Al tempo degli dei dell'Olimpo, dei signori della guerra, dei re, che spadroneggiavano su una terra in tumulto... diciamo fino all'inizio della settima generazione di console, i mondi virtuali racchiusi nelle cartucce e nei CD-Rom erano visti come architetture mistiche, indecifrabili, misteriose, un terreno estremamente fertile per la maturazione di miti e leggende d'ogni genere. Le cose hanno iniziato a cambiare in concomitanza all'esplosione di internet, dei social network, di pratiche come quelle del data-mining, che hanno improvvisamente consentito di sviscerare i testi della creazione, di consultare il brodo primordiale del codice, condensando l'aura magica che avvolgeva le produzioni di una volta in una serie di fredde stringhe pronte a mettere nero su bianco le verità e le leggi destinate a governare tali mondi. La scienza si è fatta strada anche nel sottobosco dei videogiochi, trasformando gli sviluppatori, per decenni osservati come fossero sciamani e stregoni, in semplici esseri umani molto abili nell'illusionismo.
Anche i videogiochi ci hanno messo del loro: hanno iniziato ad accogliere i diari di missione pronti a tener traccia di tutte le attività disponibili, le percentuali di completamento, ma soprattutto una serie di riconoscimenti che avvertono in maniera inequivocabile gli appassionati che per loro, in quel mondo, non c'è più nulla da scoprire, non esiste segreto ancora da svelare. Si può utilizzare Luigi in Super Mario 64? Come si fa a trovare il fantomatico Pokémon numero 151 nella regione di Kanto al centro dei celebri capitoli Rosso e Blu? Esiste un modo per salvare Aerith dal fendente mortale di Sephiroth? Possibile che ci sia davvero il Big Foot nascosto nelle foreste di San Andreas? Per anni gli appassionati hanno sondato ogni singolo pixel trattenendosi ben oltre il termine delle loro avventure, nella speranza di mantenere intatta ancora per qualche istante la grande illusione, con il desiderio di trascendere il ruolo di meri spettatori per trasformarsi nei destinatari di quell'ultimo elemento che ancora restava nascosto agli occhi dei più.
Questa è la storia dei miti e delle leggende dei videogiochi: sono davvero spariti per sempre?
Tutto ha inizio da un piccolo segreto
È praticamente impossibile identificare il momento preciso in cui il concetto di "segreto" si è fatto strada nelle pieghe del videogioco: è decisamente più semplice ripercorrere il cammino dei cosiddetti "easter egg", introdotti per la prima volta dal Moonlander di Jack Burness nel 1973 e poi popolarizzati dal famosissimo Adventure di Warren Robinett pubblicato nel 1980. Quell'antichissimo seme è germogliato lentamente fino a trasformarsi da mera firma dello sviluppatore a concetto cardine del game design, in certi casi addirittura nello stesso motore capace di spingere i giocatori a passare al setaccio ogni angolo delle produzioni. Un esempio a caso? Beh, se vi siete mai chiesti cosa sarebbe successo raccogliendo tutte e 120 le Stelle presenti in Super Mario 64, avrete capito perfettamente di cosa stiamo parlando: The Legend of Zelda del 1986 fu il primo videogioco della storia a nascondere una ricompensa dietro una cascata, Metroid per NES fu il primo titolo a celare un percorso dietro l'inizio del livello, mentre Wizardry V fu la prima esperienza a integrare un potentissimo mostro opzionale (se volete saperne di più sulla nascita di queste ispirazioni vi suggeriamo la lettura di questo articolo).
Tutte queste fattispecie hanno contribuito a plasmare una sorta d'inconscio collettivo dei videogiocatori, spingendoli a vivere e respirare mondi virtuali volenterosi di squarciare il velo su misteri da risolvere, di presentarsi come grosse cacce al tesoro capaci di formare un legame intimo fra l'autore e l'appassionato. Ci sarà un modo per raggiungere quell'area che sembra inaccessibile? Cosa succede se raccolgo tutti questi oggetti collezionabili? Possibile che questa sezione inserita dagli sviluppatori non serva a nulla? Sarà vera quella teoria di cui ho letto in un forum? A un certo punto questi pensieri hanno iniziato a diffondersi nell'etere come un'epidemia, ritagliandosi uno spazio sospeso fra realtà e fantasia che ha segnato un'intera epoca dei videogiochi: la grande era dei miti e delle leggende.
