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Nioh 2, la difficoltà e l'evoluzione del genere

Nioh 2 fa della sua difficoltà un marchio di fabbrica, ma anche un elemento in grado di allontanare molti. È davvero così importante vivere su questo confine tra la sfida e la frustrazione?

SPECIALE di Emanuele Gregori   —   16/03/2020
Nioh 2
Nioh 2
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Quando abbiamo approcciato Nioh 2 per scrivere la recensioneci siamo resi conto in fretta del livello di brutalità al quale ci veniva chiesto di abituarci velocemente. L'uscita della patch 1.02 qualche giorno dopo, seppur senza dichiarazioni ufficiali, ci ha messo nella condizione di percepire meno la durezza di alcuni colpi incassati, ma allo stesso tempo non è possibile decretare quanto questo fosse riconducibile alla semplice esperienza accumulata pad alla mano. Quel che è certo è che il nuovo gioco del Team Ninja non risparmia nessuno, soprattutto nelle sue primissime ore, che si rivelano essere indubbiamente le più proibitive. Alla luce di questo ci sentivamo di analizzare le scelte effettuate dal team di sviluppo e capire quanto manca prima che il grado di difficoltà si tramuti in totale frustrazione e mancanza di divertimento.

L'impatto iniziale

Vogliamo essere sinceri fino in fondo: dopo le prime cinque ore di gioco eravamo convinti che Nioh avesse fallito su tutta la linea. Lo scambio di opinioni con gli altri stimati colleghi, che stavano compiendo insieme a noi il viaggio verso la recensione, non faceva che confermare questa sensazione. La percezione di trovarsi di fronte ad un titolo pesantemente sbilanciato, ancor più punitivo del primo capitolo e soprattutto tendente alla frustrazione, ci stava pian pian spingendo verso la consapevolezza che, nel riempire il mondo di gioco di yokai, si fosse colpevolmente perduta la bussola del bilanciamento dell'esperienza. Ciò che più ci toccava come giocatori esperti del genere era la totale mancanza di sensazione di crescita personale. Morire costantemente senza la minima percezione di progressione porta inevitabilmente a superare un determinato step solo quando ormai non ci si diverte più e lo si fa per ostinazione o, come può capitare nel nostro caso, per necessità professionale.

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L'epifania

Passano le prime dieci ore e si completa la prima regione nella sua interezza. Una volta fatto si ripensa alle imprese compiute, ai boss "sbagliati" che si sono incontrati e alle capacità apprese. È quel momento nel quale ci si chiede se il peggio è passato, se l'esperienza ci ha resi migliori, se l'aver preso la giusta dimestichezza col ritmo ki e con il contrattacco esplosivo possa ora essere sufficiente ad affrontare tutto ciò che il gioco ci presenterà innanzi. Ciò che però si comprende un piccolo passo per volta è che non è tanto quella crescita personale come giocatore a cambiare le carte in tavola, quanto la crescita del protagonista.

Iniziare a spendere qualche punto abilità nel modo giusto, sbloccare qualche ninjutsu e qualche talismano magico e prendere fiducia con gli strumenti che Nioh 2 mette a disposizione, sono le prove tecniche di chi sta raggiungendo l'epifania e sta pian piano apprendendo una regola base: la prima regione del gioco non conosce bilanciamento. È come se tutta l'esperienza, dal primo all'ultimo contenuto sia stata tarate su una singola idea di difficoltà media. Questo si tramuta in un incubo delle prime ore e in una mezza passeggiata finale, lasciando alla parte centrale del viaggio quei momenti di sana sfida bilanciata.

A ben vedere questa è la stessa problematica che si presentava tre anni fa col primo capitolo, ma qui si amplifica, si innalza ad un livello tale da rischiare di portare tanti giocatori ad abbandonare ancor prima di aver compreso se possono o meno andare avanti. Certamente stiamo esagerando, quantomeno per farvi comprendere cosa significa trovarsi in questa condizione quando si è solo una manciata di persone a testare il gioco in anticipo, e come detto la patch 1.02 a nostro parere ha modificato qualcosa, specialmente nel cosiddetto damage output: il danno arrecato da noi ai nostri avversari. Nonostante questo non possiamo non addossare la colpa ad un peccato di leggerezza da parte del team, che ha imbastito un grande gioco, lasciando un po' da parte un altrettanto enorme dettaglio.

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È necessario?

Questa resta l'annosa domanda. Quella che tanti si pongono anche dialogando con gli amici o che pongono a tutti quelli che passano le loro ore tra un Nioh è un Sekiro. La realtà è che questa ricerca di sfida non è mai cambiata, son solo cambiati i modi con la quale la si approccia. Ci si scorda spesso che questo passatempo nasce e cresce in sala giochi, dove ogni moneta era una vita e quando là si perdeva si erano persi soldi per sempre. Per quanto l'approccio fosse totalmente differente sia per il fruitore che per lo sviluppatore, la ricerca del miglioramento inizia in quei luoghi. Morire e ritentare costantemente non è così diverso da quel che si faceva con un Ghouls'n and Ghost qualsiasi, con la differenza che oggi forse si ricerca nel videogioco più l'esperienza mediatica, l'opera d'arte che non quella specificatamente interattiva.

Partendo da queste basi è semplice arriva a comprendere per quale motivo un genere come quello del souls-like - ai quali Nioh si avvicina sotto determinati aspetti ma del quale non fa assolutamente parte a nostro vedere - sia considerato alla stregua delle esperienze più difficili della storia recente. Ci si dimentica spesso del passato dal quale si arriva ed in questo caso significa dimenticarsi delle basi. Ovvio che tutta una generazione di videogiocatori più giovani non hanno conosciuto questa fase, ma è indubbio che la ricerca della sfida sia esattamente quella, seppur riadattata alla maturazione del medium.

Alla luce di questo resta solo da comprendere quanto un titolo sia bilanciato o meno, quanto quell'esperienza di sfida viva sul confine labile tra la soddisfazione e la frustrazione e quanto questa sensazione sia trasferibile a più giocatori possibile per la totalità della durata dell'esperienza. È qui, su questo aspetto così preciso e regolato che Nioh perde qualcosa, dimenticandosi della sfida e ricordandosi in maniera indiretta di essere semplicemente difficile. Forse se cominciassimo a cambiare tra la "scelta della difficoltà" e quella del "grado di sfida" sarebbe più chiaro a tutti quale sia davvero il suo scopo.

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