Mettere le mani sulla corposa demo di Stranglehold è stato piacevole quanto controproducente, vista la fatica necessaria per staccarsene.
Non che il gioco si sia rivelato qualcosa di straordinariamente originale o che altro, è semplicemente e innegabilmente divertente: se avete apprezzato i due Max Payne, probabilmente vi mancherà quel genere di sparatutto con slow motion, pistole akimbo e trama da poliziesco pulp.
Stranglehold è tutto questo, a partire dal sistema di controllo, inconfondibilmente ispirato al classico di Remedy Entertainment, dove pure proiezioni e sparatorie aeree erano all’ordine del giorno.
A rendere particolarmente estrema la coreografia delle sequenze d’azione, contribuiscono una barra del “bullet time” (o meglio “tequila shoot”) che si ricarica automaticamente e che può essere usato molto spesso e un alto livello di interattività con gli scenari: ogni superficie piana, come una cassa, un tavolo o un banco da lavoro, può essere usato come “pedana” su cui scivolare, semplicemente correndovi addosso.
A quel punto è sufficiente attivare lo slow motion per vedere il protagonista proiettarsi come un bolide, armi in pugno che sparano a raffica, spazzando via tutti gli oggetti nelle vicinanze, e generalmente apparendo estremamente tamarro e violento. Altrettanto dicasi per le balaustre delle scalinate, su cui si può montare in piedi, percorrendole di corsa e in salita, tipicamente con le braccia spalancate come un angelo della morte e le pistole che vomitano piombo.
Quello della distruttibilità degli oggetti è un altro tema portante di Stranglehold: il livello da noi provato di un mercato alimentare cinese era letteralmente costellato di casse, montagne di frutta, e carne, registratori di cassa e così via. Nuovamente Max Payne all’ennesima potenza, con tutto questo ben di dio pronto a saltare in aria in un tripudio di effetti particellari sotto i colpi dei nostri proiettili.
Ma non finisce qui perché è attivando le varie mosse speciali del protagonista, che il gioco raggiunge i massimi livelli di “ignoranza”: concatenando in combo abbastanza uccisioni altamente coreografiche (tenete presente che tutti i colpi sono localizzati, quindi colpire un avversario alla testa, a un braccio o a una gamba indurrà reazioni differenti) si caricherà un’apposita barra collegata a quattro effetti attivabili con la croce direzionale. Il primo, più “economico”, prevede la pronta rigenerazione di parte della barra di energia vitale.
Il secondo permette di assestare un colpo mirato con precisione letale (con tanto di soggettiva del proiettile che va a inculcarsi nelle carni del malcapitato di turno); il terzo fa entrare in una sorta di frenesia, dove il tempo più che rallentare si ferma e in una sorta di visuale in soggettiva permette di fare fuoco con una cadenza incredibile. Infine il quarto, che consuma l’intera barra di energia, si limiterà a risolvere l’intero scontro a fuoco, con il protagonista che si cimenta in una letale piroetta con le pistole spianate e che si conclude con l’invio al Creatore di tutti i nemici presenti.
Graficamente, non ci è parsa la migliore applicazione dell’Unreal Engine in circolazione, ma al di là di alcuni shader forse ancora preliminari, e di un certo effetto “plastica bagnata”, l’aspetto generale del titolo sembra essere più che buono, almeno finché si rimane nell’ambito del caos delle sparatorie. Diciamo che la qualità tecnica dei personaggi a distanza ravvicinata non giustifica l’abbondanza di primissimi piani nelle cutscene di intermezzo.
In definitiva, ottime sensazioni da questo Stranglehold: non sarà stato probabilmente il gioco più potenziamente longevo della fiera, ma in quanto a immediatezza e puro divertimento, pochi ne erano all’altezza.