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Shenmue è il miglior videogioco per comprendere la cultura giapponese

Abbiamo chiesto al Prof. Simone Bregni, docente presso la Saint Louis University, che per insegnare la lingua e la cultura italiana agli stranieri utilizza i videogiochi, di spiegarci la valenza culturale e didattica del "fenomeno Shenmue".

SPECIALE di La Redazione   —   22/01/2019
Shenmue III
Shenmue III
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L'occasione è quella ghiotta dell'uscita dei remaster HD di Shenmue e Shenmue 2, qualche mese addietro, e dell'arrivo del terzo capitolo la prossima estate. Evento che ci dà l'opportunità di approfondire i motivi del successo di questo videogioco, nonché di analizzare alcuni elementi che spesso rimangono latenti quando si parla di un titolo così importante. Shenmue con il passare del tempo è diventato un fenomeno, presentando delle meccaniche e delle dinamiche di gioco sconosciute per l'epoca. L'elemento di maggior rilievo del titolo giapponese è quello che permetteva un'immedesimazione pressoché totale nella cultura giapponese grazie ad un'esperienza cinematica. Abbiamo chiesto al Prof. Simone Bregni, docente presso la Saint Louis University che per insegnare la lingua e la cultura italiana agli stranieri utilizza i videogiochi - qui l'articolo dove ci spiega come ha impiegato Assassin's Creed all'interno della sua didattica- e grande appassionato della serie, di spiegarci cosa rappresenta per lui questo titolo e qual è la sua valenza culturale e didattica.

"Shenmue è davvero una pietra miliare videoludica. Ho giocato a migliaia di videogiochi dal 1975 a oggi, ma sono relativamente pochi quelli che considero veramente rivoluzionari. Shenmue, per me, è senz'altro uno di quelli; è il gioco che ha aperto le porte all'esperienza "open" come la consideriamo al giorno d'oggi. Se infatti i giochi ad esplorazione aperta sono in circolazione da lungo tempo, molto prima del lancio giapponese del capolavoro di Yu Suzuki, che risale al dicembre del '99 (un anno dopo in Nord America), Shenmue ha rappresentato la prima esperienza cinematica (nel senso di equivalente a un film d'animazione, con cui però è possibile interagire direttamente, attivamente, dinamicamente) che permettesse di esplorare la ri-creazione di un mondo "reale", la ricostruzione della vita quotidiana in una città giapponese, Yokosuka, nella prefettura di Kanagawa, tra la fine del 1986 e l'inizio dell'87. Se è vero che già esploravo liberamente mondi digitali sin dal 1981, dalla prima volta cioè in cui ho giocato a Adventure sull'Atari 2600 (gioco cult. reso ancora più celebre recentemente dalla menzione in Ready Player One), questa era la prima volta che provavo l'esperienza (anche se si trattava di una simulazione di esperienza, ovviamente) di cosa significa vivere in Giappone; sperimentando direttamente, in forma digitale, cose di cui avevo solo sentito parlare, come il fare acquisti nei "konbini", i supermercatini tipici; oppure comprare il cappuccino freddo in lattina dalle macchinette a gettone; o osservare da vicino le offerte votive in un tempio schintoista che esiste davvero a Kanagawa, ricreato nel gioco in maniera realistica. La prima volta che ho sentito parlare di Shenmue era verso la metà del 1998; ero già in USA da quattro anni, e mi trovavo in Connecticut, dove stavo studiando per il dottorato e insegnando. Nella rubrica "Rumor Mill" (Le voci di corridoio) sulla rivista Electronic Gaming Monthly (EGM) si parlava di un progetto di Yu Suzuki, il programmatore della ditta Sega che consideravo di maggior talento, e che già veneravo da oltre dieci anni, dall'uscita di Out Run e Space Harrier nelle sale giochi.

