Giochi di ieri, giochi di oggi
RetroLudica è la vostra rubrica dedicata ai giochi non più in commercio, funzionanti sui supporti e per i sistemi originali. Non è una rubrica dedicata all’emulazione, anche se di emulazione ci porterà a parlare. Il collezionismo e il classic gaming sono passioni comuni a milioni di giocatori. Noi vogliamo presentarvi titoli noti e meno noti, validi e meno validi, con uno sguardo particolare. In primo luogo, sfatando il più macroscopico errore di una certa “acritica” superficiale, quella votata senza saperlo al determinismo tecnologico: un gioco d’epoca, infatti, non è un gioco arretrato, inguardabile o da scartare incondizionatamente in favore di uno contemporaneo e più “avanzato”. Ottica, questa, che tradisce l’incapacità di valutare i giochi per il loro valore intrinseco e genera il cattivo paradosso per cui, se ogni gioco diventa “inguardabile” dopo pochi anni, si potrebbe allora ben concludere che non esista alcun gioco che sia bello di per se. Dobbiamo allora decantare le lodi di un gioco di ieri incondizionatamente, perché appartiene ai “bei tempi dei giochi di una volta”? No, grazie. Romantiche difese a oltranza dei “veri giochi” o squallide considerazioni sui “giochi vecchi e inguardabili” sono pseudo-correnti di pensiero che hanno la stessa ragione d’esistere: nessuna. Infatti, se un gioco era intrinsecamente scadente ieri, lo sarà anche oggi. Se è stato capolavoro ieri, lo sarà anche oggi. Quello che cambia è il contesto storico. Ma in questa rubrica vogliamo andare oltre anche il paradigma della validità intrinseca dei giochi: vedendovi documenti storici di epoche ludiche diverse, dotati di un ruolo, qualunque esso sia stato, nell’evoluzione e nella storia del gioco elettronico.
Today on Retro-Ludica... Pacman (Atari VCS2600)
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[/C] La conversione di Pacman per Atari VCS 2600 è probabilmente una delle più criticate e, di fatto, una delle meno riuscite versioni casalinghe di un hit arcade nella storia. In primo luogo, è nettamente inferiore a qualunque altra conversione per console della stessa epoca, accompagnandosi con un lavoro cacofonico sull’audio e da una proposta grafica di medio profilo. Di più, tradisce in larga parte persino lo stesso spirito ludico dell’arcade originale, presentandosi con un controllo e un’area di gioco abbastanza grossolani e privi dell’appeal dell’acclamata versione da sala giochi. La frenesia, la precisione e il crescendo dell’originale sono sostituiti da un’interazione blanda, imprecisa, noiosa quando non frustrante. Eppure, Pacman per il VCS26000 rimane un gioco dall’altissimo interesse. Perché?
Pacman nelle sale giochi era stato una rivoluzione: concept, design, cosmesi, controllo erano perfettamente integrati nel consegnare un gioco semplice quanto coinvolgente, immediato quanto impegnativo, leggero nell’approccio quanto granitico nella prova per l’eccellenza. Il gioco di inseguimenti reciproci e la semplice genialità del meccanismo di scambio del terrore lo impone come uno dei più grandi classici dell’intera storia videoludica, ma anche come il titolo più convertito, rimaneggiato, adattato, implementato, a volte plagiato, mutilato, rovinato. [C]
[/C] La conversione per Atari VCS2600, però, ha smarrito le qualità dell’arcade. Come in altre conversioni per console di quell’epoca (come quella per Coleco, decisamente la migliore) l’orientamento del labirinto è spostato in larghezza sul piano orizzontale, per adattare il gioco ai televisori, ben diversi dai monitor dei cabinati. Tuttavia, la trasformazione dei corridoi è radicale, grossolana, con proporzioni discutibili e che espongono le fughe del giocatore a contatti spesso evitabili con i letali fantasmini. Le collisioni proprio non vanno. L’utilizzo dell’audio, poi, fondamentale per accrescere la tensione delle fughe e degli inseguimenti, è del tutto antitetico al programma interattivo originario: cacofoniche, imprecise stringhe sonore si accavallano malamente all’ingurgitare di palline diventate irregolari linee di pixel, sparpagliate con una logica non del tutto evidente nei labirinti. L’interazione perde mordente, si rivela imprecisa ed espone, oltre che alla noia, alla frustrazione negli eventuali tentativi di estremizzare le performance. E’ interessante come il fenomeno di flickering degli sprites, ovviamente dovuto alla limitata memoria del processore, sia sfruttato in maniera cronicizzata sui