Amanita Design è uno studio famoso fra gli appassionati di avventure grafiche per il suo stile particolare, immediatamente riconoscibile, e volendo anche per essere stato fra i pochi ad aver creduto in quel filone durante i suoi anni più bui, contribuendo al suo rilancio attraverso i canali della scena indie. Eppure Jakub Dvorský, fondatore dello studio, da giovane non era necessariamente un grande appassionato del genere. "Ricordo che giocavo a cose molto diverse da quelle su cui lavoro," ci ha raccontato quando l'abbiamo incontrato al Reboot Develop Blue. "Soprattutto giochi strategici e RPG."
Nel suo passato da videogiocatore, Dvorský ha comunque qualche classico del genere, anche se sono tutti titoli un po' particolari: Gobliiins, The Neverhood e soprattutto Myst. Quest'ultimo, in particolare, "fu una rivelazione, per come creava mondi bellissimi ed evocativi." Va anche detto che Dvorský ha iniziato a sviluppare giochi da giovanissimo: classe 1978, nel 1994 Dvorský già collaborava con lo studio ceco NoSense: "Ho sempre avuto un forte impeto creativo. I miei genitori sono entrambi artisti... disegnavo fin da bambino e non volevo limitarmi a fare bei disegni, volevo creare qualcosa di più, inserirci della narrazione. Per esempio, disegnavo mappe, città immaginarie che inventavo, disegnavo mondi interi. E quando ho avuto l'occasione di iniziare a lavorare nei videogiochi, l'ho colta al volo, perché mi sembrava un medium più adatto a quello che volevo fare. Avevo quindici anni..."
Durante i tre anni di collaborazione con NoSense, il giovane Jakub Dvorský partecipò allo sviluppo di ben tre giochi, ma poi decise di proseguire gli studi iscrivendosi alla Academy of Arts, dove si specializzò in animazione. "Non avevo un piano. Ero molto rilassato riguardo al mio futuro. Però mi sono reso conto molto in fretta di non voler diventare un impiegato presso una grossa azienda. A un certo punto stavo iniziando a costruirmi un futuro da freelancer e pensavo che avrei fatto l'illustratore, l'animatore o il web designer. Ma la cosa importante, per me, era essere un freelancer." Lo sviluppo di videogiochi, però, pur non essendo necessariamente l'obiettivo finale, era rimasto con lui anche durante quegli anni, tant'è che finì per sviluppare Samoros come progetto finale per il corso di studi: "Era un videogioco piccolo ma che divenne molto popolare e pensai che forse avrei potuto fare lo sviluppatore di videogiochi freelance, una cosa che credevo fosse impossibile. All'epoca non c'erano studi indie, era un'idea nuova."
Effettivamente, nel 2003 eravamo ancora ben lontani dalla scena dello sviluppo indipendente che sarebbe esplosa un decennio dopo, anche se qualcosa iniziava a muoversi. Dvorský ebbe però una fortuna che purtroppo ancora oggi non capita a molti: dei genitori che lo supportarono in una scelta di carriera lavorativa così... particolare. "D'altro canto, entrambi i miei parenti erano freelancer, perfino durante il periodo del comunismo in Cecoslovacchia, una cosa veramente poco comune. Diciamo che era possibile solo per gli artisti. Quindi sì, sono stato fortunato ad avere dei genitori che mi hanno mostrato questo percorso e certamente mi hanno influenzato."
Il supporto e la fiducia dei suoi genitori hanno permesso a Dvorský di lanciarsi e anche di scoprire sulla propria pelle cosa facesse per lui e cosa no: "I miei genitori hanno lavorato a casa, da soli, per tutta la vita, ma a un certo punto io mi sono reso conto che lavorare da solo a casa è terribile," ci racconta ridacchiando. "O comunque che non fa per me. E per questo ho fondato un'azienda e ora lavoro in ufficio cinque giorni a settimana, dalle nove alle sei, come un normalissimo impiegato."