Shenmue Iii 5

Tale progetto, in uscita forse per Sega Saturn, ma più probabilmente per la nuova console, il Dreamcast, che sarebbe stata lanciata di lì a poco, portava il titolo preliminare di "Virtua Fighter RPG". All'epoca la serie di Virtua Fighter era di grandissimo richiamo, e uno dei cavalli di battaglia di Sega. A inizio 1999 EGM, popolarissima rivista del settore in USA a quell'epoca, nel numero 116 (di marzo, ma, come tipico delle pubblicazioni in USA, uscito un mese prima) ha pubblicato un articolo di anteprima con descrizione dello stile di gioco e schermate. L'entusiasmo è salito a mille. Oggi siamo abituati ad avventure di stile cinematografico come Assassin's Creed e Tomb Raider, ma allora l'unico modo per "giocare con i film" erano i laserdisc interattivi come Dragon's Lair. Bellissimi da vedere, ma molto limitati come gameplay, poco più di un semplice test di riflessi (detto ciò, adoro ancora adesso i lasergame!). Shenmue invece era giocare con un cartone animato, proprio per davvero, e con una gamma di possibilità di scelta e di azione incredibilmente ampia. Il recensore poi aveva usato una specie di formula magica che aveva il potere di catturare subito l'attenzione e l'entusiasmo di noi ex-ragazzini della metà degli anni '80: nel descrivere le sezioni di gioco QTE (Quick Time Events, come le aveva battezzate Yu Suzuki (parti del gioco in cui per procedere con successo è necessario premere entro uno stretto limite di tempo determinate sequenze di tasti, seguendo le indicazioni su schermo), aveva scritto: "It's a bit similar to Dragon's Lair", è abbastanza simile a Dragon's Lair. Insomma, Shenmue era come il mito delle sale giochi dell'infanzia/adolescenza di milioni di appassionati videoludici (come ben rappresentato nel primo episodio della seconda serie di Stranger Things), ma meglio. Grazie all'evoluzione tecnologica degli ultimi 14-15 anni, si poteva fare ben di più; ora era possibile esplorare liberamente, senza costrizioni né limiti (che, per carità, c'erano; ma molto meno evidenti che negli altri giochi fino a quel momento) un mondo virtuale realistico. Tutto ciò su una console nuova e altamente innovativa, la prima che permettesse di navigare e giocare in rete, la prima a offrire controller con un mini schermo che funzionava anche come mini-console, la prima ad offrire giochi uguali a quelli delle sale giochi, come House of the Dead 2 e Crazy Taxi. Non ho atteso l'uscita della recensione ufficiale su Edge nel numero di dicembre 2000 per acquistare Shenmue.

Shenmue è il miglior videogioco per comprendere la cultura giapponese

L'ho prenotato nell'ormai defunta catena Electronics Boutique (assorbita da Gamestop) appena erano stati aperti i preordini. Il giorno in cui è uscito in USA, l'8 novembre del 2000, era un mercoledì e io dovevo insegnare, ma ricordo di aver poi giocato tutto quel tardo pomeriggio e tutta la sera, fino alle tre del mattino. L'esperienza che più mi aveva colpito di quelle prime ore di gioco era stato il rendermi conto, nei panni del protagonista, che nella casa in cui mi trovavo potevo aprire ogni singolo cassetto e armadio, trovando spesso oggetti che potevo prendere e portare con me; come ad esempio un mangianastri portatile e delle cassette che mi permettevano di ascoltare le musiche del gioco (tutto rigorosamente di marca Sega), e aprire le ante del mobile TV per trovarci dentro una console Sega Saturn. Anche se si trattava di un bell'anacronismo (eravamo nel 1986, in teoria, e il Saturn non sarebbe stato lanciato che nel novembre '94 in Giappone), l'averlo trovato apriva un'ulteriore prospettiva alla "quest" (la ricerca archetipa del Sacro Gral, rappresentata in questo caso dal desiderio del giovane Ryu, il protagonista, che sembrava avere più o meno l'età che avevo io nel 1986, di risolvere il mistero dell'assassinio del padre) già in corso: ho trovato una console, troverò mica anche dei giochi? E sarà possibile giocarci? La Ricerca del Gral si sarebbe rivelata fruttuosa: pochi giorni dopo ho scoperto che nascosti nel gioco erano due dischi per Saturn, e due cabinati da bar, che permettevano di giocare a due delle pietre miliari della Sega come macchine da sala giochi, create sempre dallo stesso Yu Suzuki.