fantasmini come per pretenderne una certa impalpabilità. E il flickering dei fantasmini, apparentemente secondario, si rivela indicativo della questione cruciale della conversione di Pacman: quella dei limiti tecnologici e dell’adattamento dei propositi ai vincoli tecnici. La cattiva conversione per il 2600 non può certo adagiarsi sulla comoda scusa delle limitazioni dell’hardware. L’arcade, è vero, presenta una cosmesi ricca per l’epoca, e fa del suo aspetto estetico e sonoro una componente non minoritaria dell’esperienza ludica nel suo complesso: tuttavia, anche il coin-op era esito di un processo di adattamento tra la fantasia dei designer e la tecnologia disponibile. Il Puckman sviluppato da Hideyuki Mokajima e Toru Iwatani, andrebbe notato, è un disco giallo con la bocca perché l’hardware non consentiva di dare vita alla visione originaria del protagonista: una pizza priva di uno spicchio. In secondo luogo, il dispositivo delle frenesia messo in gioco da Pacman avrebbe potuto tranquillamente prendere forma su anche sulla console Atari, magari in scala ridotta o sacrificando l’aspetto cromatico in favore della fedeltà alla meccanica di gioco. Anche l’incalzare sonoro, a ben vedere, con il pulsare del basso e il wakka wakka dell’omino giallo a rendere terrificante la sfida, poteva essere replicato. Ne sono dimostrazione le successive conversioni di Ms Pacman e Pacman Jr., trasposti con ben più fedeltà. Pacman Jr., in particolare, si presenta con un feeling fedelissimo a quello dell’arcade originale, mostrando altresì come fosse possibile implementare sprite fluidi, un sonoro martellante, un’area di gioco ampia e ben costruita e persino un lungo jingle iniziale.
Today on Retro-Ludica... Pacman (Atari VCS2600)
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Pacman per 2600, dunque, non ha goduto di particolari attenzioni sul piano del game design. Ma d’altronde i tempi della creatività al potere erano già terminati. La dirigenza Atari aveva già prodotto, con lo scollamento tra creativi e dirigenza, la celebre fuoriuscita di talenti che avrebbe dato vita alla prima third party della storia: la Activision, fondata da un gruppo di programmatori scontenti dei compensi e della politica sugli autori di Atari, che impediva la presentazione di un programma come frutto dell’opera creativa di singoli. Così, mentre all’Activision David Crane, Robert Whitehead, Larry Kaplan e Alan Miller utilizzano le capacità del VCS2600 per visioni creative che spingano al massimo la macchina, gettando le basi per capolavori come Pitfall, in Atari si persegue una politica di raffazzonate conversioni da sala, operate in mezzo a cause legali per proteggere il copyright su Pacman acquistato da Namco e poste sul discutibile principio della mutilazione degli originali perché potessero essere digeriti il prima possibile dalla console. Non sorprende che Pacman, riprogrammato da Todd Frye, sia criminalmente messo in commercio nonostante i suoi evidenti limiti. Fruttando, peraltro, poco meno di dieci milioni di copie vendute, e un milione di dollari in royalties al programmatore: la posizione privilegiata di VCS sul mercato impedì a conversioni più meritevoli di decollare in maniera proporzionale al loro valore. [C]
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La conversione di Pacman per atari VCS2600 è interessante perché “è pur sempre Pacman” in anni di quasi-sinonimia tra Atari e videogiochi. Attraverso il gioco è possibile leggere un intero, compiuto capitoletto della storia dell’industria videoludica. Interesse storico a parte, come dispositivo ludico il gioco fallisce: non perché sia oggettivamente ingiocabile o scarso, ma perchè in fondo è mediocre nell'intrattenere, e incapace di rispettare il geniale ritmo di gioco dell’arcade o di riprodurlo in scala anche ridotta. In ultima analisi, Pacman per VCS2600 finisce col diventare noioso: eresia, sommo torto a un un immortale (controllate le uscite su qualunque piatatforma) strizzacervelli come l’originale. Pacman nelle sue versioni fedeli all'originale è all’antitesi programmatica della noia, mentre dal canto suo la cartuccia per 2600 non è neanche un pezzo da collezione particolarmente ricercato, data la sua relativa diffusione e reperibilità. Se cercate un Pacman solo per altre ore di gioco con la vostra softeca Atari, quindi, date la precedenza a Jr. Pacman. Ne guadagnerete in divertimento e valore. Forse, anche in ricercatezza collezionistica.
