Il ventesimo compleanno di Max Payne è la perfetta occasione per tornare a parlare delle origini e dei possibili futuri di una serie ancora viva nel cuore dei giocatori, nonostante due decadi siano un'era geologica per il mondo dei videogiochi. Poligoni e texture sono quelli dell'epoca della GeForce 3, ma con quel primo capitolo Remedy ha fatto un gran lavoro nonostante un budget limitato, un team piccolo e un paio di cambiamenti di rotta di quelli che spesso mettono in ginocchio anche i progetti più promettenti.
Max è sopravvissuto a tutto questo, oltre che alla moglie e alla figlia la cui scomparsa è l'innesco di un noir esplosivo per trama e azione che non ha perso smalto, nonostante il peso degli anni si faccia sentire. A perdersi, negli anni, è stata la percezione dell'importanza di quel titolo realizzato da una manciata di sviluppatore finlandesi a cavallo tra un millennio e l'altro. Dopo 20 anni, in un mondo che ha visto uscire una valanga di giochi d'azione al rallentatore, c'è chi lo considera un semplice action in terza persona ormai datato, ma da quel titolo, all'epoca rivoluzionario, è nata la Remedy che conosciamo oggi e della quale ripercorriamo i primi passi nel nostro speciale per i 20 anni di Max Payne.
I primi passi di Remedy
Max Payne è uscito in Nord America nel luglio del 2001, quando la potenza delle GPU si misurava ancora in GFLOP, Xbox non era ancora disponibile e su PC, dove Max Payne è uscito prima, i più fortunati avevano una potente GeForce 3, la prima scheda commercializzata da NVIDIA dopo l'acquisizione di 3DFX. Per quanto le risorse fossero limitate e i team di sviluppo meno imponenti, era un'epoca di fermento. In quegli anni il videogioco si stava trasformando nel segno delle tre dimensioni, il cui avvento ha portato alla trasformazione di saghe storiche e alla nascita di nuove serie destinate a restare nella storia. Tra queste c'è quella Remedy, figlia di una genesi turbolenta, ma fortunata.
La storia del team di sviluppo finlandese, oggi conosciuto per il suo impegno costante e i suoi meriti nel mondo degli action in terza persona ad alto impatto narrativo, è iniziata a metà degli anni '90 con la pubblicazione di Death Rally. Basato su scontri tra automobili con visuale dall'alto, il primo titolo Remedy è stato pubblicato nel settembre del 1996 per MS-DOS e, pur non sconvolgendo il mercato, ha ottenuto un buon successo, da non dare per scontato visto che parliamo di un anno che ha visto uscire una valanga di capolavori su PC.
Ma Death Rally ha avuto un ruolo cruciale nella storia di Remedy. D'altronde ha convinto Apogee a investire su una software house piccola, ma ricca di ambizioni, tanto da essersi imbarcata nello sviluppo simultaneo di tre diversi progetti. Peccato per la mancanza di fondi sufficienti, eppure è probabile che questo fattore abbia giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione dello sviluppo di Max Payne. Basti pensare che inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi Dark Justice, essere uno sparatutto con visuale dall'alto e ispirarsi in qualche modo a Duke Nukem, un titolo pubblicato proprio da Apogee sebbene con il marchio 3D Realms, con la speranza di replicarne il successo.
Max Payne: la genesi
Tutto d'un tratto Remedy si è accorta di non avere tra le mani un titolo adatto per il suo ambizioso progetto. Così ha deciso di cambiare nome, spendendo ben 20.000 dollari per registrare il marchio Max Heat, su suggerimento del produttore Scott Miller. Qualcuno, però, deve aver pensato che fosse più adatto per un pornodivo. Non a caso, dopo essere stato accantonato, è ricomparso in Max Payne 2 a dare un'identità al protagonista della pellicola Max Heat 7, proiettata di tanto in tanto sugli schermi televisivi, che tanto piacciono al team finlandese, sparsi per i livello del gioco.
Come anticipato, comunque, quello del nome non è stato l'unico cambiamento. Ragionando sul titolo, Remedy ha anche riflettuto sul gioco stesso, trasformandolo in base ai gusti del team e ai titoli di successo del momento. Ed è così che alle fonti di ispirazione, assieme a Reloaded e Duke Nukem 3D, si è aggiunta Lara Croft, l'eroina di enorme successo di Tomb Raider che ha avuto un ruolo anche nel trasformare Max Payne in un ibrido tra sparatutto e action acrobatico in terza persona. Niente arrampicate o piroette, ma proiettili in quantità e un protagonista ben riconoscibile. Non è cambiata, invece, l'idea originale di un'oscura giustizia a fare da nervo scoperto di un eroe sanguinolento, senza pace e pronto a fare stragi.
