Da strategico con elementi da gioco di ruolo, a gioco di ruolo con elementi strategici. La serie King's Bounty sta per fare un salto importante con il secondo capitolo ufficiale. Abbandonato il sistema a mappe dei predecessori per una struttura open world e aumentato il focus sul lato GDR, il gioco sviluppato per l'etichetta Prime Matter ha dovuto compiere un lavoro di design davvero impressionante per adattare alcuni sistemi dei vecchi episodi alla nuova impostazione, compresa una revisione completa del ruolo della mappa e della sua concezione generale, lì dove comunque l'immaginario di partenza rimane il fantasy puro, quasi patinato, che caratterizza la serie sin dai suoi esordi.
Cerchiamo quindi di capire in questo speciale il mondo di gioco di King's Bounty 2, partendo dal suo stile per arrivare all'esaminare la sua funzione relativamente a certe meccaniche di gioco.
Regni fantasy
King's Bounty 2 è ambientato a Nostria, un regno plasmato nel più classico stile fantasy medievale. Il mondo di gioco, anzi, i mondi di gioco, visto che ci sono più mappe, sono stati realizzati con in testa tutti i possibili stereotipi del genere. Si comincia da Crucis, una prigione fortezza posta in una regione fredda e inospitale e si arriva a Marcella, la capitale, che domina un territorio ampissimo, pieno di costruzioni maestose, piccoli villaggi e rovine di antiche civiltà la cui memoria è persa nel tempo.
Fa quasi impressione vedere l'imponente palazzo reale, che all'interno somiglia più a una cattedrale che a un maniero medievale, stagliarsi sopra un paesino formato da due piazze principali e una manciata di case, circondato a sua volta da fattorie, una cava d'argilla e un campo profughi. Lì dove visivamente ci troviamo di fronte a un fantasy molto classico, dallo stile realistico e dai colori molto saturi, la geografia della mappa tradisce un deciso gusto mitteleuropeo e appare quanto mai frastagliata e labirintica, anche nei paesaggi stessi, dominati da una sovrabbondanza di elementi. Volendo fare un paragone, per quanto improprio, siamo più dalle parti di Gothic che di Skyrim da questo punto di vista.
Come spesso accade in titoli del genere (un po' per necessità, un po' per arte), la mappa di gioco è concepita anche in modo espressivo: più ci si allontana dai centri abitati, più gli ambienti si fanno cupi, pericolosi e selvaggi, con una sfumatura che va dal palazzo, il centro del potere, passa per le case e le campagne, fino ad arrivare ai boschi più oscuri, dove regnano ancora le forze irrazionali del male e della magia e dove la morte prende forma concretamente.
Se vogliamo ci troviamo di fronte a una esposizione da gioco di ruolo ben conosciuta, che nasce da una visione precisa della società: la città è il centro della civiltà, il luogo dove si parla più che combattere, dove si ottengono missioni che portano all'esterno, dove si commercia e dove si apprendono le conoscenze più comuni, quelle che fanno parte del bagaglio culturale collettivo. Fondamentalmente si tratta di una concezione medievale dello spazio antropico, non troppo distante da quella dell'Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti (tanto per darvi un riferimento, anche se il livello di complessità filosofica è molto differente), adattissima al genere e al modo in cui tenta di ricostruire certe dinamiche reali, pure lì dove non mira ad assumere alcun valore documentaristico.
Il mondo è un campo di battaglia
A differenza di altri mondi aperti, quello di King's Bounty II non consente di andare ovunque si voglia e quando più ci aggrada. Quello che apparentemente può sembrare un limite, è in realtà una scelta di design intelligente, dettata dalla natura ibrida del gioco, che deve inevitabilmente tenere conto del sistema di combattimento e degli obiettivi del gameplay. Gli ambienti infatti possono trasformarsi alla bisogna anche in campi di battaglia e, quindi, sono stati concepiti di base come tali. Abbiamo quindi strade molto larghe, anche nelle aree urbane, piazze modellate a "caselle", radure dall'ampiezza ragguardevole, cortili di castelli dalle dimensioni smisurate e tante altre inevitabili forzature geografiche e architettoniche, fortunatamente ben camuffate dai map designer, che hanno saputo equilibrare necessità e verosimiglianza. Fatto sta che, con un po' di abitudine, è possibile accorgersi a occhio dove si combatterà e dove no.
Anche la scelta di mappare le zone calpestabili, creando delle barriere insormontabili, è stata sicuramente dettata da precise esigenze di design. Lasciare al giocatore la possibilità di andare dove vuole, senza porgli dei limiti, avrebbe significato dover gestire la progressione in un modo completamente diverso, troppo distante da quella del primo King's Bounty. Oltretutto, il giocatore avrebbe avuto modo di schivare dei combattimenti che invece sono necessari proprio per la progressione stessa, oltre che per regolare il ritmo di gioco. Una soluzione alternativa poteva essere quella di rendere le unità incontrate sempre dello stesso livello del giocatore, come succede in tanti altri open world.
In questo modo però si sarebbe perso moltissimo in chiave di gestione degli spazi, visto che con la soluzione attuale ogni singolo scontro è figlio di un design forte, che tiene conto delle unità in campo e della morfologia del terreno.
Una soluzione con truppe nemiche variabili avrebbe impoverito la parte strategica e avrebbe privato gli incontri della loro unicità, rendendo molto più debole il flow del gioco per il suo videogiocatore tipo.
Comunque sia l'idea di fondo è interessante proprio perché ci troviamo di fronte a un caso evidente di mondo modellato intorno alle meccaniche di gioco. In realtà è sempre così, anche lì dove meno evidente, ma qui la cosa spicca in modo più netto che in altri titoli, proprio per le peculiarità del gameplay.