Nel corso degli ultimi anni Mortal Kombat è ritornato ai livelli di un tempo nell'ambito delle produzioni di genere picchiaduro a incontri. Questo grazie all'ottimo lavoro di NetherRealm Studios, che a partire dal reboot della serie avvenuto nel 2011, ha saputo poi mantenere sempre alto il livello qualitativo dei successivi capitoli rinnovando gradualmente alcuni aspetti senza però stravolgere troppo il concept da sempre alla base del brand. Così il team è riuscito a rilanciare alla grande un franchise di successo nato più di vent'anni orsono dall'inventiva di due talentuosi giovani, John Tobias e Ed Boon, che nel tempo ha trovato sbocco perfino in altri settori dell'intrattenimento, compresi fumetti, gadget, film, cartoni animati e merchandise vario.
Grosso guaio a Chicago
Agli inizi degli anni '90 i due game designer si ritrovarono presso gli studi di Midway Games Inc., a Chicago, dove lavoravano rispettivamente sul coin-op Total Carnage come grafico, e nella divisione flipper come programmatore. Il loro incontro segnò una svolta decisiva per entrambi e per i videogame. Accomunati dalla passione per le pellicole di kung fu, per il fantasy e per il genere avventuroso, Tobias e Boon coltivavano anche l'idea di creare qualcosa di originale in ambito videoludico. Un titolo particolare, che offrisse magari proprio una commistione di questi generi e che presentasse una veste grafica come non si era mai vista all'epoca, con personaggi realistici e di grosse dimensioni sullo schermo. Da questo punto di vista, soprattutto Tobias, contava di sfruttare la ultra quarantennale esperienza di WMS Industries, l'azienda produttrice di macchine da gioco che aveva acquisito un paio di anni prima Midway e che all'epoca era una delle più all'avanguardia nel settore tecnologico.
In quel periodo, infatti, la ex Williams Electronics aveva sviluppato una tecnica di digitalizzazione in grado di filmare degli attori dal vivo per poi utilizzarne le animazioni nei giochi, e per Tobias quella tecnologia era l'ideale per il suo progetto, che iniziava a prendere forma in un gioco di combattimento a tema ninja, ma sullo stile del coin-op Karate Champ, che amava giocare quando frequentava il liceo. Dopo qualche problema con i vertici Midway, inizialmente dubbiosi sul progetto, e un paio di tentativi falliti di legarlo a qualche licenza cinematografica, come i film Universal Soldier (I nuovi eroi) e Bloodsport (Senza esclusione di colpi) e quindi alla figura del loro protagonista, Jean-Claude Van Damme, i due ottennero il via libera. Galeotto fu il successo di Street Fighter II: The World Warrior, che proprio in quel periodo spopolava anche nei cabinati statunitensi e che quindi convinse Midway a dare l'ok al progetto, nel frattempo ribattezzato Mortal Kombat.
Ma il titolo pensato da Tobias e Boon nulla aveva a che vedere con quello di Capcom: anch'esso era un picchiaduro a incontri, ma puntava molto sul realismo e la violenza, strizzando l'occhio a livello di ambientazione alla mitologia cinese, calata però in una realtà "attuale" tipicamente occidentale, sulla falsariga di quanto si era visto per esempio al cinema nel film Grosso guaio a Chinatown. Programmato in dieci mesi a partire dal 1991 da un team di appena quattro persone formato da Ed Boon (capo programmatore), John Tobias (capo progettista e responsabile della grafica), John Vogel (grafica) e Dan Forden (musiche), Mortal Kombat arrivò nelle sale giochi nordamericane nel 1992 e poi, l'anno successivo, nelle case di migliaia di utenti attraverso una serie di porting per le principali console del periodo. Il suo impatto sul pubblico fu a dir poco devastante: la grafica realistica, la giocabilità e la violenza mostrata senza censure (almeno nei cabinati) che veniva sublimata dalle Fatality, le violente mosse finali simbolo della saga, conquistarono in breve tempo i videogamer.