Ed è qui che ci troviamo di fronte al volto del protagonista e al bullet time, le due peculiarità principali del gioco, escludendo la trama a metà tra noir truculento e hard boiled all'orientale. Le fattezze dell'eroe, se n'è parlato davvero tanto all'epoca, sono quelle di Sam Lake, scrittore finlandese che lavorando con Remedy ha creato Max Payne e Alan Wake, dando un volto al protagonista del primo capitolo della serie. Congelato nella sua espressione sardonica, il volto di Lake è stato utilizzato più per questioni di budget che di scelta stilistica, così come i volti dei familiari e dei membri della software house, ma l'espressione ironica dello scrittore è uno dei motivi del successo di un titolo che non ha solo l'anima noir di Remedy, ma anche un'ironia tutta particolare che fa parte del genoma del team.
I punti di forza di un action dirompente
Max Payne è un titolo che gioca sulla combinazione tra noir e hard boiled per dare al contempo spessore e forza a una classica storia di vendetta, spinta agli estremi. Ma gioca anche sullo stravolgere i luoghi comuni della narrativa d'azione, alternando il dramma più profondo con citazioni, umorismo grottesco e stereotipi che si muovono sul limite tra credibile ed eccessivo. Il successo, però, lo dobbiamo anche all'abilità di un team che, pur piccolo e provvisto di finanze limitate, ha fatto sfoggio di doti tecniche non comuni, evidenti nell'ottimo utilizzo di un eccellente motore sviluppato internamente e capace di esaltare la meccanica del bullet time.
Il cosiddetto slow motion alla Matrix, brevettato nei videogiochi come bullet time, ha fatto parte del DNA di Max Payne si dalle sue origini, fin da quando era pensato come uno sparatutto con visuale a tre quarti in stile Reloaded. Ed è stato vitale per il successo del titolo, non solo per l'evidente richiamo all'esaltante film con Keanu Reeves, uscito solo pochi anni prima, ma per la capacità di esaltare l'azione in combinazione sfruttando detriti, la cosiddetta vampa di bocca, fumo e ambienti realistici. Tutti questi elementi sono stati migliorati nettamente con Max Payne 2: La caduta di Max Payne, ma la resa nel primo capitolo è stata sufficiente a garantire una valanga di modifiche ispirate a Matrix.
L'altro punto fermo di Max Payne è senza dubbio il comparto audio, a partire dai campionamenti e dal feedback sonoro soddisfacente per arrivare alla colonna sonora. Indimenticabile il tema principale che, tutto pianoforte e atmosfera noir, apre il sipario su serie di brani composti dal duo Kärtsy Hatakka e Kimmo Kajasto che includono metal nordico, elettronica e ambient. Un guanto per una nevosa storia di sangue tutta ambientata a New York, sfondo perfetto di una trama tutta chiaroscuri che, sottolineiamo nuovamente, è stata sviluppata senza un gran budget e con un team piccolo.
Sempre il vil danaro ha dettato l'azzeccato utilizzo di scene di intermezzo a fumetti, adatte alla formula e molto comode in termini di economia. D'altronde non hanno solo abbassato i costi di base ma hanno ridotto anche l'impatto sul budget dei cambiamenti effettuati alla storia. Detto questo, la scelta è dipesa anche dalla passione di Sam Lake per le graphic novel che, non a caso, ha portato a mantenere la stessa formula con il secondo capitolo, un potenziamento dell'originale da ogni punto di vista.
L'evoluzione di Max Payne: tra sequel e film
Max Payne 2: La caduta di Max Payne, uscito nel 2003 sotto etichetta Rockstar Games, non ha avuto l'effetto dirompente del primo capitolo, complice un salto tecnologico netto, ma non travolgente. Tanto per intenderci da li a poco sarebbero infatti usciti kolossal come DOOM 3 e Half Life 2, titoli ben più avanzati. Ma il comparto tecnico del sequel di Max Payne, forte di un secondo personaggio utilizzabile grazie all'evoluzione dell'affascinate Mona Sax, è stato pensato per esaltare un bullet time reso ancor più spettacolare grazie a effetti più rifiniti, motore Havok per la fisica, texture di qualità palesemente superiore, modelli decisamente più complessi e ambienti indubbiamente più realistici. Non è cambiato invece lo strepitoso doppiaggio originale dell'attore James McCaffrey, in questo caso impegnato a dare voce a un protagonista dal volto di Timothy Gibbs.
A questo punto il successo della serie Remedy ha raggiunto livelli tali da meritarsi l'attenzione di 20th Century Fox che a già a fine 2003 ha acquistato i diritti di sfruttamento cinematografico della licenza. Ed ecco che nel 2008 siamo arrivati al film di Maxy Payne, a lungo atteso, ma come tanti altri tie-in prima di lui piuttosto deludente. Il problema non ha riguardato tanto la scelta come attore principale di Mark Wahlberg, già apparso in forma smagliante in un film del livello di The Departed, quanto di una Mila Kunis non pienamente a suo agio nel ruolo di Mona Sax e di una rappresentazione dell'azione al limite del supereroistico. Ciononostante il film ha incassato quasi 110 milioni di dollari, riuscendo a racimolare più del previsto rispetto a un budget da 35 milioni.
