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Prince of Persia: The Lost Crown è un messaggio per Ubisoft e per l'industria intera

Grandi sviluppatori che realizzano videogiochi più piccoli: Prince of Persia The Lost Crown, uno dei giochi Ubisoft migliori, è un messaggio per l'industria intera.

SPECIALE di Lorenzo Mancosu   —   15/01/2024
Prince of Persia: The Lost Crown è un messaggio per Ubisoft e per l'industria intera
Prince of Persia The Lost Crown
Prince of Persia The Lost Crown
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Quando si chiacchiera dell'andamento del mercato dei videogiochi capita sempre più spesso di fare riferimento ai "bei tempi andati", ripensando al passato glorioso di numerose grandi case di sviluppo che, forse per l'inseguimento di un pubblico più ampio o forse per semplici errori della dirigenza, sembrano aver smarrito la propria bussola creativa. "Bethesda Softworks non è più la stessa di Oblivion". "Che bello quando Square-Enix faceva ancora i veri Final Fantasy". "Non è più la Blizzard Entertainment di una volta". Pensieri di questo genere attraversano di continuo la mente degli appassionati, ma quando si discute di grandi eredità macchiate è diventato praticamente uso comune puntare il dito contro Ubisoft: al colosso francese si è rimproverato per anni il fatto d'essersi ancorato a una formula di videogiochi open-world realizzati "con lo stampino", di aver calato all'improvviso il sipario sull'era dell'UbiArt Framework, in sostanza di aver abbassato visibilmente l'asticella qualitativa delle proprie produzioni.

Per questi giocatori se Ubisoft è diventata Ubisoft lo deve infatti alle pietre miliari che hanno costellato l'immaginario legato a Rayman, in particolare Legends e The Great Escape, all'istituzione della serie Tom Clancy's Splinter Cell poi maturata in capitoli amati come Chaos Theory, all'ideazione della saga di Ezio Auditore che ha portato nel mondo dei grandi l'universo di Assassin's Creed, ma anche a Valiant Hearts, a Prince of Persia: The Sands of Time, a Far Cry 3 e a dozzine di altre produzioni capaci di catturare il cuore del pubblico. Oggi, all'alba di un 2024 che si appresta ad alzare il sipario su Skull and Bones - ulteriore tentativo di penetrare la dimensione dei giochi come servizi - una prima redenzione è arrivata per mezzo di Prince of Persia: The Lost Crown, progetto più contenuto dei maestri di Ubisoft Montpellier che ha ricevuto le migliori valutazioni da parte della critica (qui trovate la nostra recensione) da diversi anni a questa parte. È questa la strada giusta da percorrere per riagguantare l'amore degli appassionati?

Prince of Persia nella Ubisoft contemporanea

A eccezione di Mario+Rabbids, erano anni che un videogioco Ubisoft non riceveva recensioni tanto entusiaste
A eccezione di Mario+Rabbids, erano anni che un videogioco Ubisoft non riceveva recensioni tanto entusiaste

A eccezione del Mario+Rabbids di Ubisoft Milan, era dall'istante della pubblicazione di Assassin's Creed: Valhalla che un videogioco di bandiera di Ubisoft non riusciva a oltrepassare la soglia dell'80 nella media globale delle valutazioni della critica. Avatar: Frontiers of Pandora non è infatti riuscito a convincere fino in fondo la stampa specializzata, stesso destino toccato alla recente deviazione di Assassin's Creed: Mirage, ma soprattutto al The Crew: Motorfest di Ubisoft Ivory Tower. Roller Champions è stato accolto in maniera disastrosa, Tom Clancy's Rainbow Six Extraction è svanito in una nube di fumo a poche settimane di distanza dal lancio, Riders Republic non ha raccolto il successo sperato, mentre Far Cry 6 si è rivelato di gran lunga il capitolo moderno peggio recepito tanto dai recensori quanto dagli appassionati della serie open-world, esattamente come accaduto al cugino Watch Dogs Legion. Insomma, se da una parte è già molto difficile imbattersi in un titolo realizzato dalla casa che sia stato considerato anche solo un buon gioco, per incontrare produzioni eccellenti o addirittura capolavori conclamati bisogna tornare più d'un lustro indietro nel tempo.

