tattile di The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Era una cosa che non avevo mai fatto, che sostanzialmente avevo inventato, non so se esista da qualche parte uno studio sull'importanza del ritmo tattile nei videogiochi, probabilmente utilizzano un'altra terminologia. Però avevo osservato che il gioco ti dava, senza dirtelo, dei ritmi: tutto ciò schiacciando dei pulsanti con un certo tempismo, in base a ciò che avevi davanti. Per me era un ritmo chiaro, che io sentivo nelle ossa. Mi faceva stare bene quando giocavo a Ocarina of Time. C'è un ritmo nel combattimento, un ritmo quando devi spostarti tra le piattaforme e combattere, un ritmo quando ti devi arrampicare - insomma, Ocarina of Time lo conoscete. Questo aspetto mi aveva colpito, e mi presentai con questo studio, senza sapere come l'avrebbero accolto. Poi ho provato a declinare lo stesso studio, senza che nessuno me lo avesse chiesto, secondo le esigenze di un titolo racing, e ovviamente utilizzai Mario Kart...
Sei monotematico! (ridono)
Sì, sì, è sempre stato abbastanza chiaro fin dall'inizio. Quando Ubisoft mi propose quella cifra a cui accennavo prima, erano preoccupati che per me sarebbe stata poco stimolante, invece non me ne fregava assolutamente niente, io volevo iniziare al più presto. Praticamente mi hanno fatto soffrire due settimane, che è niente rispetto agli attuali tempi di attesa. Allo scadere delle due settimane mi chiamarono, e iniziai a danzare nudo per casa dalla felicità.
Questo lo ometteremo dal testo! (ridono)
Da lì è partito il mio percorso all'interno di Ubisoft. Ma quando inizi a fare videogiochi, o almeno questa è la mia esperienza personale, non significa che sai fare videogiochi, o che capisci appieno il ruolo di designer. Lo comprendi con il tempo, io dopo sei anni mi sono detto "ho capito davvero cos'è un game designer", ma dopo dieci avevo di nuovo cambiato idea. È un lavoro in costante evoluzione, ci deve essere sempre la voglia di apprendere e di migliorarsi. Ho dovuto anche imparare a fare il capo di altre persone, cosa che non è per niente scontata; non è detto che salire di carriera voglia dire diventare capo, dipende come qualcuno si specializza. A volte sono percorsi che ho scelto, altre volte sono cose che sono semplicemente successe. Ma da un certo punto di vista, so che sembra assurdo perché lavoro da venti anni, percepisco Mario + Rabbids Kingdom Battle come il mio primo vero gioco. E spero che da qui in poi nascano cose con una maturità di cui sono più consapevole.

Intervista con Davide Soliani - La Bustina di Lakitu

Questo un po' ci sorprende. Secondo noi avevi già creato un gioco molto bello, su Game Boy Color: Il Libro della Giungla.
Sì (ridono). A me era piaciuto tanto anche Rayman per Game Boy Color, e tantissimo Il Libro della Giungla. Mi erano piaciuti entrambi perché mi ero dedicato a lavorare dettagliatamente sui controlli del personaggio principa-
Ah, non avevi diretto il gioco?
Sì, ma all'epoca del Game Boy Color anche se eri il Lead Game Designer dovevi comunque mettere le mani in pasta. Oggi i giochi sono talmente grossi che il Lead Game Designer ha un ruolo totalmente diverso, ma all'epoca mi occupavo del personaggio principale, costruivo i livelli di gioco, e in più ero anche Lead Game Designer. Mi ricordo una recensione di IGN che mi fece molto piacere, che ci definì un team vincente, e lodò i controlli considerandoli "quasi perfetti", addirittura "in stile Nintendo". In realtà non c'entravano niente con i controlli Nintendo, probabilmente si riferivano alla loro qualità. L'ispirazione per Il Libro della Giungla era stata Flashback, non un titolo Nintendo. Ad ogni modo... sì, il primo gioco che ho avuto a cuore è stato il Libro della Giungla, insieme a Rayman. Poi c'è stato un periodo che non definisco "oscuro", ma che definisco "lavorativo", in cui non ho più trovato in un videogioco questa forza dirompente che mi costringesse a giocarlo anche a casa, o a correre a comprarlo...