L'era dei miti e delle leggende metropolitane nei videogiochi
Quando un mistero indecifrabile incontra una voce di corridoio e quella voce inizia a produrre un'eco nelle comunità degli appassionati, la fantasia e la realtà diventano indistinguibili: la maggior parte delle leggende metropolitane sono una conseguenza dell'inserimento dei primi segreti nei videogiochi. In Super Mario Bros 2, per esempio, il team di Shigeru Miyamoto decise di integrare un nono mondo segreto oltre la conclusione dell'avventura, il cosiddetto Fantasy World pensato per spingere al limite le capacità dei giocatori. Una volta insinuato un simile concetto nella mente della comunità, era solo questione di tempo prima che i giocatori iniziassero a cercare qualcosa di simile nelle opere successive. È successo nello specifico in Super Mario World: al momento della pubblicazione si è rapidamente diffusa l'idea che da qualche parte si nascondesse un novantesettesimo livello segreto - dato che le uscite totali dei livelli erano 96 - spingendo migliaia di appassionati a cercare la soluzione di un enigma inesistente. Furono in molti a provare a raccogliere gli oltre 400 "Dragon Coin" disseminati nei livelli, mentre altri erano pronti a giurare che acchiappando determinate monete nella sezione del Relitto il pavimento si sarebbe fatto da parte svelando l'entrata del livello perduto. Ovviamente, nulla di tutto ciò corrispondeva a realtà.
Restando nell'orbita dell'idraulico baffuto, il primo contatto con il mondo tridimensionale di Super Mario 64 portò un'impennata nella maturazione dei rumor: c'erano livelli accessibili solamente saltando attraverso normalissime pareti, c'era Yoshi che sedeva sul tetto del Castello di Peach in attesa dei giocatori più agguerriti, insomma, c'erano le condizioni perfette per la nascita di una mitologia vera e propria. E fra tutte le voci, quella più insistente ipotizzava la possibilità di giocare nei panni di Luigi. Nel cortile del castello sedeva infatti una statua di una grossa stella accompagnata da una placca illeggibile: un numero enorme di appassionati sosteneva che ci fosse scritto "L is real 2401". Tale suggestione portò plotoni di giocatori a battere l'esperienza centimetro per centimetro, addirittura a raccogliere tutte le 2672 monete presenti nel gioco - comprese due in particolare che erano irraggiungibili a causa di compenetrazioni nelle geometrie tridimensionali - prima di tornare davanti alla statua in attesa di una reazione che non si sarebbe mai manifestata. Ironicamente, 24 anni e 1 mese dopo il lancio di Super Mario 64 - ovvero il 23 luglio del 2020 - un leak che ha investito Nintendo ha svelato che il modello di Luigi era effettivamente presente nel gioco, salvo poi finire nei contenuti tagliati.