Da EGM e Egde sapevamo che la produzione di Shenmue aveva raggiunto cifre da capogiro, 47 milioni di dollari (il budget del film più di successo nel 1999, Star Wars Episodio I, era stato di 115 milioni di dollari, mentre il budget del secondo film più visto, Il sesto senso, era stato di 55 milioni). Era la prima volta che un videogioco raggiungeva cifre da capolavoro cinematografico. Questo fatto da subito creò polemiche in rete. A quell'epoca il modo più accessibile per partecipare a forum e discussioni in America era il network a pagamento America On Line; il sistema con cui moltissimi americani si erano connessi a internet per la prima volta (e anch'io, nell'agosto del 1994, appena arrivato in USA). Ricordo un commento di un utente in uno dei gruppi su AOL in concomitanza con il lancio di Shenmue che aveva dichiarato che la Sega si sarebbe ridotta sul lastrico "a finanziare i deliri di onnipotenza" di Yu Suzuki. Commento che mi aveva colpito perché, esagerazioni a parte, evidenziava che la genialità di questo gioco non risultava comunque evidente a tutti. Ancora oggi, c'è chi vuole divertirsi sparando qua e là, e chi preferisce giochi meno distruttivi. C'è chi ama Super Mario e Zelda, come me, e chi preferisce Call of Duty; io no, sono pacifista, anche nel virtuale. Non mi stupisce quindi che Shenmue si sia guadagnato un seguito cult in tempi recenti, perché era un gioco anni luce avanti rispetto alla sua epoca. Anche se la grafica oggi appare datata (anche nell'aggiornamento HD, peraltro più che dignitoso), l'ottima qualità della narrazione e l'attenzione al dettaglio non può che catturare l'attenzione e l'immaginazione degli utenti, anche dopo 18 anni".

Così come ci ha ampiamente spiegato il Professor Bregni, Shenmue è molto più di un videogioco poiché consente veramente di "vivere" la città in ogni sua sfaccettatura. Esperienza che è resa ancor più ricca grazie alla maniacale ricostruzione delle ambientazioni. Ma non solo. Infatti Shenmue permette una maggiore immedesimazione nel contesto culturale giapponese anche grazie alla possibilità di utilizzare la lingua originale (il giapponese) con i sottotitoli. Elementi, quest'ultimi, che lo rendono uno dei videogiochi migliori per imparare / migliorare / praticare la lingua e la cultura giapponese. Alla luce della sua attività didattica che impiega l'approccio del GBL -Game Based Learning- abbiamo chiesto al Professor Bregni di darci la sua opinione relativamente a questo preciso aspetto. "Nel mio blog e nelle mie conferenze accademiche presento Shenmue come il migliore gioco dal 1999 a oggi da utilizzare come complemento nell'apprendimento della lingua e della cultura giapponese. Mi dispiace non poterlo utilizzare anche nei miei corsi d'italiano, dato che il gioco è localizzato solo in giapponese e inglese. È vero che l'elemento di acquisizione culturale non sarebbe applicabile; tuttavia mi trovo spesso a spiegare ai miei studenti americani che la cultura pop giapponese è molto popolare in Italia (vedasi la diffusione dell'animazione, dei manga e della tecnologia videoludica giapponese). Utilizzare Shenmue in una lezione insieme a Goldrake, Dragonball, Gundam, Evangelion e Doraemon mi permetterebbe di far vedere quali sono i punti in comune tra la cultura giapponese e quella italiana (ad esempio, il sistema scolastico rigoroso che impegna gli studenti per molte ore ogni giorno, più che in altri paesi) che fa sì che la cultura giapponese risulti attraente e stimolante per i ragazzi italiani loro coetanei".