Dal gioco al cinema
Ma il successo, si sa, non attira solo attenzioni positive e con i primi giudizi negativi di certa opinione pubblica arrivarono quindi anche i primi guai giudiziari. Le autorità americane e successivamente quelle di mezza Europa lo condannarono immediatamente, bollandolo come diseducativo e violento, mentre in alcuni Paesi si parlò addirittura di bannarlo. Sull'onda dell'indignazione di parenti e benpensanti, iniziò quindi a tutti gli effetti il percorso di censura videoludica e preoccupazione sugli effetti della violenza digitale che avrebbe portato alla creazione dell'Entertainment Rating Board nel 1994, un ente che classifica tutti i videogiochi pubblicati nel nordamerica in base al loro contenuto. Questo per aiutare i genitori e i ragazzi nello scegliere i videogiochi più appropriati per loro, e per evitare guai ai publisher.
Tornando sull'argomento Mortal Kombat, le critiche al gioco furono davvero feroci, ma paradossalmente finirono per fargli pubblicità. Così, nonostante il trambusto scatenato sull'opera, il team di sviluppo tirò dritto per la sua strada, sviluppandone un seguito. Mortal Kombat II arrivò nelle sale nell'aprile del 1993 accompagnato dal solito corollario di polemiche: il prodotto si rivelò molto simile al predecessore nelle meccaniche, ma offrì comunque diversi spunti inediti, come l'aggiunta di un maggior numero di personaggi, stage interattivi e una grafica ancora più realistica per l'epoca. Per non parlare di una certa satira probabilmente introdotta da Boon e Tobias in risposta alle polemiche sulla violenza nel gioco, rappresentata dalle Babality e dalle Friendship, ovverosia varianti delle Fatality che trasformavano rispettivamente i nemici in neonati o gli facevano assumere atteggiamenti amichevoli con i loro avversari.
Mortal Kombat II bissò il successo del predecessore, superandolo nelle vendite, con centinaia di cabinati piazzati in tutto il mondo. Un'affermazione sancita l'anno successivo, quando il gioco entrò nelle case di tantissimi appassionati grazie alla sua conversione per tutte le piattaforme domestiche in voga nel periodo. La creatura di Boon e Tobias era ormai diventata un fenomeno globale pronta a espandersi in altri settori dell'intrattenimento: quotidiani, TV, il titolo era sulla bocca di tutti e, soprattutto, continuava a mietere successi e apprezzamenti in sala giochi e nelle console di milioni di ragazzi. In una puntata della settima stagione de I Simpson, Mortal Kombat diventava perfino l'oggetto del desiderio di Bart Simpson, il quale era disposto a tutto pur di accaparrarsi una copia di "Tempesta d'Ossa", com'era stato ribattezzato il gioco nel cartone animato.
Motivo per spingere ovviamente Midway a far progettare un terzo capitolo di quella che ormai stava diventando una vera e propria saga, e Hollywood a interessarsi al fenomeno. Così, di pari passo con l'uscita di Mortal Kombat 3 (1995), arrivò un primo adattamento cinematografico diretto da Paul W. S. Anderson e con protagonisti Robin Shou, Christopher Lambert e Linden Ashby. La pellicola divise la critica, ma si rivelò un successo commerciale, al contrario di quanto accadde per Mortal Kombat 3: le vendite del gioco furono infatti al di sotto delle aspettative. Secondo la critica l'insuccesso fu dovuto a diversi fattori, comprese alcune scelte errate del team in fase di sviluppo e progettazione, e l'esplosione della grafica tridimensionale, con Virtua Fighter e Tekken che spopolavano ormai sui cabinati e nelle console domestiche.