Una delle serie di videogiochi più modellate dalla fantasia degli appassionati è stata senza dubbio Pokémon: finite nelle mani di milioni di persone volenterose di svelarne ogni segreto, le versioni Rossa, Blu e Gialla meriterebbero infatti un'analisi a sé stante. La leggenda più ingombrante è senza dubbio quella che ci ha regalato l'immagine di copertina: il camioncino posto sulla banchina della Moto Nave Anna ad Aranciopoli, dotato di uno sprite unico presente esclusivamente in tale istanza, è stato spesso associato alla posizione in cui catturare Mew, lo sfuggente Pokémon numero 151 la cui storia era custodita nei laboratori dell'Isola Cannella. Questo mito piantò radici talmente profonde da generare ulteriori ramificazioni: dato che un personaggio posto sul molo affermava che la nave sarebbe tornata entro un anno, alcuni giocatori decisero di sconfiggere i Superquattro della Lega Pokémon per 365 volte consecutive nel tentativo di far tornare la nave e mettere le mani sull'ambita preda, che in realtà si poteva ottenere solamente partecipando agli eventi dal vivo promossi da Nintendo e Game Freak; addirittura, le compagnie iniziarono ad appiccicare degli appositi sticker sulle cassettine dei giocatori che partecipavano a tali eventi, in modo da certificarne l'autenticità. Nel frattempo, mentre altri appassionati si domandavano senza sosta se fosse possibile accedere al giardino sul retro della villa di Bill - magari per mettere le mani su restanti Pokémon iniziali - l'epidemia di leggende metropolitane si estese anche al di fuori del tessuto del codice: la più celebre è stata senza dubbio la storia della "Sindrome di Lavandonia", un incidente che si sosteneva avesse portato diversi giovani giapponesi a tentare il suicidio dopo essere stati esposti alla mesta colonna sonora di quella particolare città. Niente del genere fu mai provato, ma tale caso si trasformò in una fra le prime dorsali delle moderne Creepypasta, ovvero le piccole storie dell'orrore legate in qualche modo al medium del videogioco che allora presero piede su internet.
Ci fu, d'altra parte, una grande vittoria anche dalle parti dei teorici del complotto: fu infatti scoperta e provata l'esistenza di MissingNo., misterioso Pokémon generato attraverso un glitch legato al taglio di ben 39 mostriciattoli dall'opera completa, ragion per cui sono proprio 39 le varianti complessive di MissingNo. che è possibile incontrare rispettando le dovute condizioni. Dal momento che, nel corso di un tutorial, il nome del personaggio veniva temporaneamente immagazzinato nello spazio della memoria riservato alla registrazione dei Pokémon selvatici, diventava possibile forzare l'apparizione di MissingNo. visitando una specifica posizione adiacente l'Isola Cannella, originando il baco che portava contestualmente alla moltiplicazione degli oggetti nell'inventario del giocatore.
Al crescere della complessità del medium, ma soprattutto nella fase embrionale della rivoluzione del web, il brodo primordiale dei miti è andato in ebollizione. Quando The Legend of Zelda: Ocarina of Time ha codificato le regole dell'azione moderna, era inevitabile che il suo mondo - uno fra i primi di tale portata - venisse scandagliato in cerca di misteri. Un esempio storico è il dungeon della piramide che sarebbe stato celato nel Deserto Gerudo: suonando la Song of Storms - quella dotata della capacità di far piovere - nel mezzo della tempesta di sabbia, era possibile scorgere una forma piramidale lampeggiante che pian piano assumeva contorni sempre più definiti; per diverso tempo la piramide è divenuta il principale oggetto del desiderio dei cacciatori di misteri, fino all'istante in cui l'utilizzo di un cheat ha provato che si trattava solamente di una roccia appuntita al di fuori dei margini della mappa. Tuttavia, per rendersi conto della reale profondità delle leggende metropolitane, vale la pena menzionare la Unicorn Fountain: quest'area, presente nelle prime fasi sviluppo e poi tagliata, è divenuta protagonista di una serie di immagini che hanno scatenato un terremoto fra gli appassionati. A quel punto l'immaginazione del pubblico ha fatto il resto del lavoro, convincendo migliaia di persone che sotto i ghiacci dello Zora's Domain riposasse un corridoio segreto accessibile solamente ai pochissimi giocatori entrati in possesso dello Sword Beam, abilità ricorrente della serie che gli avrebbe concesso di aprirsi un varco. Anche in questo caso, lo sfruttamento di cheat dimostrò in seguito che il tunnel al di sotto del ghiaccio conduceva a null'altro che a un vicolo cieco.