Ciò detto, quando si parla di mercato l'ultima parola spetta sempre agli appassionati: Mario+Rabbids: Sparks of Hope e Immortals: Fenyx Rising, pur spiccando fra i videogiochi meglio accolti, non sono riusciti a rispettare le proiezioni di vendita del publisher, portando nel caso di Ubisoft Quebec anche alla cancellazione del seguito, trasformando di fatto Assassin's Creed: Valhalla nell'ultima fatica che si può oggettivamente definire riuscita a tutto tondo. Ma ora la storia potrebbe cambiare grazie al Prince of Persia: The Lost Crown di Ubisoft Montpellier - storico studio che ha curato la serie Rayman - che si presenta come un progetto agli antipodi rispetto al portfolio più recente del publisher: incarna un'idea decisamente più contenuta del prodotto AAA, non è un open-world, è lontanissimo dall'idea di gioco come servizio, è stato accolto con grande entusiasmo, e soprattutto non richiede né i tempi né i costi di sviluppo di un'opera da prima pagina.

Ridurre costi e dimensioni dei giochi anziché aumentarle

Hi-Fi Rush di Tango Gameworks è un altro esempio di un gioco più compatto pubblicato da una grossa società
Hi-Fi Rush di Tango Gameworks è un altro esempio di un gioco più compatto pubblicato da una grossa società

Michael Douse, Director of Publishing di Larian Studios, è convinto che l'ultimo capitolo di Prince of Persia sia: "Un esempio splendente di come le compagnie più grandi riescano a fare un gioco migliore riducendo i costi anziché aumentarli. Probabilmente si possono vendere più copie di uno straordinario metroidvania anziché un classico AAA mediocre". Nello stesso intervento ha anche aggiunto: "Forse l'industria AAA si sta rendendo conto (a causa dell'affaticamento degli open-world) che la compattezza vince sulla scala? È inevitabile notare quel che sta accadendo con Dave the Diver, Dead Cells, Blasphemous, ora Prince of Persia, eccetera". Si può essere o meno d'accordo con quanto dichiarato da Douse, ma ci sono due evidenze che stanno diventando sempre più difficili da ignorare: la prima è che la vecchia "formula vincente" che sta ancora dominando la produzione di molti publisher AAA - ovvero quella della grande avventura d'azione se possibile anche open-world - si trova sempre più spesso a faticare nel confronto con ispirazioni differenti, per esempio lo stesso Baldur's Gate 3, mentre la seconda è che alcuni fra i più elevati picchi qualitativi s'incontrano in progetti più contenuti e compatti del solito.

Prince of Persia: The Lost Crown di Ubisoft Montpellier non è un caso isolato: Microsoft ha dato l'opportunità a un piccolo team di Obsidian Entertainment di sviluppare il suo Pentiment, mentre dalle parti di Tango Gameworks quell'opportunità si è presentata nella forma di Hi-Fi Rush, che sicuramente non rappresenta il grande gioco AAA al quale siamo ormai abituati. È indubbio che non si tratta di grandi blockbuster nati per produrre ricavi, come d'altronde la maggior parte dei progetti indipendenti, ma è altrettanto chiaro che si tratta di opere intrinsecamente sostenibili e capaci d'incontrare più facilmente il favore del pubblico, cosa che dalle parti della moderna Ubisoft è tutt'altro che scontata. Sarà molto interessante, in questo senso, scoprire l'andamento dell'ultimo metroidvania della casa in termini di vendite: se dovesse rivelarsi un discreto successo commerciale, potrebbe diventare un'ulteriore testimonianza del fatto che un possibile futuro sostenibile risiede in titoli AAA e AA pensati e prodotti su una scala più contenuta, tanto in termini di costi, quanto di tempi di sviluppo ma soprattutto per quanto riguarda il concetto e le meccaniche di gioco.

Nel futuro di Ubisoft è solo una mosca bianca?

