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Tár, ideologia woke e Monster Hunter

Tár affronta temi complessi, come la convivenza tra cultura alta e cultura pop, e lo fa (anche) attraverso Monster Hunter.

SPECIALE di Alessandro Bacchetta   —   16/11/2024
Lydia Tár, alla fine del film, conduce un concerto su Monster Hunter
Monster Hunter: World
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Tár, anagramma di "art", è un acclamato film del 2022; in quell'anno è stato candidato come miglior opera cinematografica agli Oscar, a Venezia, al Golden Globe, ai BAFTA, ai London Critics Circle Film. È stato diretto dall'altrettanto celebrato Todd Field, classe 1964: regista che ha raggiunto questo status girando soltanto tre film durante la sua carriera. Oltre Tár, In the Bedroom (2001) e Little Children (2006).

Tár è un film d'estrema eleganza, ambizione e ricercatezza, un film modellato, pensato e cucito attorno al talento di Cate Blanchett. L'australiana non è stata semplicemente scelta come protagonista: Tár è un vestito d'autore tessuto per lei, che ha ripagato Todd Field con un'interpretazione adamantina, che le è valsa il premio di miglior attrice ai BAFTA, al Golden Globe, a Venezia, ai London Critics Circle Film, nonché una candidatura agli Oscar (e con questo, lo prometto, niente più elenchi di riconoscimenti).

È mirabolante che Field riesca a porre Blanchett costantemente al centro della scena senza scadere in inquadrature morbose o sciatte. L'australiana recita in modo sublime, con gli occhi e la bocca, col corpo, con le movenze, con le dita, con ogni muscolo abbia in viso, per descriverci un personaggio articolato, disturbante e disturbato, l'austera Lydia Tár: una rinomata direttrice d'orchestra (la prima a capo della Filarmonica di Berlino), lesbica e vegetariana, sposata con Sharon (primo violino), nelle settimane in cui progetta la registrazione della quinta sinfonia di Mahler, presenta il suo libro autobiografico, e - soprattutto - diviene oggetto di pubblico ludibrio, tutt'altro che senza colpe, sui social network.

Il film si conclude con Lydia detronizzata e decaduta, assunta nel sud-est asiatico perché non più desiderata in Occidente, mentre dirige un altro concerto. Stavolta niente Mahler, però: il tema è Monster Hunter. Sì, il videogioco.

L'arte sopra tutto

Tár è un'opera dal ritmo lento e solenne, dalle inquadrature dinamiche ma rigorose. Senza enunciare tutti gli snodi fondamentali del film, è importante evidenziare come Lydia possa leggersi come personificazione dell'arte occidentale, un'epitome senziente di Belle Arti e Alta cultura.

Una straordinaria Cate Blanchett interpreta Lydia Tár
Una straordinaria Cate Blanchett interpreta Lydia Tár

Con lei vive e sopravvive la solenne storia della nostra estetica, la sua grandezza e il suo orgoglio, perfino il malcelato senso di superiorità rispetto ad altre forme espressive meno regolamentate, studiate e ricercate. Lydia è, e desidera essere, l'ultimo tassello di un selciato che inizia da Omero, passa per Leonardo e Mozart, e finisce, con lei e attraverso di lei, nella contemporaneità. Vuole che sentiate l'odore di Beethoven nell'anidride carbonica che emette dalle narici, e che ne siate affascinati e intimoriti.

Poco dopo l'incipit del film, all'apogeo della sua carriera, Lydia tiene una lezione alla Juilliard (un prestigioso conservatorio privato a New York), in cui ha una conflittuale discussione con Max, uno degli studenti partecipanti. È una delle scene più importanti del film, sia dal punto di vista simbolico che intradiegetico. Max, con la gamba che vibra su e giù, in modo maniacale e nervoso, quasi fosse l'ala di un colibrì, ammette che Bach non gli interessa. E non gli interessa perché, essendo lui bipoc (nero e/o indigeno e/o di colore) e pangender (potenzialmente appartenente a qualsiasi genere, una posizione ascrivibile comunque al non binarismo), non trova stimoli in alcun compositore bianco, etero e cisgender (e, secondo lui, misogino). Come Bach.