Allora l'interezza della sesta generazione fu travolta da una cascata: proprio in questi giorni è tornato d'attualità Final Fantasy VII, nello specifico la storica sequenza della morte di Aerith, che portò gli appassionati a perdere un membro preziosissimo del gruppo e che generò di conseguenza la spasmodica ricerca di un metodo per salvare la ragazza. Questo fu un caso molto particolare, perché a diffondere il rumor fu nientemeno che un impiegato che allora lavorava per Squaresoft, motivo per cui ancora oggi c'è chi è convinto che sia possibile resuscitarla in qualche modo senza l'ausilio di glitch di sorta. Più in generale, i contorni frastagliati della saga di Final Fantasy l'hanno trasformata in un ricettacolo di teorie astruse, forse in ragione della struttura ludica che faceva un utilizzo smodato dell'espediente del "segreto". Una delle più famose era la teoria "Squall is dead" che tentava di offrire una rilettura salvifica per il canovaccio di Final Fantasy VIII, ipotizzando la morte del protagonista al termine del primo CD-Rom. In molti sono tutt'ora pronti a giurare che si tratti dell'interpretazione corretta, ma Yoshinori Kitase in persona, nel corso di un'intervista risalente al 2017, ha affermato che non corrisponde a realtà... dichiarando tuttavia che avrebbe tenuto conto della teoria se mai si fosse trovato a lavorare su un remake.
Sono state tantissime le produzioni - non soltanto figlie degli anni '90 - ad accogliere gli ultimi strascichi di questo fenomeno. La città di Silent Hill, per esempio, è stata una delle più toccate in ragione della quantità di finali alternativi che metteva sul piatto, variabili che spinsero i giocatori a inventarne di sana pianta a dozzine, in particolare quello relativo all'Ambulanza con cui Harry Mason sarebbe riuscito a fuggire dall'incubo, al quale furono dedicate diverse guide estremamente dettagliate che, come da copione, non portavano a nulla di concreto. Probabilmente, anche la particolare atmosfera che avvolge un'opera svolge un ruolo determinante nella formazione dei suoi miti: la mole di leggende che hanno preso piede in mezzo alle nebbie di Silent Hill è infatti eguagliata solamente da quella che si è manifestata nelle Forbidden Lands dello Shadow of the Colossus di Fumito Ueda. Tra tantissimi colossi nascosti fra cui spiccava il diciassettesimo, diverse località inaccessibili come la diga delle Forbidden Lands che fu tagliata dalla versione finale, nonché ovviamente una discreta quantità di finali inesistenti, la sensazione è che l'alone di mistero che permea determinati mondi sia una condizione indispensabile per alimentarne il tessuto delle leggende.
Quando gli sviluppatori rispondono agli appassionati
Ci sono poi dei casi un po' particolari, e per introdurli vale la pena cominciare dal Diablo della Blizzard North dei tempi che furono: nell'area di Tristram, i giocatori sostenevano di udire uno strano verso di mucca che, non chiedeteci come mai, ritennero essere il chiaro e inequivocabile segnale della presenza di un segreto. Decisero dunque di interagire con tutte le mucche presenti nell'opera in cerca di risposte, ma non ottennero alcun risultato, certamente non il terrificante Demone Mucca che si aspettavano di abbattere. Gli sviluppatori, ormai venuti a conoscenza delle teorie del pubblico, marciarono sopra la leggenda per integrare il celebre livello segreto delle mucche in Diablo II, accessibile solo combinando gli oggetti Wirt's Leg e Tome of Town Portal all'interno del Cubo Horadrico. Ancora oggi, in Diablo IV, i giocatori sono convinti che da qualche parte sia celata una variante analoga di quel livello che attende solamente d'esser trovata. Questa fu una delle prime volte in cui gli autori trasformarono in realtà una leggenda metropolitana, gettando le basi per uno fra i trend più amati dell'industria moderna.
Qualcosa di simile accadde dalle parti di Banjo-Kazooie, per la precisione attraverso la meccanica poi tagliata dello Stop'n'Swop: inizialmente, data la capacità del nuovo hardware di immagazzinare per dieci secondi i dati relativi alla cartuccia in uso, il gioco a piattaforme di Rare fu realizzato attorno a una funzionalità che prevedeva il cambio in tempo reale della cartuccia per generare effetti fra un gioco e l'altro. Ma alla fine la versione definitiva del Nintendo 64 fu modificata al punto da portare alla cancellazione dell'idea, lasciando di conseguenza l'originale Banjo-Kazooie pieno zeppo di residui molto ben visibili, fra oggetti irraggiungibili posti sotto il naso del giocatore e punti d'interesse privi di qualsiasi funzione che mandarono letteralmente al manicomio la comunità degli appassionati. Se attraverso il sequel Banjo-Tooie molti di quegli oggetti si sono finalmente consegnati nelle mani dei giocatori, la nuova pubblicazione di entrambi i capitoli su Xbox Live ha convinto Rare a integrare finalmente la meccanica nel modo in cui era stata inizialmente immaginata, dirimendo la questione dopo anni di attesa e speculazione.