La sua azienda, Amanita Design, è fra gli studi dall'identità e dalla personalità più precise e riconoscibili che ci siano: basta osservare pochi istanti di un trailer per riconoscerli al volo. Questo, secondo Dvorský, è il risultato del fatto che "il nostro team di base attira altra gente che ha le stesse idee e lo stesso approccio." ma è probabilmente anche figlio della formazione artistica di Dvorský e di un approccio mentale e culturale che nasce da un background non strettamente limitato ai videogiochi. "Non sono mai stato un fanatico di videogiochi in maniera totalizzante e ho sempre avuto altri interessi. La maggior parte degli studio leader della mia generazione sono nati come programmatori, mentre io avevo un background da artista, cosa che ha dato una personalità diversa allo studio che ho fondato. Ora è più normale che accada, ma quando ho cominciato io era una cosa abbastanza diversa dal solito. Ho sempre amato il cinema d'animazione e penso che se non fossero esistiti i videogiochi sarei finito a occuparmi di quello. Anche perché ci vedo molte similitudini, si tratta comunque di creare mondi immaginari attraverso l'espressione artistica. Quindi direi che il mio background mi ha sicuramente aiutato a dare forma allo studio."
Sicuramente, l'identità distinta e riconoscibile ha aiutato Amanita Design a farsi notare e a trasformare Samorost in un discreto successo, seppur in un periodo in cui non solo non esisteva ancora la scena indie attuale, era anche passato largamente in secondo piano il genere delle avventure punta e clicca. Col senno di poi, sembra quasi che sia stato proprio Samorost a riaccendere la scintilla: dopo qualche anno, ad Amanita Design si erano aggiunte Telltale, Daedalic, Wadjet Eye... non solo il genere era rinato, aveva anche saputo reinventarsi esplorando nuove vie e nuovi approcci. Ma Dvorský era consapevole di quel che stava accadendo? "No, me ne sono reso conto dopo un po'. Chiaramente fu una cosa positiva per noi e per la scena in generale, perché l'interesse aumentò. Ma no, non me ne rendevo conto, mi limitavo a fare testardamente quel che volevo fare e come studio facevamo proprio la scelta consapevole di ignorare il mercato, i trend, le tendenze. Siamo stati fortunati, perché questa strategia ha funzionato."
Machinarium è probabilmente il gioco che più di tutti ha fatto entrare il marchio Amanita Design nella coscienza collettiva ed è senza dubbio il gioco di maggior successo dello studio. È però anche il loro punta e clicca più classico in termini di struttura, enigmi, pur con differenze significative, per esempio nell'assenza di dialogo. Era quello l'obiettivo? Un gioco che richiamasse in maniera più forte i classici del genere? Dvorský ci ha spiegato che sono sempre il progetto e l'ambientazione a dettare lo stile del gioco. "Machinarium raccontava una storia di robot a cui volevo dare un'identità quasi umana. Per me erano persone, in un certo senso. Però gli enigmi sono più incentrati sulla logica perché ha senso con quel genere di protagonista. Samorost, invece, è più bizzarro, surreale, meno logico, e gli enigmi vanno di pari passo con questa cosa. Cerchiamo sempre di ragionare in maniera olistica su ogni progetto. Sviluppiamo uno stile visivo specifico, una storia, degli enigmi, tutto deve essere coerente e organico." E sicuramente, come detto, in Amanita sono sempre stati molto bravi a mantenere una certa coerenza stilistica di fondo, anche quando hanno cominciato a sviluppare giochi non diretti da Dvorský con due gioielli come Chuchel e Botanicula.
"Sì, anche noi riteniamo che tutti i nostri giochi facciano parte della stessa visione e no, non c'è nessun genere di pressione perché questo avvenga. Piuttosto, scegliamo di sviluppare progetti e persone, ma le persone stesse vengono da noi perché condividono la nostra visione. E poi, come è accaduto coi team di Creaks e Phonopolis, abbiamo assemblato il team attorno alle persone che avevano queste idee. Per esempio, Creaks è un progetto di Radim Jurda e Jan Chlup, che sono venuti a discutere il design e le idee con noi per oltre un anno. A quel punto, gli ho detto che era un progetto grosso, avevano bisogno di aiuto e gli ho proposto di venire ad effettuare lo sviluppo in Amanita Design. Discorso simile per Phonopolis: abbiamo fatto in modo di aggiungere programmatori e animatori al team perché avevamo la sensazione che potesse essere un gioco di Amanita. Siamo tutti cechi, più o meno della stessa età, siamo cresciuti con le stesse cose, fra libri, film, favole, quindi è facile entrare in sintonia. In più, parte dello staff è condiviso; per esempio, il compositore delle musiche su questi due giochi ha lavorato anche sulla produzione precedente di Amanita."