Tár illustra il suo punto di vista, qui in modo pacato
Tár illustra il suo punto di vista, qui in modo pacato

Tàr non la prende benissimo: fa il possibile per imporre la propria visione, esagera verbalmente trattando Max come un inetto - che lo sia o meno è ininfluente - e tentando di mostrargli che, volesse un giorno attraversare i dorati cancelli delle Belle Arti, non potrà dire, ma soprattutto pensare, ciò che sta dicendo e pensando. Perché Tár non sta negando che Bach sia misogino e bianco ed eterosessuale; sta sostenendo che è del tutto irrilevante. Contano soltanto i suoi risultati eccelsi, i suoi capolavori, la sua musica. L'Arte viene prima di tutto: per lei, per l'Accademia, e per chiunque voglia farne parte.

Mentre esterna i suoi pensieri, esibendo tutto il suo potere, erigendosi su quel piedistallo che si è guadagnata, permettendosi perfino di bloccare - stizzita - la tremolante gamba di Max, Tàr viene filmata dagli altri studenti.

L'ideologia woke sopra tutto

Nel dipanarsi del film emergono le debolezze e i difetti di Lydia, più accennati che svelati, in particolare il suo modo autoritario di trattare i sottoposti, e soprattutto i suoi favoritismi, dovuti - presumibilmente - all'attrazione per alcune studentesse e/o colleghe.

Tár mentre dirige un concerto
Tár mentre dirige un concerto

La prima pietra che si sgretola, cominciando a erodere l'intera muraglia del suo impero, è rappresentata dal suicidio di Krista, un'aspirante direttrice d'orchestra, con cui Lydia aveva avuto, o sperato di avere, una relazione. Tár tenta di nascondere il loro scambio epistolare, ma per varie ragioni, primariamente afferenti al suo modo di trattare i dipendenti, queste mail vengono divulgate. Un articolo del New York Post solleva la questione e, in contemporanea, il video in cui catechizza Max finisce online, e diviene virale. Oltretutto decontestualizzato, quindi contenete soltanto la parte in cui lo studente viene bullizzato.

In questo clima, la parte successiva della sua carriera, quella che ne segue l'apice, non è costituita da un declivio, bensì da un precipizio: Lydia cade, e prima che possa comprendere ciò che sta succedendo, ha perso il suo lavoro e la sua famiglia. Complice l'ennesima infatuazione per una nuova violoncellista, Olga, che non ricambia l'interesse, e rifiuta totalmente i codici comunicativi e relazionali di Lydia, non capiti o condivisi, e appartenenti a un'altra generazione.

L'inizio del concerto su Monster Hunter
L'inizio del concerto su Monster Hunter

Nella parte finale del film, vomitata dall'Occidente, Lydia viene ingaggiata - probabilmente - nelle Filippine. Nell'inedito contesto, al solito la vediamo assolta nel suo lavoro, mentre tenta di comprendere le intenzioni dell'autore, che istintivamente associamo a un compositore classico.

Quando alza la bacchetta e inizia il concerto, la macchina da presa si sposta; degli schermi mostrano delle bandiere sventolanti e, ancor più sotto, al posto di una platea di persone in abiti eleganti, un pubblico di cosplayer, agghindati con maschere di plastica, vestiti pelosi, armi finte. Sono i fan di Monster Hunter, la celebre serie Capcom, della cui colonna sonora Lydia sta dirigendo l'esecuzione.

Cultura alta e pop

Quella platea stravagante, che probabilmente Lydia detesta, non ha alcuna colpa apparente: lei, manifesta personificazione delle Belle Arti, è asservita al nuovo pubblico, un pubblico a cui, esattamente come Max, pur con motivazioni diverse, probabilmente non interessa affatto Bach.