Il passaggio al 3D
Midway cercò di ovviare alle carenze del terzo capitolo rilasciando Ultimate Mortal Kombat 3 (1995) e Mortal Kombat Trilogy (1996), versioni migliorate dell'originale che reintroducevano per esempio personaggi e stage precedentemente rimossi, o limavano qualche elemento del gameplay che non aveva soddisfatto appieno i fan, ma invano. La grafica 2D con personaggi digitalizzati sembrava aver stancato il pubblico, e presso Midway si avvertiva la necessità di dare una svolta alla saga, ovverosia di trasportare tutta la violenza e il divertimento della serie nella terza dimensione. L'ammodernamento di Mortal Kombat doveva quindi ripartire dal motore grafico, idea accarezzata già ai tempi della progettazione di Mortal Kombat 3, ma poi accantonata perché, a detta di John Tobias, il gruppo riteneva questa tecnologia ancora troppo grezza e non era entusiasta dell'idea di trasformare in una sorta di versione "a blocchi" i "suoi" lottatori.
Mentre Ed Boon dirigeva i lavori del quarto capitolo regolare della serie, John Tobias si divideva con un altro progetto che stava curando in prima persona alla guida di uno staff composto da otto elementi, vale a dire Mortal Kombat Mythologies: Sub-Zero. Si trattava del primo di una serie di spin-off che nelle intenzioni del game designer avrebbero dovuto espandere l'universo di Mortal Kombat in una serie di videogiochi action-adventure con elementi platform, ma che in realtà si riveleranno un vero e proprio fiasco. Rilasciato su PlayStation e Nintendo 64, Mortal Kombat Mythologies: Sub-Zero venne bocciato da gran parte della critica e addirittura etichettato negli anni a venire come il secondo peggior gioco di Mortal Kombat dopo il futuro Special Forces.
Nel frattempo anche l'arcade di Mortal Kombat 4 debuttava nelle sale sempre nel mese di ottobre del 1997, mentre l'anno dopo venne convertito su PlayStation, Nintendo 64, PC Windows e Game Boy Color. E anche per lui, nonostante la novità del nuovo engine grafico e l'introduzione di armi e schivate laterali, l'accoglienza si rivelò piuttosto tiepida. La giocabilità non era male, ma per molti appassionati e diversi critici era sempre la stessa, l'opera mancava di creatività, e la violenza sprigionata ora in 3D non sembrava più sufficiente a far colpo sul pubblico e a far risaltare il titolo rispetto alla concorrenza. Il 1997 non si rivelò un anno fortunato nemmeno al cinema, dove a novembre arrivò il secondo film ispirato alla saga. Intitolata Mortal Kombat - Distruzione totale, la pellicola vedeva protagonisti una serie di nuovi e perlopiù sconosciuti attori nei panni dei vari lottatori. Criticata per l'incoerenza di molti aspetti della storia, gli effetti speciali a basso budget e le scene di lotta insensata, oltre che per la scarsa interpretazione degli attori, la produzione fu un mezzo fiasco ai botteghini e venne stroncata dalla critica.
All'inferno e ritorno
Nel frattempo John Tobias, convinto della bontà del suo progetto, portava avanti i lavori su un secondo spin-off, il sopra citato Mortal Kombat: Special Forces. Lo sviluppo del gioco si rivelò però piuttosto travagliato, soprattutto per una serie di problemi interni, col risultato che Tobias e metà dello staff lasciarono Midway: per il co-creatore della serie il capitolo Mortal Kombat si chiuse definitivamente. Rimandato più volte, rivisitato e privato di molte delle caratteristiche promesse nel corso dello sviluppo, Mortal Kombat: Special Forces uscì comunque su PlayStation nel 2000 e fu un vero disastro. La trama era confusionaria e banale, per non parlare della scarsa giocabilità e dei diversi problemi tecnici che affliggevano il gioco. Una volta toccato il fondo, per la saga di picchiaduro Midway sembrava essere calato definitivamente il sipario.