Un altro caso molto interessante è quello che riguarda la serie Grand Theft Auto: l'avvento dell'immensa contea di San Andreas generò una corrente tutt'ora impareggiata di leggende metropolitane che condussero milioni di varianti di Carl Johnson a spendere centinaia di ore nella ricerca del Big Foot in mezzo alle foreste, oppure a cercare indizi riguardo il mistero delle automobili fantasma che comparivano nei dintorni del Monte Chiliad, frutto di un evidente glitch. Con Grand Theft Auto V, Rockstar Games ha pensato bene di fare tesoro della lezione appresa in San Andreas per inserire uno dei più corposi e longevi easter egg nella storia del medium, ovvero quello relativo all'UFO del Monte Chiliad che si considera tutt'ora ben lungi dall'essere pienamente risolto. Anche se i giocatori sono riusciti a comprendere come far apparire l'UFO, ovvero visitando la vetta della montagna alle tre esatte di una notte di tempesta dopo aver concluso l'opera al 100%, in tantissimi ritengono che da qualche parte a Los Santos sia ancora celato un jetpack che compare nei materiali relativi all'egg.
Il mito nel videogioco è morto?
Al giorno d'oggi, data la velocità di diffusione delle informazioni, la presenza capillare di comunità che condividono le proprie ricerche, e ovviamente il peso di piattaforme di condivisione come YouTube, il tessuto delle leggende e dei miti nei videogiochi si è estremamente assottigliato, per non dire che è stato cancellato del tutto. Anzi, spesso si è verificato un rovesciamento nei processi d'indagine: se una volta l'esperienza e la fantasia preparavano il terreno per l'emersione delle leggende, che poi venivano verificate dai pochi dotati di strumenti professionali, oggi capita più di frequente l'opposto, ovvero che siano proprio i data-miner ad alimentare la bolla della discussione attorno ai videogiochi, che vengono poi codificati nell'arco di poche settimane. Bastano un paio di click per scoprire se e dove un'opera nasconda l'ultimo segreto che ci è sfuggito e, una volta ottenuta la certezza che non ci sia più niente da scoprire, il mondo virtuale tende a essere silenziosamente cancellato dal supporto su cui era memorizzato.
Ma sta succedendo in tutti i videogiochi? A ben vedere c'è una compagnia in particolare che in tempi recenti ha eretto il proprio successo scavando nell'epoca in cui i mondi virtuali rappresentavano enigmi da decifrare in cerca di segreti, di interazioni e di scampoli d'informazioni. Uno studio di sviluppo fra i pochi che al momento sembrano trovarsi in uno stato di grazia. Giusto qualche giorno fa Hidetaka Miyazaki ha dichiarato che in Elden Ring c'è ancora qualcosa che è sfuggito agli esploratori dell'Interregno, cementando la posizione della sua FromSoftware fra i rarissimi creativi in grado di avvolgere i propri universi in una coltre di nebbia così misteriosa e affascinante da scatenare discussioni che coinvolgono milioni di persone. Qualcosa di simile è accaduto anche nella Costa della Spada al centro di Baldur's Gate 3: è un caso che entrambe queste produzioni abbiano raccolto risultati straordinari e intascato il premio per il Game of the Year? Forse stiamo sottostimando il peso di una costruzione del mondo e dell'esperienza capaci di trasformare la dimensione virtuale in una terra sconosciuta di cui impadronirsi passo dopo passo, gettandosi alla costante ricerca di quella nuova sfaccettatura nascosta che sappia forgiare un legame unico fra utente e autore.