Qui ti fermiamo un attimo, perché in questa fase c'è un titolo particolare tra quelli a cui hai lavorato. Il tuo primo contatto diretto con Nintendo non è stato con Mario + Rabbids Kingdom Battle, ma con Battalion Wars per GameCube. Quanto e come hai avuto a che fare con quel progetto?
Sono arrivato praticamente all'inizio del progetto, dopo aver terminato Rainbow Six 3: Black Arrow, e mi ero veramente stancato degli sparatutto realistici, volevo provare altro. Andai in Kuju, senza sapere che stessero lavorando con Nintendo. Quando lo scoprii fui felicissimo, naturalmente. Realizzai alcuni livelli, lì non c'erano game designer, solamente level designer e creative director. Me lo ricordo ancora perché all'inizio erano tutti abbastanza freddi con me, probabilmente perché ero straniero e non parlavo tanto bene l'inglese, non socializzavo con loro come si aspettavano. Ma un giorno arrivò Nintendo, e provò svariati livelli, tra cui il mio, e mi dispiace tantissimo non ricordare più chi fossero le persone Nintendo - è una cosa che non mi perdonerò mai! - e il mio fu il livello che gli piacque di più, e da lì la situazione cambiò all'interno dell'ufficio. Cominciarono a parlarmi, e nacquero anche delle amicizie. Però non è mai stato un gioco sul quale io ho avuto controllo. Non avevo un vero impatto sulle regole di gioco, né sulla creazione visiva. È stato un gioco importante, ma su di me non ha avuto l'influenza né de Il Libro della Giungla né di Rayman, né tantomeno il devastante impatto - in termini positivi, chiaramente - di dover presentare il proprio gioco a Miyamoto, e poi a Kyoto in Nintendo. Sono state due esperienze radicalmente diverse.

Intervista con Davide Soliani - La Bustina di Lakitu

Siamo molto curiosi a riguardo, sapendo quanto Nintendo sia riservata riguardo i propri uffici: il tuo primo incontro con Miyamoto se ricordiamo bene è stato a Los Angeles, ma poi sei effettivamente entrato nella sede principale a Kyoto, un privilegio concesso a pochi.
Sì, a Kyoto ci sono stato più di una volta, perché ogni sei mesi (circa) andavamo a mostrare il gioco. Il primo incontro effettivamente è stato a Los Angeles, ed è durato in tutto trenta minuti. È stato veramente terrificante - avevo Miyamoto esattamente al mio fianco, alla mia destra, e alla mia sinistra un laptop collegato a un televisore, passavo dalla presentazione al prototipo. Io ero abituato a vedere Miyamoto sulle riviste, su Youtube, trovarselo a fianco, che reagiva a quello che gli mostravo...
E che non reagiva, da quanto abbiamo letto. Ti ha fatto attendere diverso tempo, no?
Quello è successo a Kyoto. A Kyoto non era una presentazione, era più simile a un rapimento. Ho iniziato alle nove e ho finito alle due e mezza del pomeriggio. Parlavo, facevo piccoli periodi in inglese, e il traduttore doveva ripetere in giapponese, senza che tu sia sicuro di cosa stia dicendo, perché alcuni termini inglesi proprio non esistono in giapponese - è stato un processo lunghissimo. Lì, alla fine della presentazione, c'è stato un silenzio di due minuti. Ti dico due minuti, ma per me è stata un'enormità. Fin quando Miyamoto, che probabilmente mi ha visto paonazzo, mi ha detto che per loro era normale, che come sempre stavano raccogliendo i pensieri prima di parlare. Io ho pensato, "sì, sì, come in Italia!" (ride).