Negli anni successivi riappariva su Game Boy Advance e Nintendo DS con il porting del vecchio Ultimate Mortal Kombat 3, e in un nuovo episodio regolare intitolato Mortal Kombat: Deadly Alliance per PlayStation 2, GameCube e Xbox, il primo con il solo Ed Boon alle redini. Dopo anni di magre caratterizzati da progetti falliti o mediocri, la serie sembrò in parte ritrovarsi grazie a un rinnovato sistema di combattimento incentrato sull'uso di armi e su diversi stili di lotta, e a un nuovo motore grafico che funzionava a dovere. Il nuovo corso intrapreso da Midway sembrò dare i primi frutti, così a due anni esatti di distanza, nel 2004, arrivò nei negozi Mortal Kombat: Deception, il sesto capitolo regolare. Mosse più reattive, nuove combo ridisegnate per l'occasione, due Fatality per ciascun lottatore, tanti personaggi tra i quali scegliere, l'apertura all'online e una giocabilità bilanciata e divertente ne decretarono il successo. Un'affermazione corroborata da oltre un milione di unità vendute e dai diversi premi ricevuti: una soddisfazione per l'azienda che stava vivendo un periodo difficile a livello di introiti.
Con una risposta di pubblico e critica nuovamente positiva, il publisher poté dare il via libera definitivo per un terzo spin-off e un altro episodio regolare. Si trattava rispettivamente di Mortal Kombat: Shaolin Monks (2005), diretto stavolta da Ed Boon e sviluppato da alcuni team interni per PlayStation 2 e Xbox, e Mortal Kombat: Armageddon (2006), anch'esso per le console di Sony e Microsoft, e successivamente per Nintendo Wii. Ancora una volta l'accoglienza di addetti ai lavori e videogamer fu positiva, pur non facendo gridare al capolavoro: il primo ottenne consensi soprattutto per la sua modalità cooperativa, mentre il secondo per la presenza di tutti i personaggi della saga, per un totale di sessantadue combattenti, e per la modalità Konquest, una variante action 3D alla struttura tipica di Mortal Kombat. Non mancò però qualche critica, per la mancanza di reali novità in termini grafici e di stili di combattimento. Ma le critiche erano nulla in confronto a quello che stava per accadere alla serie. La situazione economica di Midway continuava infatti a peggiorare a vista d'occhio, e il rischio fallimento era dietro l'angolo.
L'ultimo gioco della serie prima della bancarotta, preceduto da un paio di porting di precedenti edizioni su PlayStation Vita e Nintendo DS, fu Mortal Kombat vs. DC Universe, un crossover con il mondo dei personaggi di DC Comics che ottenne un discreto successo di critica. Nel 2009 la società andò in bancarotta e gran parte dei suoi asset vennero comprati da Warner Bros. Interactive Entertainment per 33 milioni di dollari circa. L'azienda acquisì anche i diritti di Mortal Kombat, un franchise che voleva assolutamente rivalutare e mantenere in vita. Mortal Kombat non era più il fenomeno globale degli anni '90, e la serie sembrava troppo ferma su sé stessa. Nel tentativo di rilanciare la saga Warner Bros. Interactive Entertainment decise di affidarsi al team di sviluppo dei NetherRealm Studios, team interno diretto nientemeno che da Ed Boon. Questi, ripreso in mano la sua serie, decise di ripartire dalle fondamenta, adottando per il rilancio una formula che aveva fatto la fortuna di Capcom negli ultimi anni: coniugare una grafica che sfruttava la terza dimensione con un gameplay ancorato alla più tradizionale espressione del picchiaduro, azzerando la saga e facendola ripartire praticamente daccapo. E i risultati non si fecero attendere: dal 2011, data di rilascio del reboot intitolato solamente Mortal Kombat, a voler sottolineare il nuovo inizio, il franchise è tornato a splendere, e a oggi resta una delle migliori espressioni del genere picchiaduro a incontri disponibile sul mercato.