Nessuno sta regalando nulla a Sony, i voti altisonanti ai suoi ultimi giochi dimostrano che gli anni di duro lavoro stanno finalmente pagando. I PlayStation Studios sono oramai una corazzata che procede spedita verso un successo di pubblico e di critica senza eguali. I suoi blockbuster catturano immediatamente l'interesse del pubblico, funzionano come orologi e sono splendidi da vedere e da ascoltare.
Uno dei segreti di questo successo è partire sempre e comunque dai personaggi, che devono essere iconici e colpire come star del cinema: Ellie, Kratos, Aloy, Ratchet e la sua cricca devono funzionare nel gioco come in cartelloni pubblicitari di dieci metri per venti, sorridere in modo convincente verso la telecamera e alla bisogna trasformarsi in finte statue dall'alto potere ispiratore. Aloy come Nilde Iotti! Kratos padre dell'anno! E bentornato al vostro amichevole Spider-Man di quartiere.
La perfezione?
È una macchina perfetta, costruita su giochi perfetti. Cosa puoi dirgli all'ultima avventura di Ratchet? Graficamente è stellare e si gioca che è un piacere, sfrutta pure l'SSD che è un elemento centrale della più moderna delle console Sony. E a Spider-Man? Potremmo stare a discutere del combat system per due giorni, o della qualità dei suoi livelli stealth, ma nulla cambierà il fatto che il gioco Insomniac è in ogni aspetto straordinariamente in linea con il suo pubblico. I titoli PlayStation Studios sono tutti così. Gli è andata male solo a Days Gone che non ha certo pagato per le lacune di gameplay ma per non essere cinematograficamente all'altezza degli altri giochi, con i loro mondi lucidissimi, i dialoghi tarati al millimetro in modo che sappiano perfettamente quando intenerire e fare incazzare il giocatore. Se vuoi un'esperienza immediata e stratosferica, non puoi chiedere di meglio: in cinque minuti sai cosa devi fare e perché devi farlo, tutto con le migliori grafiche e le migliori direzioni artistiche in circolazione.
Non date retta a chi vi spinge di farne a meno, o che cerca di farvi sentire in torto se vi pizzica a giocare a quel che vi piace: avete tutto il diritto di cibarvi di ogni blockbuster in uscita, di goderne fino alla fine. Anche le software house hanno il diritto di crearne di più: se c'è domanda, deve esserci anche offerta. Per chi fa critica però questo può diventare un problema, specialmente se il pubblico inizia a convincersi che tali progetti siano anche i migliori videogiochi possibili. No, non è così, ma non dovete sentirvi giudicati per questo: il vostro sollazzo personale non è in un nessun modo correlato al giudizio che, dopo la necessaria sviolinata iniziale, stiamo per muovere a questo modo di pensare e creare videogiochi. Perché la critica va contestualizzata e se in una recensione, che conserva ancora il suo ruolo di guida all'acquisto, possiamo premiare un gioco con un voto più o meno alto, in un contesto più ampio il giudizio finale può essere diverso. Bisogna insomma essere capaci di scorporare il valore di un gioco al momento della sua uscita, dal suo peso reale in prospettiva storica.
Cinema e/o videogioco
Questa forma di intrattenimento ha dimostrato di poter offrire molto di più, assumendo infinite forme su infiniti strati di complessità (che non ha nulla a che vedere con la difficoltà), ma quella proposta da questi action è la più semplice possibile. E come ci ha insegnato Horizon Forbidden West, non è moltiplicando questi contenuti che si risolve il problema, anzi si appesantisce ulteriormente la struttura di un action che dovrebbe, al contrario, sempre andare dritto al punto. L'effetto cinema ricercato ad ogni costo ha portato l'ultima avventura di Aloy a includere almeno un centinaio di quest tecnicamente straordinarie, tutte doppiate e recitate, solitamente accompagnate da ambientazioni uniche e pantagrueliche, ma che poi da giocare si rivelano essere perlopiù scialbe. Sony spende tanto per un minutaggio di gameplay piuttosto basso, mentre molti giochi fuori da questa logica raggiungono risultati opposti: la software house spende poco, perché non doppia o non usa motion capture, e per attirare l'attenzione è costretta a creare contenuto vero e proprio, un gameplay sfaccettato, che è poi la cosa più importante in un videogioco.
Solo i migliori
Nell'approccio dei PlayStation Studios, i puzzle devono essere semplici se non addirittura autorisolversi; l'alternativa alle chiacchiere che porteranno avanti la trama è sempre e solo il combattimento. Un po' poco per dei progetti che dovrebbero rappresentare i migliori giochi possibili, il massimo che il medium può offrire. Fortunatamente ci sono delle eccezioni: The Last of Us Part II è così straordinariamente bilanciato, un po' come l'inarrivabile Uncharted 2, che è difficile muovergli delle critiche, mentre Returnal rappresenta l'opposto di quanto offerto dagli altri team visto che mette finalmente al centro il gameplay. Anche per questo, Returnal è senza alcun dubbio l'esclusiva PlayStation 5 migliore tra quelle offerte da Sony, l'unico gioco a sfruttare le peculiari caratteristiche del medium per creare un'esperienza fuori dai soliti gangli. Returnal è anche l'esclusiva che ha preso meno in sede di recensione, a sottolineare che la critica post mortem, quindi a gioco già disponibile, può muoversi su binari diversi e avventurarsi molto più in profondità di quella che deve soprattutto guidare il pubblico.
Limite strutturale
La formula magica dei PlayStation Studios sembra essere arrivata al suo limite strutturale, perfetta come un laser ci fa vivere delle avventure che scorrono senza sosta dall'inizio alla fine, in tecnica talmente affinata da non avere pressoché più tempi morti. Sony è riuscita a fare qualcosa forse mai accaduta prima: creare giochi per tutti. Giochi anche per me. Ma apprezzare Forbidden West e God of War Ragnarok è una cosa, fare critica è un'altra. Il ruolo ci obbliga a un'analisi più antipatica, come del resto la passione per i videogiochi. E in decenni abbiamo visto molti giochi ben più avveniristici di questi fulgidi action da classifica, giochi dove i colpi di scena non erano stati scritti da nessuno ma generati organicamente dal gameplay, giochi dove ogni livello poteva essere rigiocato dozzine di volte e sempre in modo diverso, giochi che rendevano ogni sentiero un'avventura a sé. Non stiamo insomma immaginando qualcosa che non c'è mai stata prima, stiamo al contrario ricordando soprattutto al pubblico più giovane che per avere giochi fuori dal comune non serve nessuna next-gen, basta guardare ai migliori giochi del passato.
Passati idealizzati
Vi sentiamo spesso chiedere una critica di qualità, ma questa per molti dovrebbe limitarsi a mettere un numero in fondo alla pagina, paradossalmente l'aspetto più facile di tutti, e prostrarsi dove necessario. E se provi a dire qualcosa fuori dal coro, arrivano le accuse di partigianeria, di terrorismo. Ma del resto i videogiocatori moderni, almeno quelli che si fanno sentire di più, sono così: chiedono rivoluzioni, ma sono refrattari ad ogni cambiamento. Rimpiangono passati idealizzati. Sono post senza essere mai stati niente. Niente.