La Storia, il Gioco, il Voto: il criterio di RetroLudica...
10 - Rarissimo picco ludico-creativo, il gioco eccelle per compiutezza e/o per l’estrema originalità, oltre a distinguersi per l'imprescindibile rilevanza storica, industriale o di design.
9 - Eccellente sotto ogni aspetto o dotato di fortissima identità, il gioco da 9 è la cosiddetta killer application di un dato sistema, o uno dei migliori esiti in assoluto di un genere o di uno stile ludico.
8, 7, 6 - Idee e aspetti riusciti sono in tensione con limiti strutturali o accidentali. La riuscita ludica ed espressiva di questi artefatti è oscillante: più si sale, più si fa altamente e universalmente godibile; più si scende, più i difetti che vi agiscono mettono in luce uno sviluppo distintivo smarrito per strada e che li espone all’oblio ludico.
5 - Di mediocre riuscita ludica o espressiva, è un gioco in cui l’interesse di tipo storico rischia di prevalere sul piano dell’intrattenimento che può fornire.
4, 3, 2 - L’interesse storico per simili giochi prevale nettamente sulla loro qualità ludico-espressiva. I titoli più in alto verso il 4 presentano grossi limiti interattivi, mentre scendendo si fa sempre più netto il confine tra quello che è giocabile e quello che non lo è.
1 - Del tutto inconsistenti, le proprietà ludiche di questi non-giochi cedono il posto a un interesse di tipo tecnologico-componentistico e dei materiali.
0 - Un punto limite di tipo (non troppo) teorico: presso lo zero l’artefatto è considerabile privo di interesse anche merceologico, come un mero fattore di inquinamento ed entropia per l’ambiente.
Il vero Pacman: l'arcade
Condensare in una recensione l’importanza storica e il valore ludico seminale di un arcade e di un concept come quello di Pacman è certamente impresa eretica. Ci basterebbe solo elevare un tempio al mai troppo lodato Toru Iwatana. Alla sua uscita, Pacman (trasformazione dall’originale giapponese Puckman, per timore delle “correzioni” dei vandali) rivoluziona le arcade. Si discosta dal modello di shooter tipico della proposta dell’epoca, presenta un immaginario ludico meno specifico di quello fantascientifico, con una vera icona, un personaggio più adatto a un target ampio e che comprende il popolo femminile. E incarna un design non del tutto inedito (non si può dire che “inventi” del tutto il maze game, eppure sfonda il genere diventando cosa a parte) ma perfettamente calibrato, fatto di frenetici inseguimenti, scambi tra vittima e aggressore, utilizzo strategico degli spostamenti e delle pillole speciali che, da mangiatore di palline in fuga dai fantasmini, ci trasforma in invincibile divoratore per pochi, cruciali secondi. Pacman è un fenomeno di massa: supera a mani basse ogni record di unità arcade commercializzate in America e in Giappone, causando anche un inatteso torrente di giustificazioni scolastiche per le assenze dei ragazzini, i quali consumano ogni residuo di paghetta per affrontare il labirinto dalle pillole gialle. Ma Pacman è anche fenomeno di longevità. E oggi, dopo miriadi di sequel, conversioni, remake, spin-off e variazioni sul tema, grazie alla genialità di Shigeru Miyamoto arriva in multiplayer su GameCube con Pacman VS, una delle migliori variazioni in assoluto in una storia di due decadi e mezzo, anch’essa tanto semplice quanto geniale. Per non parlare dei prossimi esperimenti su Nintendo DS. Quando un concept ludico è tanto semplice quanto geniale, migra con facilità su ogni supporto e trascende la corsa evolutiva della tecnologia.
Voto: 10