Il futuro di Ubisoft racconta però una storia molto diversa, a partire dall'imminente Skull and Bones
Il futuro di Ubisoft racconta però una storia molto diversa, a partire dall'imminente Skull and Bones

Se da una parte è dal progetto Assassin's Creed Mirage che traspare una certa volontà di Ubisoft di rivedere i propri processi e ridurre la scala di determinate produzioni, il 2024 e il futuro della compagnia raccontano una storia molto diversa. Febbraio sarà infatti il mese di Skull and Bones: il progetto ebbe origine addirittura nel 2013 come DLC di Assassin's Creed: Black Flag, salvo poi diventare lo spin-off Black Flag Infinite e infine trasformarsi nell'esperienza completamente indipendente che abbiamo visto per la prima volta nell'ormai lontano 2017, restando di fatto in sviluppo per undici anni in totale. Non si tratta tuttavia del record assoluto della casa: con diciassette anni effettivi di sviluppo alle spalle, Beyond Good & Evil 2 è infatti il videogioco con i tempi più dilatati nell'intera storia dell'industria; l'ultima comunicazione di natura positiva risale ancora al trailer mostrato durante l'E3 del 2016, ma sono in molti a speculare che la finestra di lancio sia ormai vicina. Problemi di questo genere hanno toccato anche opere sulla carta più semplici, su tutte Prince of Persia: The Sands of Time Remake, annunciato durante l'evento UPlay del 2020 e quest'anno completamente riavviato dopo la transizione a Ubisoft Montreal.

Restando nell'orbita dei videogiochi ufficialmente previsti per il 2024, accanto al titolo piratesco troviamo XDefiant, il rivale di Call of Duty sviluppato da Ubisoft San Francisco, e quello Star Wars Outlaws che presumibilmente ha impegnato la maggior parte del tempo e della forza lavoro di Massive Entertainment. Guardando invece l'orizzonte, oltre i succitati titoli, vale la pena menzionare il remake di Tom Clancy's Splinter Cell a firma di Ubisoft Toronto, il The Division Heartland annunciato originariamente nel 2021, nonché ovviamente i diversi progetti legati alla serie di Assassin's Creed nelle fucine di Quebec e Montreal. In un panorama di questo tipo è evidente che Prince of Persia: The Lost Crown appaia come un'assoluta mosca bianca: il lavoro di Ubisoft Montpellier rappresenta infatti l'unica produzione contenuta in un vortice di progetti decisamente più impegnativi - come già era accaduto all'epoca di Child of Light - molti dei quali ancorati alla formula del gioco come servizio.

Un potenziale messaggio per l'industria intera

La speranza è che sempre più studi abbiano occasione di fare cose diverse, come il Pentiment di Obsidian Entertainment
La speranza è che sempre più studi abbiano occasione di fare cose diverse, come il Pentiment di Obsidian Entertainment

L'andamento di Prince of Persia: The Lost Crown rappresenterà uno snodo fondamentale nella storia di Ubisoft: dopo aver convinto la critica come non accadeva da tempo, un'eventuale promozione sul fronte del pubblico potrebbe pavimentare la strada per un futuro di produzioni simili, o perlomeno ritagliargli una dimensione stabile. Certo, l'opera dovrà scontrarsi con una frangia dell'utenza che ha già scelto di bocciare a priori il lavoro di Ubisoft Montpellier in ragione della scala del progetto, della resa grafica e dell'adozione stessa di un'architettura a scorrimento, elementi più che mai distanti dai gusti e le esigenze di numerosi appassionati della tradizionale ricetta del publisher. Ma oltre a portare una revisione nel processo di produzione della compagnia, un possibile successo potrebbe riflettersi nel lavoro di altri grandi attori dell'industria.

In un'epoca di grandi cambiamenti, dove il Baldur's Gate 3 di Larian Studios vince il premio per il gioco dell'anno, Monster Hunter si trasforma in una serie da decine di milioni di copie vendute, Hollow Knight: Silksong del piccolo Team Cherry è uno dei titoli più attesi del 2024 e numerosi progetti indipendenti si trasformano in fenomeni di massa, quella dei grandi produttori che imboccano una direzione aliena agli standard del mercato è forse una fra le derive più interessanti in assoluto. La speranza è che, oltre ai riconoscimenti, progetti come The Lost Crown, Hi-Fi Rush, Pentiment e similari riescano a ottenere anche gli strumenti necessari per trasformarsi da casi isolati a membri in pianta stabile delle annate videoludiche.