Una conduzione di questo tipo per un piccolo studio di videogiochi è ammirevole... Fanno quello che vogliono, non si preoccupano dei trend, sviluppano giochi assecondando idee e progetti in maniera organica... un sogno. Però è anche un sogno incentrato su un genere videoludico abbastanza di nicchia e a fine mese gli stipendi bisogna pagarli. Ci sono stati momenti difficili? "Sì, è decisamente il mio sogno, ma questo non significa che sia facile. Per esempio, sentiamo la pressione del dover creare giochi d'avventura di qualità massima, perché oggi su internet funziona così, non c'è motivo di comprare giochi di seconda o terza fascia. Concentrarsi su un genere di nicchia può funzionare, ma devi essere fra i migliori in quel segmento. Quindi sì, sentiamo quel genere di pressione, dobbiamo essere molto efficienti e professionali, perché comunque questi giochi richiedono anni di sviluppo e molto lavoro. E non è semplice mantenere alto il morale per tanti anni consecutivi impiegati su un progetto."
All'interno di questo discorso, è sicuramente molto positivo che i giochi di Amanita Design abbiano un'aspettativa di vita altissima e continuino a vendere in maniera costante anche sulla distanza. Pur senza scomodare il successo di Machinarium, Dvorský ci dice che "perfino Samorost 2, che si porta quasi quindici anni sulle spalle, vende ancora bene. E sono vendite stabili. Sicuramente è una fortuna che abbiamo, probabilmente anche figlia del nostro stile e del fatto che non ci affidiamo troppo alla tecnologia, allo sfruttare le ultime meraviglie degli effetti speciali. Siamo molto vecchia scuola, con grafica 2D... E lo stesso Phonopolis, che utilizza un motore grafico 3D, a conti fatti ha un'estetica 2D". Svilupparlo ha tra l'altro significato affrontare una grossa sfida, anche perché, ci dice ridacchiando, "La tecnica che abbiamo usato per Phonopolis è incredibilmente complessa. Ed è per questo che ci stiamo mettendo tutto questo tempo, ma è molto particolare e pensiamo che ne valga la pena."
E insomma, vent'anni dopo, Amanita Design è ancora un piccolo studio indie di successo, con svariati titoli a curriculum che vendono bene e rendono sostenibile la sua natura davvero indipendente a livello di direzione, prima ancora che nella pratica. Vent'anni fa, all'uscita di Samorost, il genere dei punta e clicca era mezzo morto e non esisteva una scena indie. Dieci anni dopo, il genere dei punta e clicca era più o meno rinato ed è esplosa la scena indie. E adesso, altri dieci anni dopo, qual è la situazione? "La situazione è difficile. Essere nella posizione di fondare un nuovo studio, oggi, è difficile. Perché ci sono tantissimi giochi e i giocatori si concentrano soprattutto sui blockbuster. Ogni tanto un indie sfonda ma in linea generale tendono a finire sepolti ed è difficile attirare l'attenzione. Noi siamo in una posizione privilegiata perché abbiamo una fanbase molto solida che ci aiuta ad attirare l'attenzione. Non è una marea di persone, i nostri non sono certo blockbuster, ma andiamo molto bene grazie a questa posizione che ci siamo costruiti in vent'anni di carriera. Ma il momento è difficile."
Per esempio, confessa Dvorský, un duro colpo è arrivato dall'evoluzione del mercato mobile: "Noi vendevamo tantissimo sulle piattaforme mobili ma adesso le cose vanno meno bene, perché il trend delle vendite dei giochi premium non è magari di collasso, ma certamente non è neanche di crescita. Però ci sono servizi su abbonamento che aiutano, quindi è anche importante riuscire a infilarcisi." Ma il successo della distribuzione di videogiochi tramite abbonamento, per esempio con Netflix, Apple Arcade o ovviamente Game Pass, un po' spaventa Dvorský: "Sicuramente il mercato sta andando in quella direzione, e in ambito mobile, ormai, vedi per la maggior parte giochi free to play e giochi inclusi nei servizi. Ed è una situazione molto incerta, non hai punti fermi. Noi abbiamo il vantaggio che i nostri giochi funzionano su tutte le piattaforme, e adesso in particolare stiamo molto attenti a pensare interfacce che si adattino a tutto, mouse, gamepad, tastiera, touch screen... senza compromessi. Funzionano dappertutto. E siamo aperti a qualsiasi opzione e qualsiasi genere di piattaforma."
Insomma, il presente è complesso, il futuro è incerto, la cosa migliore che si può fare è essere pronti a tutto.