Dei cosplayer di Monster Hunter, l'ultima platea di Lydia
Dei cosplayer di Monster Hunter, l'ultima platea di Lydia

L'immagine è potente, e striata di significati. Se all'inizio del film, in nome dell'Arte, Lydia se ne fregava delle considerazioni di Max, tentando così di indottrinarlo e introdurlo al mondo musicale accademico, plasmandone i punti di vista, qui, improvvisamente, la prospettiva si ribalta. Perché Max, e l'ideologia woke che incapsula, se ne frega di Lydia, tanto quanto Lydia se ne fregava di lui. Se Tár reputa inutili le malefatte presenti e passate in nome dell'eccellenza artistica, Max considera irrilevante l'eccellenza artistica, se generata da un autore di cui non condivide, o meglio, non tollera, i comportamenti.

Ci sono voluti decenni per scalfire le barriere tra Belle Arti e pop, e il processo è ancora in corso. Anni per distinguere tra complesso e semplice, tra interessante e banale, piuttosto che tra mezzi espressivi ontologicamente Alti e bassi: in un corso di musicologia, e parliamo del 2008, non del 1950, io stesso ho ascoltato un professore paragonare Pupo e Pink Floyd, come fossero la stessa cosa, soltanto perché emersi entrambi dal contenitore "pop", in opposizione a quello della musica colta.

A caccia di mostri

Questa nuova lente interpretativa è ancora diversa: marginalizza le differenze estetiche, dando la priorità all'aderenza ai valori dell'ideologia woke. Questi giorni, nella stampa specializzata di videogiochi, si è parlato molto di Dragon Age: The Veilguard, un titolo dalla scrittura mediocre, appartenente a una serie che della scrittura aveva fatto la sua eccellenza, ma nonostante questo ben ricevuto da una parte del pubblico, proprio perché attento a rispettare ogni possibile identità degli acquirenti: da quella etnica a quella di genere.

Una foto di Dragon Age: Veilguard, perfetto nel rispettare gli ideali woke
Una foto di Dragon Age: Veilguard, perfetto nel rispettare gli ideali woke

E i cosplayer finali di Monster Hunter rappresentano proprio questo: dei cacciatori di mostri, dei mostri catturati e asserviti alle proprie esigenze. Arti e linguaggi secolari vengono frullati, deglutiti e rigettati attraverso delle chiavi di lettura politiche e sociali attuali e contemporanee, rese onnicomprensive e totalizzanti.

Ma qual è il confine per cui un mostro possa definirsi tale? E chi lo decide, se non la sollevazione popolare, generata da un'inarrestabile informazione virale sui social network? Un mostro è un genocida, un guerrafondaio. Un razzista, un omofobo. E poi? Quanto si estendono i limiti? Chi pensa che il sesso biologico abbia la priorità sul genere percepito, come J.K. Rowling e Richard Dawkins, è un mostro? Chi pensa che un therian, ovvero un individuo che si identifica totalmente o parzialmente con un animale (un animale che non sia un uomo), sia una persona con problemi mentali? Chi pensa che l'arte occidentale, con la sua storia e i suoi codici, sia superiore alle altre, e come tale vada considerata e insegnata? Quando si tratta di un'opinione rispettabile e quando di un mostro?

Lydia Tár ha molti volti nel mondo reale, famosi e non
Lydia Tár ha molti volti nel mondo reale, famosi e non

Infine, quali anticorpi sociali l'ideologia woke potrebbe generare? Un movimento che utilizza l'intolleranza per veicolare l'estrema tolleranza, quale tipo di avversario postula? Tár, senza dare risposte, solleva ognuno di questi dubbi. E per noi videogiocatori, noi simbolo dei cacciatori di mostri, assaggiatori di questo frullato d'arte Alta e bassa e semplice e complessa, per noi costituisce un monito, oltre che un incentivo a riflettere: sulla nostra passione, sulla contemporaneità e su noi stessi, sulle nostre gerarchie, sui nostri giudizi.

Se la priorità risiede nello scovare mostri, alla fine i mostri si trovano. Perfino allo specchio.