Shenmue è il miglior videogioco per comprendere la cultura giapponese

E quindi come potrebbe essere utilizzato Shenmue in un'ipotetica attività didattica da tenere a scuola o all'università in una materia come "lingua e cultura giapponese"? Il professor Bregni risponde a questa domanda ripetendo (come un mantra!) che "la tecnologia, utilizzo dei videogiochi inclusi, non può né deve sostituire l'insegnamento e l'apprendimento attraverso metodologie tradizionali, ma può invece essere utilizzata con successo per completarli e espanderli. L'utilizzo di un videogioco, come Shenmue, o come Assassin's Creed - The Ezio Collection nei miei corsi di italiano per stranieri, può dare risultati molto soddisfacenti dopo che gli studenti hanno già imparato, attraverso metodi tradizionali, determinate forme verbali (ad esempio, i verbi di azione, come camminare, correre, saltare, ecc., nel tempo presente), o elementi di vocabolario (ad esempio, le parti della casa: la cucina, il bagno, la camera da letto, ecc.). Ad esempio, si può selezionare una specifica sezione del gioco in cui quelle forme o quel vocabolario sono presenti (i primi 30 minuti di Shenmue, ad esempio, in cui Ryu si trova a esplorare la sua casa alla ricerca di potenziali indizi lasciati dal padre scomparso, e poi esce per le strade di Yokosuka). L'insegnante dovrà preparare alcuni esercizi preliminari per assistere gli studenti nell'osservare e riconoscere gli elementi grammaticali e lessicali da ripassare, e identificarne il senso; e infine una serie di esercizi in cui gli studenti applichino quanto già appreso e rinforzato dall'attività ludica, utilizzando la lingua straniera per descrivere la propria esperienza individuale. È il metodo che chiamo "Identify, Acquire, Create": identifica, acquisisci, crea. Nonostante il videogioco rappresenti di fatto una macchina per l'apprendimento dal potenziale enorme e quasi del tutto inesplorato, nell'immaginario collettivo viene ancora percepito con un'accezione negativa -il recente fatto di cronaca relativo alla sparatoria in USA durante un torneo di Madden li ha di nuovo messi sul banco degli imputati-, soprattutto se utilizzati in didattica. Il professori Bregni è molto categorico su questo aspetto e ci spiega secondo lui da cosa deriva questo "classismo" ingiustificato e lo fa con un esempio perfetto nonché evocativo. "I motivi di questo classismo? Forse il fatto che spesso ciò che i bambini e i giovani trovano divertente, stimolante e intelligente finisce per causare le ire dei bacchettoni? Scherzo... più o meno. La mia infanzia è stata segnata dal fatto che il mio cartone animato preferito, Scooby Doo, sia stato censurato e rimosso dalla RAI "come troppo violento" nel 1972. Avevo solo 8 anni, ma avevo già capito che certi adulti non capivano mica tanto; noi bambini capivamo molto di più. Gli adulti non avevano ad esempio capito che Scooby Doo era magico; cioè, che per un bambino fifone come ero io, aveva il magico potere di far svanire tutte le paure con una risata, ricordandoci al tempo stesso che i mostri non esistono, perché si trattava sempre, inevitabilmente, non di mostri, ma di uomini cattivi mascherati. Da adulto oggi mi viene da dire che è normale per chi non capisce un fenomeno, una tecnologia, o un'applicazione "nuova" di una tecnologia (nuova si fa per dire; moltissimi ragazzi in tutto il pianeta utilizzano i videogiochi per migliorare le lingue straniere sin dalla metà degli anni '80) provare sospetto, diffidenza o rifiuto. Questo porta alla "patologizzazione" del prodotto innovativo; era successo con i cartoni dei robot giapponesi, banditi dalle TV italiane verso la metà degli anni '80 come "troppo violenti" (come il mio adorato, povero Scooby Doo!), e succede anche oggi, con i tentativi (maldestri) di patologizzazione del fenomeno videoludico. Gioco dal 1975, secondo alcuni dovrei essere un serial killer, invece sono un docente universitario.