Il film, in soldoni, ha confermato la potenza mediatica del personaggio di Max che si è meritato un terzo capitolo. Ma questa volta a farsene carico non è stata Remedy. La palla è passata a Rockstar Games, publisher del secondo capitolo, che ha approfittato dell'occasione per dare una svolta alla serie portandola in Brasile. La storia non manca di rimandi a New York, con tanto di flashback che aggiungono dettagli alla vicenda originale, ma per gran parte della narrazione cambia del tutto in quanto a sfondi e colori.
Max Payne 3: polemiche e numeri
Nel terzo capitolo della serie ci siamo trovati di fronte un Max Payne che ha perso tutto, lavoro incluso. Dopo essere stato mandato in pensione dal capo della polizia Jim Bravura, unico altro personaggio presente in tutti e tre i titoli della saga, è rimasto solo con i suoi sensi di colpa, compreso quello di aver tradito la moglie, seppur morta, con la compianta Mona Sax, altrettanto defunta. Non stupisce quindi che si sia lasciato andare all'alcool e agli antidolorifici, in cerca di una pace fittizia e, tra l'altro, poco duratura. Non ci vuole molto infatti perché un incidente scombini i suoi piani, costringendolo a lasciare la sua tana di Hoboken.
Cinque anni dopo, a San Paolo, ritroviamo un Max Payne dalla testa rasata, barbuto e più hard boiled che mai. Sempre più cinico e disilluso, ma di nuovo operativo grazie a un lavoro nella sicurezza privata, il nostro eroe si muove su uno sfondo più colorato, ma non si allontana dagli stilemi tipici del noir tra corruzione dilagante, una voce narrante da poliziesco di fine ventesimo secolo e un finale amaro. Ma il cambio di ambientazione ha comunque scatenato le polemiche, rischiando di mettere in secondo piano un gameplay capace di mescolare l'efficace azione della serie con aggiunte decisamente rilevanti come il sistema di copertura e le scene di intermezzo dinamiche, allacciate all'azione senza caricamenti di sorta.
Nonostante le polemiche, che almeno in parte hanno oscurato la stella del terzo capitolo della serie, critica e gran parte del pubblico hanno apprezzato a gran voce l'evoluzione dell'azione, il coraggio del cambiamento di ambientazione e l'aggiunta di una modalità multiplayer, sempre voluta da Remedy, ma mai implementata prima per questioni di budget. Max Payne 3, tra l'altro, ha il merito di esplorare ulteriormente la psicologia del protagonista, qui alle prese con il divario tra poveri e ricchi in uno degli ambienti più divisivi del pianeta, oltre a quello di aver permesso finalmente al bravo doppiatore James McCaffrey di dare finalmente il suo volto al personaggio che ha interpretato, con la voce, per 11 anni.
Tutto questo ha fatto di Max Payne 3 un titolo di successo, capace di vendere 3 milioni di copie nella prima settimana di commercializzazione, portando la serie al di sopra delle 10 milioni di unità vendute. Tutto questo nonostante le polemiche in parte legate all'ambientazione e in parte alla scomparsa dell'affascinante sarcasmo di Max. Le critiche, però, potrebbero aver avuto un ruolo nella scomparsa del franchise, assente dalle scene dal ben 9 anni.
Nel frattempo Rockstar è tornata a lavorare a tempo pieno sui suoi impegnativi colossal open world e Remedy, privata dei diritti, si è concentrata sull'universo di Alan Wake, Quantum Break e Control che potrebbero addirittura confluire in un unico grande crossover nel prossimo futuro. Ma non è detto che la storia di Max sia finita.
Il futuro di Max Payne
Nel 2016 Take Two, di cui Rockstar è una sussidiaria, ha registrato il marchio JUDAS che, secondo un leaker piuttosto attivo su Reddit, potrebbe corrispondere Max Payne 4. Il trademark non rivela dettagli specifici e, va detto, Take Two di solito non usa nomi fittizi per i suoi brevetti, ma potrebbe trattarsi di un remake, di un reboot o di un titolo slegato dalla serie principale seppur ambientato nello stesso universo.
Potrebbe anche essere una mera speculazione, ma parliamo di un brand che non ha quasi mai deluso, anche in versione isometrica su Game Boy Advance e nelle conversioni mobile, e che sarebbe un peccato lasciar morire.
Si parla inoltre di lancio esclusivo su PlayStation 5 e Xbox Series X|S, con risoluzione 4K e 60 frame per secondo, che sarebbe coerente con il resto delle voci che parlano di pre-produzione iniziata nel 2017, produzione nel 2020 e uscita prevista dopo Gran Theft Auto VI. Inutile quindi farsi troppo la bocca su un progetto che potrebbe essere tutto e potrebbe essere nulla. Ma l'idea di un nuovo Max Payne ad alto budget, realizzato da una Rockstar ormai capace di tirare fuori titoli dall'impatto cinematografico, ci stuzzica senza alcun dubbio.