Comunque, riguardo alla sede di Kyoto, che impressione ti ha fatto? Sei uno dei pochi fortunati stranieri ad esserci entrato. Ci sono davvero gli Umpa Lumpa, o è un luogo asettico?
Gli Umpa Lumpa ci sono, ma secondo me agiscono di notte. Di giorno è una superficie di marmo bianchissimo, purissimo. In verità ci sono due sedi: la sede più vecchia è dove ci sono i grandi manager, maggiormente dedicata al business. Nella sede nuova lavorano i creativi: Miyamoto, Aonuma, e via dicendo. È tutto ultra bianco, ultra puro, ultra perfetto. All'entrata del cancello principale c'è una persona che dalle otto di mattina, fino alle nove, saluta qualsiasi cosa passi dal cancello, anche le formiche, e ripete la frase "benvenuti al lavoro!". Lo fa ininterrottamente. Si può entrare fino alle nove e mezza, ma lui smette di salutare alle nove, perché chi entra dopo le nove non merita più l'inchino (ride). Poi passi in questo giardino perfetto, dove per terra trovi delle foglie, e secondo me non sono cadute, c'è qualcuno che le sistema come se fossero cadute, è un diorama (ride). All'ingresso c'è un'altra guardia che si inchina a 90°, che implica la massima forma di rispetto: sapete che, in base a quanto si inclinano, vi stanno mostrando quanto siete più "importanti" di loro. Poi entri, e lì la superficie è bianchissima, pure i fiori, e ci sono tre giapponesi bellissime. Ma pure i bagni sembrano fatti da un direttore della fotografia, o delle luci. È una cosa difficile da spiegare - sembra li abbiano finiti cinque minuti prima, e che tu sia la prima persona ad usarli. Sono lindi, ci potresti mangiare dentro. Prima di arrivare lì per la presentazione, uno di loro mi chiese se usassi la presa SCART o quella HDMI... e io mi domandai se fossero così indietro da utilizzare ancora la SCART. Quando entrai nella sala, e iniziai a installare le mie cose, c'era un televisore di ottantacinque pollici, 6K, super tecnologico: io, scemo, avevo pensato fossero arretrati. Invece erano loro che pensavano che io fossi un cavernicolo appena uscito dalla grotta. La sede è asettica, ma è un asettico che non è privo di calore o carisma, è semplicemente puro, candido. Sono queste le due parole che userei per la sede nuova: pura e candida. Mentre per quella vecchia, anch'essa in marmo, ma più tendente al grigio, userei il termine "barocco". Quella nuova è davvero una nuvola. Quando vai lì, stai entrando in una nuvola.

Mario + Rabbids Kingdom Battle è stato un succes-
Aspetta, un'ultima cosa! Mi ero scordato della sala ristoro. Nella sala ristoro è tutto un amiibo. Non hanno la forma di un amibo naturalmente, hanno le forme canoniche di ciotole, bicchieri, vassoi... ma tutti questi oggetti al loro interno hanno un codice NFC, sono come un amiibo, e quando li appoggi sul vassoio, il vassoio immagazzina informazioni su quello che hai preso, e quando lo metti via sul nastro, che scompare nella parete e non sai dove va, c'è una persona che sa già quanto chiederti, ha già tutte le informazioni di quanto hai consumato.
Una specie di 2001: Odissea nello spazio.
Esatto! (ridono)

Riguardo a Mario + Rabbids Kindom Battle, si può dire che il gioco sia stato un successo da qualsiasi punto di vista. Ma qual è l'elemento che ti rende più fiero di tutti in questo progetto?
In che termini? Di meccaniche o di relazioni?
Di meccaniche.
Secondo me Mario + Rabbids Kingdom Battle è nato nel momento in cui sono nate due meccaniche, che poi è una sola ma declinata in maniera diversa, e cioè quella del Dash e del Jump. Queste due, unite al sistema di movimento, hanno permesso al gioco di acquisire il suo carisma. Tutto il resto è cresciuto intorno a queste due meccaniche qui - o quasi.
Sono meccaniche che oltre a renderlo un bel gioco lo rendono anche più "nintendoso". È un titolo strano: realizzato da una società esterna, ma con molti elementi Nintendo al suo interno, che sembrano fatti da Nintendo stessa.
Questo perché gli elementi all'interno di questa società esterna sono molto "nintendosi"! (ride)

Un'ultima domanda. The Legend of Zelda: Breath of the Wild immaginiamo sia piaciuto molto anche a te.
Mi è piaciuto molto più di "molto".
Un aspetto che noi abbiamo particolarmente apprezzato è la sua fauna, la rappresentazione degli animali. Ce ne sono tanti, una novantina, però non ci sono i conigli. Mentre Super Mario Odyssey è pieno di conigli! Hai qualcosa da dire a riguardo?
È stato molto divertente scoprire dell'esistenza dei conigli, ma soprattutto - in Super Mario Odyssey - vedere il piccolo robot che ti dà consigli su come proseguire, quello vicino a Toad. I conigli mi hanno ricordato i Rabbids, il robot invece Beep-0. Ma non ne so niente, giuro, sono coincidenze che mi hanno fatto ridere. Per non parlare del deserto! Loro hanno il Deserto Ghiacciato, e noi il Deserto Gelato. Forse queste cose succedono perché pensiamo in maniera simile.

Però, fossimo in te, proveremmo a portare i conigli in Breath of the Wild, in fondo mancano. No?
(ridono) Sarebbe bello.