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La mia ricerca, ma anche studi neurologici e di neurolinguistica, mostrano che i videogiochi come strumento di apprendimento (usati come supplemento a metodi tradizionali, non per sostituirli!) funzionano meglio di altri metodi (molti, io per primo, hanno usato romanzi, film, serie TV e fumetti, ad esempio, per migliorare le proprie lingue straniere), perché sono interattivi e coinvolgono il corpo, oltre che la mente, che viene stimolata dal meccanismo di identificazione con i protagonisti e attraverso narrazioni di buon livello. Questo è ciò che viene studiato in neurolinguistica, attraverso le teorie del Total Body Response (risposta totale corporea) e la Flow Theory (la teoria del flusso di coscienza), insieme all'analisi dell'aumento dell'apprendimento in relazione all'incremento di adrenalina (stimolata nel giocare, dato che molti videogiochi sono basati sull'idea di sopravvivenza): parafrasando il filosofo cinese del III secolo a.C., Xunzi, ci ricordiamo il 90% di quello che facciamo. Coinvolti in storie stimolanti, reagendo con il nostro corpo attraverso i joypad, le manopole di gioco, cercando di sopravvivere, veniamo sottoposti a stimoli che ci aiutano ad apprendere di più e meglio. Beninteso se giochiamo, rigorosamente, in lingua, e con sottotitoli nella stessa lingua (non nella nostra lingua madre); occasionalmente, quando necessario, controllando il significato di parole totalmente sconosciute sulla app di WordReference sul proprio cellulare". Ubisoft è una delle software house che ha creduto di più al potenziale di apprendimento e di applicazione formativa in contesti non strettamente ludici dei propri prodotti e infatti la casa produttrice della serie di Assassin's Creed ha realizzato il capitolo di Assassin's Creed Origins, che contiene al suo interno la modalità esplorativa adatta anche alle scuole elementari, in cui è possibile, ad esempio, visitare virtualmente Alessandria d'Egitto e ottenere moltissime informazioni sulla storia, la vita quotidiana e i personaggi di spicco in quella città durante l'epoca ellenistica. "Hanno perfino ricostruito la koiné, il dialetto greco di quell'epoca, comunemente usato in quella zona. Non sappiamo esattamente come venisse pronunciato, ma gli esperti di Ubisoft hanno fatto un ottimo lavoro, ricostruendo quanto più possibile fedelmente, dai dati in nostro possesso, il suono che, probabilmente, aveva quella lingua. Maxime Durand, storico che dirige la sezione di ricerca della serie di Assassin's Creed, ha invitato me e un gruppo di altri educatori di scuole di ogni ordine e grado che usano la serie per scopi didattici a far parte di un forum in cui condividere e esplorare ulteriormente utilizzi didattici della serie", il commento del Prof. Bregni relativo alle virtù del titolo Unisoft.

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Abbiamo infine chiesto al docente italiano quali sono i suoi progetti futuri e se utilizzerà nuovamente l'approccio video game-based learning . "Parteciperò a una serie di conferenze; quella che mi stimola di più, e che mi auguro possa effettivamente aver luogo, sarà la SXSW, conferenza non accademica, ma dell'industria mediatica, che però da qualche tempo ha aperto anche una sezione dedicata alla didattica. Maxime Durand di Ubisoft ha mandato una proposta di sessione che prevede anche la mia partecipazione, insieme a quella di Brian Stottlemyer, un insegnante di storia in una prima media canadese, dal titolo "Can AAA Titles Be used to Improve Education?" (E' possibile usare videogiochi di successo e con un budget elevato per migliorare l'insegnamento?). Non sappiamo ancora se la nostra proposta sia stata accettata; la partecipazione è competitiva, e le votazioni del pubblico erano aperte fino al 30 agosto. Speriamo comunque di sì. Poi, continuerò, in questo anno accademico appena iniziato, a utilizzare video game-based learning, l'apprendimento videoludico, per espandere e completare l'apprendimento dell'italiano come lingua straniera e della cultura italiana con i miei studenti della Saint Louis University. Gli studenti del primo anno, tra l'altro, sono nati nel 2000; hanno la stessa età di Shenmue! Inoltre, con il collega Brandon Essary, associate professor alla Elon University, continueremo a delineare il progetto di libro di testo di italiano come lingua straniera/seconda "Italian for Gamers", in cooperazione con altri colleghi in italianistica e linguistica. Infine, spero che i miei impegni accademici mi permettano di dare altri workshop pratici sull'utilizzo del video game based learning a altre istituzioni nazionali e internazionali".

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